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Il rebus Bertone parla a tutti noi

Quando il gioco si fa duro conviene esser seri, mettere da parte i luoghi comuni e guardare in faccia i dati reali.

Alla ex Bertone di Grugliasco, in tutte le assemblee, gli operai e gli impiegati della carrozzeria di lusso ormai senza lavoro da più di sei anni avevano criticato dettagliatamente e senza giri di parole la “proposta Fiat” che riproponeva pari pari i diktat di Pomigliano e Mirafiori. Lo avevano fatto insieme alla Fiom, che lì raccoglie il 62% degli iscritti (mentre in Campania e a Torino era minoranza, seppur rilevante). Eppure qui i “sì” al ricatto hanno raggiunto l’88%, mentre a Pomigliano si erano fermati a poco più del 60 e a Mirafiori al 53%, ma solo grazie all’apporto decisivo dei molti “capi” lì presenti.

Paradossalmente, dunque, nella fabbrica dove la Fiom ha una “maggioranza costituzionale” il “sì” straripa.

Bisogna dunque aver presente la situazione concreta per avanzare poi un giudizio politico e sindacale sull’avvenuto.

La Bertone è una fabbrica chiusa da sei anni. I dipendenti (circa 1.100) l’hanno tenuta aperta a dispetto dell’assenza di compratori. Sei anni passati tra cassa integrazione e mobilità, fin quando non s’era aperta la “procedura concorsuale” – ultima alternativa al fallimento e al licenziamento definitivo di tutti i dipendenti – e s’era fatta avanti la Fiat. Un anno e mezzo fa. Che acquisiva a prezzo di favore un’area che solo sul piano immobiliare vale sei o sette volte il prezzo pagato. L’accordo allora siglato prevedeva esplicitamente che tale “favore” fosse funzionale al rilancio della produzione e alla salvaguardia dei posti di lavoro. Del resto lo stesso Marchionne riconosceva che lì c’erano professionalità di altissimo livello e il reparto verniciatura più avanzato e moderno d’Europa.

Poi il voltafaccia dell’azienda: o come a Mirafiori o me ne vado. E quindi ritmi assurdi, niente diritto di sciopero, sanzioni per lavoratori e sindacati che “non rispettano lo spirito dell’accordo”, fino al licenziamento. Nel frattempo predisponeva il sito alternativo per produrre un nuovo modello Maserati: a Graz, in Austria, non a Mirafiori (come mettevano in giro i sindacati “complici”).

Come altrove, peggio che altrove. Lo stabilimento di Grugliasco, infatti, non è ancora pienamente nella proprietà e gestione Fiat. La procedura concorsuale, infatti, concede due anni per la decisione definitiva; entro questo tempo può decidere di restituire tutto – dipendenti compresi – al commissario liquidatore e non pagare più un solo anticipo di cassa integrazione. Siamo a un anno e mezzo: i lavoratori avrebbero solo sei mesi di cig e poi tutti a spasso.

L’età media, come la professionalità, è alta. Impossibile ricollocarsi sul mercato del lavoro.

Questi i dati oggettivi.

 

La Fiom ha affrontato la partita riproponendo lo schema adottato con successo a Pomigliano e Mirafiori: “il referendum è illegittimo, quindi non firmeremo mai quell’accordo; ma i lavoratori sono liberi di comportarsi come ritengono meglio; in ogni caso non li lasceremo soli”.

Ma a Grugliasco la Fiom, dicevamo, è “maggioranza costituzionale”, raccoglie i due terzi dei voti. Prendere posizione per i “no” e poi dover affrontare una maggioranza di “sì” sarebbe suonato una sconfessione. Ma difficile anche premere davvero sugli iscritti per far vincere il “no” e quindi assumersi la responsabilità del loro licenziamento.

La soluzione trovata è stata spiegata così da Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom con la delega per il settore auto, in un’intervista a “il manifesto” del 3 maggio, realizzata da Antonio Sciotto.

 

«Il sì una vera genialità operaia Adesso contrastare quell’accordo»

