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Il tour euroasiatico di Mike Pompeo tra Kiev, Minsk, Astana e Taškent

Con sincronismo perfetto, in questi giorni l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e il Segretario di stato USA Mike Pompeo hanno detto le stesse cose: la Russia deve restituire la Crimea all’Ucraina e smettere di sostenere il Donbass. Roba da non credere: chissà come avranno fatto a pensare la stessa cosa nello stesso giorno; nemmeno si fossero messi d’accordo! Eppure erano a un paio di migliaia di chilometri di distanza gli uni dall’altro: il capo del Pentagono si era infatti disturbato per arrivare fino a Kiev, a ricevere gli omaggi di Vladimir Zelenskij, mentre gli altri sedevano sui banchi di Strasburgo. Ma, il miracolo della trasmissione di pensieri si è avverato.

Stando alle fonti, per la risoluzione di Strasburgo, che chiede alla Russia di cessare “l’ingerenza militare” e “l’appoggio alle formazioni armate illegali” nel Donbass, oltre al perenne delenda Carthago del “restituire la Crimea”, su 321 deputati, 49 avrebbero votato a favore, 17 contro e tre si sarebbero astenuti: d’altronde, era già iniziato il weekend. Una risoluzione giudicata determinante da Kiev, i cui rappresentanti a Strasburgo l’avevano appunto proposta: senza di essa, nonostante i quotidiani bombardamenti sul Donbass, finanche sulla periferia di Donetsk, le truppe di Kiev non riescono a venire a capo della resistenza delle milizie popolari di DNR e LNR.

Nella capitale ucraina, invece, Pompeo si è intrattenuto col presidente Zelenskij, col Ministro degli esteri Vadim Pristajko e il Ministro della difesa Andrej Zagorodnjuk. “Il sostegno americano all’Ucraina è saldo e intendo sottolinearlo nell’incontro coi leader del governo ucraino, coi quali discuteremo lo sviluppo del nostro partenariato strategico e il rafforzamento dell’Ucraina quale stato libero e democratico”, aveva dichiarato Pompeo alla vigilia dell’arrivo a Kiev.

“Gli Stati Uniti difendono la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Continuiamo a sostenere l’Ucraina nell’adesione alla NATO e nell’avvicinarsi all’Unione europea”, ha affermato il Segretario di stato nella conferenza stampa al termine delle reverenze tributategli a Kiev. Pompeo ha anche sottolineato che Washington non riconoscerà mai i tentativi della Russia di legalizzare l’annessione della Crimea e ha ricordato che, dal gennaio 2017 a oggi, gli USA hanno fornito all’Ucraina oltre 1 miliardo di dollari di aiuti “per la difesa”. E continueremo a farlo, ha detto.

Secondo Alexandr Zubčenko, che ne scrive su news-front.info, Washington, in base al programma del 2018 “Governance democratica nell’Ucraina orientale”, ha stanziato 57 milioni di dollari (di cui 21 già spesi) con l’obiettivo di neutralizzare la “diffusa mentalità sovietica nella regione” del Donbass, per introdurvi una “integra identità civica”.

Poi, da sincero democratico e avveduto uomo d’affari, Pompeo ha sottolineato che gli USA intendono garantire che l’Ucraina sviluppi la supremazia del diritto, migliori il clima degli investimenti, riformi il settore della difesa e rafforzi l’indipendenza energetica. E te pareva: messa un po’ la sordina, per ovvii motivi interni, ai contatti di Joe e Hunter Biden per gli affari di gas in Ucraina, tocca a mobilitare il Dipartimento di stato, braccio operativo del business yankee.

Questo, per quanto riguarda gli affari. Quanto poi a supremazia del diritto, una manciata di giorni prima i compatrioti del buon Zelenskij lo avevano già mostrato quanto la rispettino, accompagnando in alta uniforme – della Wehrmacht – uno degli ultimi “patrioti” ucraini che ottant’anni fa già combattevano dalla stessa parte dell’odierna ucraina majdanista, cioè nella Divisione SS “Galizia”.

