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Cile e Bolivia. Il protagonismo politico dei lavoratori

Al fragore della dinamite, minatori e contadini marciano per difendere il trionfo di Evo

I movimenti sociali sono arrivati alla sede del Governo a La Paz per difendere la vittoria di Evo Morales alle elezioni presidenziali del 20 ottobre, che l’opposizione non riconosce. Minatori, contadini, lavoratori, con una decisione: rimanerci finché sia necessario.

La città di La Paz è diventata un tabellone di strada dovei due blocchi politici contrapposti si muovono per occupare spazi. È uno scenario che si ripete ogni giorno dalla scorsa settimana, quando il candidato oppositore Carlos Mesa non ha riconosciuto la vittoria presidenziale di Evo Morales, e sono cominciate le proteste, alcune di queste, violente, con l’incendio di sedi del partito di Governo Movimiento al Socialismo (MAS) e del Tribunale Supremo Elettorale.

La capitale della Bolivia è diventata da allora una città dove a partire dalla mattina presto cominciano i primi blocchi stradali da parte degli oppositori. Sono gruppi piccoli, in genere, e in zone centrali e ricche.

La risposta della polizia è stata quella di lasciar fare, però questo martedì 29 hanno smesso di concedere i blocchi nelle zone centrali per non ostacolare il passaggio dei veicoli, in particolare quelli dei trasportatori. I blocchi hanno causato perdite economiche e questo è stato uno dei settori colpiti, arrivando a creare momenti di tensione e scontri tra conduttori di autobus e manifestanti.

Al suono della dinamite

Martedì è stato pure il giorno in cui i movimenti sociali hanno messo in pratica la decisione presa lunedì 28 durante la cerimonia di El Alto insieme a Evo Morales: difendere la vittoria nelle strade e in particolare proteggere la sede del governo, conosciuta come la Casa Grande del Pueblo.

Perciò, durante la giornata, sono arrivate delegazioni di differenti organizzazioni provenienti dea varie parti del paese. Una di queste era quella della cooperativa dei minatori che hanno sfilato in differenti punti della città in una mobilitazione caratterizzata da esplosioni di dinamite.

«Noi delle cooperative dei minatori siamo per far rispettare la democrazia che si è guadagnata con la lotta», ha affermato Feliciano Mamani, presidente della Federación Nacional de Cooperativas de Bolivia, di fronte a una colonna di minatori e minatrici con caschi e bandiere tricolori, venuti da vari dipartimenti del paese.

«All’opposizione vogliamo chiede con rispetto che deve accettare, ha perso e c’è un vincitore che è Evo Morales», ha aggiunto.

La colonna dei minatori si è incontrata, nelle vicinanze della sede del Governo, con iscritti del MAS, dirigenti politici, lavoratori, delegazioni di movimenti indigeni arrivati da varie parti del paese.

«Stiamo appoggiando il presidente, il nostro fratello Evo Morales perché abbiamo vinto nelle urne e noi lo appoggeremo fino alle estreme conseguenze », ha affermato Beti Gutiérrez, consigliera della città de La Paz.

La difesa della sede del Governo e del centro della città non avrà tregua finché non si arrivi a una soluzione. Quale sarà? Ancora non è chiaro. Il vicepresidente, Álvaro García Linera, ha proposto di realizzare una consultazione nazionale alla presenza di un «arbitro internazionale», e dall’opposizione si è affermato che a questo accordo si sarebbe giunti solo in caso di consultazione che hanno denominato «vincolante».

Il messaggio degli Stati Uniti è stato quello di chiedere seconda tornata elettorale. Così ha detto il segretario di Stato, Mike Pompeo: «Facciamo appello alla Bolivia affinché restauri l’integrità elettorale e proceda a una seconda tornata di elezioni giuste, trasparenti, e credibili».

La decisione di quelli che si sono mobilitati e quella di rimanere finché sia necessario. Pure l’opposizione, da parte sua, ha ripetuto che manterrà quello che ha chiamato sciopero e che ha fatto vari feriti, tanto a Santa Cruz come a La Paz. La capitale è così, dalle prime ore del mattino fino alla notte, epicentro di questa disputa che è, secondo quanto ha denunciato Evo Morales, un piano di colpo di Stato in pieno sviluppa.