«La scelta di dare indicazione per il sì viene da una vera e propria genialità operaia». Con queste parole, il segretario nazionale della Fiom Giorgio Airaudo spiega la decisione dei delegati Bertone, andare cioè verso il sì a un contratto contestato con la Fiat, ma subito dopo chiedere la verifica del proprio mandato a tutti i dipendenti. Il contratto Bertone è mutuato su quello siglato a Pomigliano il 29 dicembre 2010, mai accettato dalla Fiom perché contiene non solo il peggioramento delle condizioni di lavoro, ma anche la rinuncia al diritto di sciopero.
In che senso «genialità operaia»? Accettare quanto chiede Marchionne, non è semplicemente una sconfitta? Da fuori apparirebbe così…
Va spiegato bene il contesto, e si capirà che la decisione dei nostri delegati resta nella linea di contrasto all’azione della Fiat e ai ricatti di Marchionne, pur accettando in questa fase di dover dire sì. A Pomigliano, come ricordiamo, non si era data nessuna indicazione per il referendum, mentre a Mirafiori si erano formati i comitati spontanei per il no. Alla Bertone i nostri delegati restano profondamente contrari ai contenuti del contratto proposto dalla Fiat, ma hanno voluto rendere evidente di essere sottoposti a un ricatto: Marchionne non solo ha comunicato che non investirebbe, come negli altri due stabilimenti, ma ha annunciato addirittura che restituirebbe subito la fabbrica alla procedura concorsuale, il che vorrebbe dire licenziamento immediato per tutti. E come fai a decidere per il tuo stesso licenziamento?
Dunque ok: praticamente di fronte al licenziamento certo, devi intanto per forza dire sì, tantopiù che voi avete la maggioranza assoluta degli iscritti nella Bertone e la maggioranza delle Rsu. Come dire, scelta «responsabile». Ma il contrasto all’accordo quando avverrà?
Sì, in Bertone la Fiom ha 740 iscritti su 1091 dipendenti, e 10 Rsu su 15. Ma va subito detto che la Fiat, che qui perlomeno ha accettato di incontrare le Rsu e di intavolare una sorta di confronto prima di chiudere e porre il suo ricatto sul piatto, non ha tecnicamente neanche mai proposto un accordo. Ha semplicemente comunicato, in un testo di 10 righe, che dall’1 gennaio 2012 applicherà l’accordo di Pomigliano, mai firmato da noi, e neanche votato dai lavoratori: infatti si tratta di quello peggiorativo siglato il 29 dicembre 2010, mentre il referendum a Pomigliano, come ricorderete, fu fatto l’estate scorsa su una prima versione dell’accordo. Ebbene, era un prendere o lasciare. I delegati hanno voluto rendere evidente che i dipendenti non possono decidere il proprio licenziamento, e l’idea è stata questa: diamo indicazione per il sì, dicendo esplicitamente che però restiamo contrari al testo proposto da Fiat, e chiedendo alla Fiom di non firmarlo. Dopo il referendum, che è sempre illegittimo perché chiede di scambiare diritti indisponibili con il posto di lavoro, se vince il sì si va di nuovo all’elezione delle Rsu, si chiede una verifica, dato che le attuali Rsu non hanno saputo portare a casa un accordo soddisfacente con la Fiat.
Quindi, state dicendo che se anche vincesse il sì tra gli operai, voi della Fiom non firmereste?
Ma certamente. Noi continuiamo a essere contrari a questo accordo di Pomigliano che adesso Fiat vuole estendere via via a tutte le fabbriche, e le Rsu con la loro scelta ci hanno detto di continuare a contrastarlo. Con l’azione sindacale, e anche con la causa contro gli accordi separati siglati da Pomigliano in poi, che abbiamo depositato da poco e che andranno in prima udienza il 18 giugno.”

 

 

Una “mossa del cavallo”, la definisce sullo stesso giornale Loris Campetti. Dall’efficacia relativa, indubbiamente, e di cui si rendono conto gli stessi dirigenti Fiom.

E proprio la vicenda della Bertone mostra come, pur in presenza di una “linea sindacale” che resta identica sul piano nazionale, stabilimento per stabilimento le situazioni si presentano diverse e i comportamenti delle Rsu si articolano in modo differente.

Ma il punto davvero dirimente è di carattere produttivo, non “ideologico”.

Facciamo un po’ la mappa dei diversi accordi aziendali.

Alla Piaggio di Pontedera ­ che non è Fiat – c’è una forte attività produttiva e un importante presenza di impiegati; perché lì si concentra la divisione amministrativa di tutto il settore due ruote dell’azienda (per capirci: anche la produzione cinese viene “trattata” amministrativamente a Pontedera). Qui la Rsu aziendale assume una posizione più “di sinistra” rispetto alla segreteria nazionale, resistendo e criticando la firma di un accordo che – comunque – prevede la stabilizzazione di un certo numero di precari (ma non di tutti) e un certo numero di prepensionamenti.

Di Pomigliano e Mirafiori si è detto. Sono due stabilimenti a produttività minima, con lunghi mesi di cassa integrazione spezzati da brevi rientri in fabbrica per far fronte a ordini in calo di modelli ormai in esaurimento. Gli effetti dell’”accordo” – se sopravviverà alla verifica di legalità presso il Tribunale di Torino – si vedranno forse tra un anno.