E poco importa che, nell’atto di costrizione e insieme di orgoglio nazionale, andato in scena il 27 gennaio, Vladimir Zelenskij, ebreo, avesse versato lacrime per gli ebrei morti a Auschwitz e avesse ascritto all’Ucraina la liberazione del campo di sterminio nazista, se poi per le strade di Kiev e delle principali città dell’Ucraina occidentale, si continuano a celebrare le gesta di uno dei peggiori arnesi dei pogrom anti-ebraici, quel Stepan Bandera che, negli stessi documenti della CIA, viene indicato come “terrorista” e “agente di Hitler”. Poco importa: tantomeno al Dipartimento di stato, dato che la CIA aveva iniziato sin dal 1948 (queste le date ufficiali: per sapere qualcosa di più sugli anni precedenti, si dovrà aspettare ancora un po’) a servirsi degli uomini della cerchia più vicina a Bandera per le operazioni in territorio sovietico. Uno di tali elementi fu Mykola Lebed, in precedenza a capo del servizio di sicurezza dell’OUN e principale referente per le operazioni della CIA “Aerodynamics”, condotte in collaborazione con i servizi segreti britannici, italiani e tedeschi. Addestrato nel centro tedesco di Zakopane, in Polonia, pare che il ruolo di Lebed sia stato determinante nell’operazione “CARTEL”, in cui profuse tutta l’esperienza accumulata durante la guerra, allorché l’ala Bandera dell’OUN aveva perpetrato massacri di decine di migliaia di polacchi e di ebrei che abitavano nelle aree occidentali dell’Ucraina, soprattutto Galizia orientale e Volinia.

Ma tant’è: nelle operazioni pianificate dalla CIA per tentare di frantumare l’URSS anche con insurrezioni armate e in cui un ruolo determinante era affidato proprio alle zone ucraine con le più forti spinte nazionalistiche, gli ex terroristi dell’OUN-UPA rivestivano un ruolo significativo.

Nelle circa undicimila pagine desecretate dalla CIA, una grossa parte è dedicata a “Stepan Bandera e lo stato ucraino nel 1941”: nel 1948 Washington definiva chiaramente terroristi quello che è oggi l’eroe nazionale dell’Ucraina golpista e i membri della sua organizzazione. Bandera, è detto nei documenti yankee, che sin dall’inizio della sua carriera operò contro Russia e Polonia, è probabilmente il leader nazionalista più significativo in Ucraina insieme ad Andriy Melnik.

Aveva fatto parte dell’organizzazione terroristica OUN (Organizzazione dei nazionalisti ucraini) e prese parte all’omicidio del Ministro degli interni polacco di Bronislaw Peratski”. “Il 30 giugno 1941 il fascista ucraino e agente professionista di Hitler, Stepan Bandera proclamò a L’vov la creazione dello stato dell’Ucraina Occidentale”, è detto nei documenti USA, che citano un articolo del 1951 della rivista menscevica Bollettino socialista, destinata all’emigrazione russa, in cui è scritto anche che Bandera si era dedicato “con zelo particolare ad adempiere le indicazioni di Hitler”. Secondo tale documento, in cinque settimane di esistenza di quello “stato ucraino occidentale”, furono uccisi più di cinquemila ucraini, quindicimila ebrei e diverse migliaia di polacchi.

Ma ciò non impedisce al sindaco di Ivano-Frankovsk, – la città in cui oggi ai funerali di veterani delle SS si va addobbati in uniforme nazista – di progettare l’installazione di un monumento a Bandera in prossimità della frontiera russa; così come non impedisce al presidente polacco Duda di celebrare l’alleanza polacco-ucraina contro la RSFSR di ieri e la Russia di oggi; e non impedisce alla CIA di mettere a frutto l’esperienza terroristica dei nazisti passati e moderni.

Dopo Kiev, il tour porta Mike Pompeo a Minsk, per incontrare il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko che, per l’occasione, sui media europeisti, smette le vesti di “ultimo dittatore comunista d’Europa” e diviene “partner strategico” contro Mosca, soprattutto nella “indipendenza energetica” dal Cremlino che sta tanto a cuore a Pompeo.

Dopo Minsk, è la volta di Kazakhstan e Uzbekistan: un accerchiamento “energetico” perfetto, da ovest a sud e sudest della Russia.

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