*Fuente: MundoSputnik

*Fonte: MundoSputnik

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Dal 21 ottobre le lavoratrici e i lavoratori, studenti e altre forze sociali si sono riversate nelle strade chiedendo la fine dell’abuso e della menzogna.

Abbiamo chiamato responsabilmente a sciopero, abbiamo suggerito a lavoratori e lavoratrici che non facciano alcuno sforzo per presentarsi sui luoghi di lavoro se non sono in condizione di farlo. E questa convocazione continua ad essere pienamente valida, finché duri lo stato d’emergenza, la repressione militare e poliziesca, e non si risponda alle richieste della popolazione.

E così l’hanno intesa migliaia e migliaia di lavoratori che recepiscono i nostri orientamenti per rispondere alle minacce di licenziamento e diminuzione del salario come forma di pressione per presentarsi al lavoro.

Che sia chiaro, il blocco, lo sciopero, è uno strumento di tutte e tutti quelli che ne hanno abbastanza dell’abuso, della bugia,della manipolazione e dei falsi patti sociali, che è il nome che ora cercano di dare alla trappola divisionista che stanno istallando.

Ed è precisamente pensando a quello che sarà che vogliamo fare estrema chiarezza circa la nostra posizione e da questa cercare di unirci a tutte quelle forze popolari che hanno detto BASTA (NO MAS).

La nostra Centrale Classista nasce dopo anni di lavoro e di costruzione di differenti organizzazioni sindacali che,  stufe dei cedimenti delle strutture e centrali esistenti, decidono di portare avanti un progetto che si regga sui principi e metodi organizzativi storici della classe lavoratrice, caratterizzati dall’autonomia sindacale con un orizzonte chiaramente definito: farla finita con il capitale e il suo sistema di sfruttamento e oppressione.

Abbiamo detto con chiarezza che la Centrale Classista non si muove in opposizione alla CUT e alle altre centrali, bensì esprime con chiarezza l’esistenza di due tipi di sindacalismo, due strade  organizzative: una di conciliazione delle classi, clientelare, burocratica e che propone richieste e rivendicazioni cosmetiche, l’altra, di classe, che ammette che la storia la  fa la lotta di classe e si assume il dovere di porsi dalla parte della difesa degli interessi della classe lavoratrice, che prende corpo nella solidarietà di classe e nella partecipazione delle basi.

Con molto sforzo e arduo lavoro siamo riusciti a dare forma a una forza sindacale, che sappiamo che è ancora in embrione e con alcune carenze e debolezze. Ma senza alcun dubbio, abbiamo chiarezza sui nostri principi e piattaforma di lotta, e pure un piano di lavoro orientato principalmente all’educazione e formazione della nostra classe, alla crescita e sviluppo nazionale, e alla lotta e agitazione delle nostre giuste richieste. Siamo riusciti a formare commissioni di lavoro e rendere effettiva la democrazia sindacale per mezzo della 1º Assemblea Nazionale e dell’Elezione Universale del direttivo nazionale e metropolitano.

Sappiamo che la forza propria delle lavoratrici e dei lavoratori è fondamentale per riuscire a torcere la mano a questo sistema e abbiamo pure chiaro che è necessario organizzare le lotte dei differenti settori e generare una piattaforma che permetta di unificare l’insieme del popolo povero sotto un programma comune anticapitalista e antipatriarcale, che funzioni dall’indipendenza di classe e non sia cooptato dalla classe al potere, né dai suoi organismi, partiti, o organizzazioni.

Abbiamo visto negli ultimi anni come stiano sorgendo espressioni e organizzazioni popolari, senza dubbio, l’atomizzazione e la frammentazione continuano ad essere imperanti, e il nostro popolo continua ad essere sommerso nella divisione interna, invece di identificare il suo reale nemico. Il sorprendente sollevamento popolare prodotto da decenni di abuso, ci dimostra con maggior chiarezza la necessità di costruire i nostri propri strumenti organizzativi che ci permettano di avanzare organizzati con passi ogni volta più fermi.

