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Algeria: movimento popolare, agenda governativa e stretta autoritaria

La nuova fase politica in Algeria è caratterizzata dalla ripresa massiccia delle mobilitazioni del venerdì sin dal 13 settembre, ed in parte di quelle studentesche del martedì sin dal 10 di questo mese (in attesa dell’inizio dell’afflusso nei campus universitari degli studenti per il nuovo anno accademico) – che hanno sin qui ritmato le più di trenta settimane di mobilitazione.

Allo stesso tempo questo periodo si sta caratterizzando per una più marcata tabella di marcia del governo provvisorio di Bedoui in direzione delle elezioni presidenziali previste per metà dicembre, su spinta del Capo delle Forze Armate Gaïd Salah, vero “uomo forte” dell’Algeria del dopo-Bouteflika.

Questo giovedì, il Generale ha nuovamente tuonato contro coloro che si metteranno di traverso nel processo di tenuta delle elezioni – che saranno sanzionati con il rigore necessario – mettendo in chiaro tra l’altro che l’Esercito sarà massicciamente dispiegato il giorno dello scrutinio “su tutto il territorio nazionale”.

Sempre questa settimana, un processo-lampo di due giorni, a porte chiuse, celebrato in un tribunale militare, ha indicato la probabile comune sorte dei pezzi del “vecchio regime” non funzionali ai progetti delle alte cariche dell’esercito, condannando dai 15 ai 20 anni tra l’altro l’ex fratello del ex Presidente, Saïd Bouteflika – vero deus ex machina dell’ultimo periodo della ventennale era Bouteflika – l’ex generale Mediène “Toufik” – ex capo dei servizi di sicurezza dal 1990 al 2015 – ed il suo successore Tartag, oltre all’ex ministro della difesa Khaled Nezzar, suo figlio e l’affarista Belhamdine Farid (tutti e tre quest’ultimi in contumacia). Ma anche Louisa Hanoune, deputata del principale partito d’opposizione, il PT, colpevole (!) di avere incontrato per un’ora i primi due.

Come ha dichiarato l’avvocato della deputata e più volte candidata alla presidenza: “era nel suo ruolo di capo del partito di indagare sulla situazione del suo paese” in una contingenza piuttosto critica ed in evoluzione, quindi senza fare nulla che non sia pertinente ad un capo di una organizzazione politica.

Giudicati per “attentato all’autorità dell’Esercito” e “complotto contro l’autorità dello Stato”, questi pezzi del vecchio sistema di potere, avevano tentato a fine marzo – dopo un mese dall’inizio dell’Hirak – di organizzare una transizione sollecitando senza successo l’anziano capo di stato, il generale Liamine Zèroual.

Qualche giorno dopo G. Salah aveva fustigato “le riunioni sospette” accusando coloro che ha chiamato da allora l’issaba (“la banda”), di “complottare contro le rivendicazioni del popolo”, scaricando l’ottuagenario presidente malato al suo destino e chiedendo l’applicazione dell’articolo 102 della Costituzione, prevedendo l’impeachement del capo dello Stato per ragioni di salute.

Con questa mossa si è di fatto accreditato come garante della transizione politica, togliendo il terreno da sotto i piedi dei propri avversari anche attraverso una serie di manovre giudiziarie mirate, di cui queste condanne sono il coronamento: da un lato vengono colpiti i vecchi arnesi del regime non funzionale alla “rigenerazione” del sistema, dall’altra la reale opposizione politica legittimata a chiedere una maggiore discontinuità – come richiesto dalla piazza – rispetto a quella auspicata dal Generale.

Mentre le strade e le piazze a inizio settembre – mai completamente svuotate nel corso dell’Estate – ricominciavano a riempirsi, il governo ha accelerato su alcune questioni particolarmente rilevanti: la convocazione dei corpi elettorali il 15 settembre e la fissazione della data per le elezioni presidenziali a metà dicembre, dopo il doppio rinvio – un inedito nella storia dell’Algeria indipendente -, la bozza della “finanziaria” del 2020 che perpetua e ampia le politiche d’austerità e la nuova legge sugli idrocarburi.

Quest’ultimo è un settore che riveste una importanza particolare per il Paese Africano la cui economia dipende principalmente dalla produzione e dall’esportazione di petrolio e gas, l’attuale proposta di legge è tesa a incentivare espressamente gli investimenti stranieri nel settore senza però mettere in discussione la proporzione del 51/49 che assicura la maggioranza all’azienda statale Sonatrach in qualsiasi partenariato con attori allogeni.

Vediamo questi ultimi due aspetti un poco più nel dettaglio.

La manovra finanziaria aumenterà il fardello fiscale indiretto – tra cui l’IVA – e creerà nuove tasse che peseranno prevalentemente sui meno abbienti, prevede un taglio di spesa per la funzione pubblica (-20%) che di fatto non permetterà il turn-over dei pensionandi, aumenta la precarietà con l’introduzione nel pubblico dei Contratti a Tempo Determinato nel Pubblico; taglia le spese per i grandi lavori previsti dal 2008 su una serie di infrastrutture essenziali come i trasporti, per esempio; prevede la possibilità di introdurre i pedaggi autostradali, e soprattutto prevede il superamento della soglia del 49% per il capitale straniero nelle partnership dei settori non strategici e la possibilità di indebitamento con l’estero per le aziende, di fatto cedendo alle pressioni del capitale internazionale.

Per ciò che riguarda gli idrocarburi, va rivelata la seria difficoltà del settore in Algeria sostanzialmente per due fattori difficilmente governabili: il prezzo molto al di sotto della quota stimata dal Fondo Monetario Internazionale per appianare il debito algerino (116 dollari al barile contro il prezzo attuale sotto i 60) e l’aumento del consumo domestico; ed una causa frutto di precise politiche che ha portato all’abbassamento della produzione, nonché della partnership con attori esteri che è notevolmente diminuita negli anni, da un terzo nel 2007 ad un quarto attuale.

Il ruolo giocato un tempo dalla multinazionale nord-americana Anadarco è ora svolto dalla francese Total.

Il progetto di legge, ereditato dal governo precedente, ha avuto una gestazione di due anni ed ora sta accelerando senza che in questo tempo si sia svolto il minimo dibattito pubblico su uno aspetto strategico per il futuro del Paese.

Da ciò che è trapelato, sembra un fattore chiave l’esenzione fiscale alle imprese straniere che decideranno di investire in Algeria.

Alla luce di ciò che sembra prevedere la legge ed il suo approccio molto favorevole agli investitori internazionali, non sembra peregrino chiedersi come sarà tutelata questa risorsa strategica e quanto la proporzione 51/49 continuerà ad essere una garanzie sufficiente, alla luce del fatto che numerosi osservatori indipendenti hanno mostrato come sia aumentata l’influenza delle compagnie energetiche straniere nelle determinare la politica del settore, come riporta “Al Watan”.

La cabina di regia di queste decisioni politiche è stata il “consiglio dei ministri” di un governo provvisorio con a capo un ex-fedelissimo di Bouteflika e con un Presidente ad interim, Bensalah – in carica ben oltre la scadenza prevista dalla Costituzione già da inizio luglio – e che ha come “numero due” proprio Salah; e con un parlamento, cioè l’Assemblea Nazionale, di fatto svuotato di qualsiasi funzione e ormai ridotto a vuoto simulacro della rappresentanza politica, riesumato – come gli altri corpi istituzionali – proprio per l’approvazione dei due provvedimenti legislativi pertinenti le elezioni.

Le alte cariche dell’esercito vogliono procedere in maniera spedita verso l’elezione presidenziale – per cui è stata istituita una commissione indipendente e modificata la legge elettorale – come strategia d’uscita all’attuale impasse politico, di fatto selezionando tra i candidati “di punta” due anziani esponenti dell’era Bouteflika, poi caduti in disgrazia e relegati all’opposizione politica “tollerata”: si tratta di Ali Benflis e Abdelmajid Tebboune.

Ali Benflis, è stato a capo del governo dal 2000 al 2003 e attuale capo politico di Talaie El Hourrieyt, ha dichiarato di volere costruire una “coalizione per una uscita dalla crisi aprendo la via a un cambiamento democratico che integri la totalità delle rivendicazioni e delle aspirazioni della rivoluzione democratica pacifica”.

Abdelmajid Tebboune, benvoluto nell’ambiente militare ed in particolare da Salah, è stato ministro per solo 81 giorni, prima di cadere in disgrazia, e rimosso su pressione del fratello del Presidente e del potente uomo d’affari Ali Haddad, oggi incarcerato.