La forza del popolo sta nella sua unità, ma una unità con senso, coscienza e identità di classe, che, avendo l’orizzonte chiaro, marca il suo cammino.

Il nostro appello è a creare un polo sociale anticapitalista che agglutini organizzazioni di lavoratori e lavoratrici, studenti, abitanti delle periferie, donne, diversità sessuale, e che, insieme, identifichiamo la nostre necessità e delineiamo la nostre richieste,  pianificando un piano di lotta comune. Lavoreremo con tutte le nostre forze per questo e facciamo un appello aperto a tutti quelli che sentono che una volta per tutte dobbiamo unirci per rispondere alla prepotenza del sistema.

Infine vogliamo esprimere la nostra posizione rispetto a uno dei temi in discussione. La giornata di 40 ore settimanali di lavoro.

Ieri è stata approvata alla Camera di Deputati l’idea di legiferare sulle 40 ore.  Da quanto si sa (che è molto poco) detto progetto  mantiene importanti discriminazioni (articoli 27 e 34 bis, tra gli altri, dell’attuale Codice) su cui quasi nessuno (salvo la nostra Centrale) ha fatto attenzione. Di fatto, l’articolo 27 attuale lascerà fuori dalla giornata di lavoro quelli che lavorano in hotel, ristoranti e club, salvo eccezioni in amministrazione, cucina, lavanderia e teleria.

Tutti questi lavoratori possono fare per legge fino a 12 ore giornaliere per 5 giorni e, siccome finora non è in discussione la deroga di questo articolo, continueranno ad essere esclusi da un diritto che è di tutti. Il caso dell’articolo 34 bis, è ancora più preoccupante perché stabilisce che i lavoratori dei ristoranti potranno concordare turni di 8 ore giornaliere, però con una interruzione in ciascun giorno di lavoro fino a 4 ore per giornata.

É per tale ragione che abbiamo insistito sull’importanza che il progetto di legge stabilisca una giornata continua di lavoro giornaliero, che insistiamo deve essere di 8 ore. Se è meno, tanto meglio, però deve essere esplicitamente indicato.

Ora che tutti cominciano a parlare dei diritti dei più sfruttati e abusati vale la pena di chiedersi: Se diminuisce la giornata lavorativa, sarà fattibile che i lavoratori migliorino la dignità e qualità della loro vita come dicono governo e opposizione? La risposta è categorica. NO.

Nel nostro paese, diminuire la giornata di lavoro a 40 ore settimanali non implica, in assoluto, un miglioramento della dignità e delle condizioni di vita del lavoratore. I governi, o parlamenti e i padroni hanno molta chiarezza sul fatto che i lavoratori guadagnano un salario miserabile che non permetterebbe loro di vivere con dignità, al limite della sopravvivenza. Infatti fanno poco e niente per legiferare su questo particolare.

Pertanto: Non solo si deve lottare per una diminuzione della giornata di lavoro, ma bisogna pure chiarire molto bene che detta giornata non permetterà discriminazioni e sarà continuativa senza tagli né interruzioni di alcun tipo. Allo stesso tempo è fondamentale lottare per un aumento del salario minimo, e non solo questo, si deve chiedere il pagamento del bonifico per la locomozione e la colazione che equivalga alle spese medie che il lavoratore deve sostenere per queste cose.

I lavoratori, il popolo non devono mollare nella loro lotta per una vita migliore, ma questo necessariamente implica partecipazione attiva. Per questo insistiamo per la costruzione di migliaia e migliaia di Sindacati in tutti i posti di lavoro, come pure per la presentazione di documenti con le richieste più sentite. Solo così faremo un passo avanti nella lotta per la dignità e la giustizia.

Basta con gli abusi!! Che se ne vadano tutti!!

CENTRAL CLASISTA DE TRABAJADORAS Y TRABAJADORES

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