Tebboune, vecchio militante del FLN, più volte ministro, ha più un profilo di tecnocrate che da uomo politico, e rivendica le sofferenze inflittegli dalla cerchia di potere che l’ha allontano perché: “ciò che chiede l’Hirak, sono stato il primo a domandarlo” e quindi a subirne le conseguenze.

L’attuale blocco di potere ha di fatto ignorato le richieste minime dell’Hirak, timidamente propugnate dall’“istanza di dialogo e mediazione” presieduta da Karim Younès – ex presidente dell’Assemblea Nazionale, defenestrato dall’ex Presidente durante la fase crepuscolare della suo mandato – che è stata probabilmente solo un espediente di facciata per prendere tempo ed costruire una via d’uscita.

Questa Commissione, che non ha mai trovato il consenso delle forze politiche d’opposizione, né tanto meno la fiducia dell’Hirak, dopo numerosi rifiuti e defezioni (nonostante i numerosi incontri avuti con vari soggetti), ha reso pubblico l’8 settembre il suo rapporto, suggerendo qualche “gesto di distensione” per fare accettare meglio le elezioni presidenziali, cui si è allineata.

Nonostante “l’ottimismo” dimostrato da alcuni suoi esponenti, le richieste fatte – tra cui: le dimissioni di Bedoui e del suo governo, la liberazione dei militanti e dei manifestanti incarcerati, la commissione di una commissione elettorale realmente indipendente, la modificazione della legge elettorale, l’apertura dei media e la rimozione della censura – sono rimaste lettera morta. Anzi,  da inizio settembre la situazione è peggiorata.

Ad Algeri, il dispositivo filtrante  per le manifestazioni è stato rafforzato – e per la prima volta espressamente rivendicato da Salah -, la cappa di omertà dei media è aumentata, così come le difficoltà per le voci fuori dal coro di poter esercitare la propria funzione giornalistica (come il caso del giornale algerino digitale in lingua francese “TSA”, oscurato in Algeria da tre mesi, e le difficoltà incontrare dal quotidiano “El Watan”). E’ stata rifiutata per la terza volta consecutiva la scarcerazione della leader del PT Louisa Hanoune, così come rimane in carcere l’ex combattente della lotta di liberazione nazionale Lakhdar Bourega. Numerosi esponenti dell’Hirak sono stati arrestati, come nel caso di Karim Tabbou, ex segretario del FFS, trattenuto l’11 settembre, poi rilasciato e di nuovo interrogato dopo qualche giorno.

L’ultima stima del Comitato creato ad hoc per la liberazione dei detenuti politici e di opinione ha fatto una stima approssimativa per difetto conteggiando almeno 70 prigionieri.

In generale, tranne la piazza, si è assistito ad una chiusura degli spazi di riunione politica, in particolare verso quel campo di forze che propugna una transizione reale e l’elezione di una Costituente in grado di scrivere una nuova Costituzione come conditio si ne qua non per il superamento dell’attuale sistema che una semplice elezione presidenziale non farebbe che perpetuare.

Il presidente del partito islamista MSP Abdelrrazak Makri, il vecchio ministro Abdelaziz Rahabi, che aveva coordinato un tentativo di dialogo all’inizio dell’Estate riunendo il 6 luglio, il “Forum del Dialogo Nazionale”, così come un altro vecchio ministro Mohamed Saïd, dirigente del PJL (secondo cui “le condizioni attuali non incoraggiano l’organizzazione delle elezioni permettendo l’emergere di un presidente che, forte della legittimità popolare, sarà capace di gettare le nuove basi per uno stato democratico”), ritengono che i presupposti non si siano ancora sviluppati per la tenuta di elezioni presidenziali.

Dello stesso avviso è stato temporaneamente anche Ali Benflis, che poi ha però depositato la sua candidatura.

Nonostante tutto ciò, il 32° venerdì dell’Hirak ha visto una partecipazione massiccia ad Algeri ed in molte altre città che hanno espresso il loro rifiuto per la tenuta delle elezioni presidenziali, la liberazione dei detenuti politici e il rigetto dei simboli del vecchio regime.

Il braccio di ferro nelle settimane a seguire tra il blocco di potere e l’Hirak si annuncia piuttosto teso…

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