A Melfi, invece, la produzione c’è (si costruisce la Grande Punto, l’unico modello Fiat assemblato in Italia che abbia un appeal sul mercato), ma si cominciano a fare sempre più spesso brevi turni di cig. Qui, a un accordo che prevede la sanzionabilità dei sindacati che promuovono scioperi (togliendo i permessi ai delegati), ma non dei singoli lavoratori, la Rsu aziendale Fiom si divide tra chi vorrebbe firmare e chi si oppone. Devono scendere in Basilicata si Airaudo che Maurizio Landini per ricucire un atteggiamento unitario.

A Termini Imerese, dove la Fiat concluderà in ogni caso la propria attività entro questo anno, tutta la lotta si concentra sul trovare alternative industriali credibili. La Rsu è unita, anche perché a questo punto le soluzioni non dipendono da una loro scelta.

All’Alenia Spazio, azienda statale ipertecnologica e senza problemi di commesse, dove il responsabile Fiom è un “camussiano” in guerra contro la segreteria nazionale e, tra le molte azioni di disturbo che mette in piedi, impedisce la presenza nella Rsu dei delegati Usb (lì il secondo sindacato, quanto a voti raccolti).

All’Iveco di Brescia (veicoli industriali) – fa parte di Fiat Industrial dopo lo spin off del Gruppo in due parti – la situazione è ancora diversa. Qui la produzione è ripresa alla grande, si è fatto un accordo che prevede numerose assunzioni e Fiat non ha mai posto problemi di riduzione dei diritti sindacali, né di “esigibilità” degli accordi. La rsu, ovviamente, non ha sofferenze interne (se non quelle “fisiologiche” di tutti gli insiemi umani).

 

Specie in questa situazione di crisi, con l’offensiva Fiat che punta a “sfondare” e stabilire un nuovo sistema di relazioni industriali basato sull’azzeramento dei diritti dei lavoratori e la scomparsa di qualunque sindacato punti a rappresentarli, è dunque difficile che cose si presentino in termini di “bianco e nero”. Non solo per i lavoratori, ma persino per la stessa Fiat (più debole e quindi “trattativista” là dove ha esigenza si salvaguardare una produzione che tira).

 

Un altro elemento strategico da sottolineare è questo: qualunque giudizio si dia della Fiom e della sua linea sindacale, è evidente che nei metalmeccanici si sta combattendo un conflitto decisivo per le relazioni industriali in questo paese senza che la categoria sia sostenuta dalla confederazione. La segreteria della Cgil, anzi, ogni volta che ha preso posizione pubblica lo ha fatto per mettere in difficoltà la categoria. Come quando il segretario campano della Cgil, Gravano, ha invitato a votare “sì” a Pomigiliano, mentre la Fiom – ufficialmente trincerata dietro l’illegittimità del referendum – sosteneva praticamente il “no”.

L’importanza della confederalità si vede proprio in queste battaglie. Ed è evidente che per l’attuale segreteria confederale della Cgil il dado è tratto: si cercherà di “rientrare in gioco” – alle condizioni già fissate da imprese, sindacati “complici” e governo – non appena si toglierà di mezzo l’unico problema cui la Camusso sembra sensibile: Berlusconi.

 

 

Proponiamo qui altri articoli e interviste che possono aiutare a capire problemi, contraddizioni e posizioni diverse sulla vicenda della Bertone.

*****

 L’intervista de La Repubblica di oggi a Landini:

“Ha prevalso l’intelligenza dei lavoratori ma noi non sigleremo”

PAOLO GRISERI

TORINO

Marizio Landini, segretario generale della Fiom, è nel mirino di Bonanni e di Cremaschi, perdire il sindacato moderato e quello radicale. Landini, chi ha vinto alla ex Bertone?

«Ha vinto l’intelligenza dei lavoratori che non hanno accettato la pistola puntata alla tempia da parte dell’azienda».

E’ stata una scelta intelligente votare un accordo che la Fiom giudica inaccettabile?

«Noi non firmeremo mai l’esito di un referendum che non è libero, che si è svolto sotto il ricatto di perdere il lavoro. Ma giudichiamo intelligente la scelta di quei lavoratori che hanno deciso di rifiutare il ricatto».

E se la Fiat non si accontentasse del si di ieri? Se chiedesse lafirma della Fiom?

«Allora vorrebbe dire che la Fiat non vuole fare l’investimento. Che fa politica, che cerca pretesti e scuse come Bertoldo».

Ma voi firmereste?

«Non abbiamo firmato a Pomigliano e Mirafiori accordi che giudichiamo illegittimi. Abbiamo anche chiesto che la magistratura lo stabilisca. Non si capisce come possano chiederci di firmare alla ex Bertone».

Crede che dopo questa vicenda la Fiom sia più forte o più debole?

«Mi pare che gli attuali delegati godano digrande prestigio in fabbrica e quelli di loro che sono iscritti alla Fiom hanno apprezzato la nostra posizione».

Bonanni dice che alla ex Bertone avete preso una batosta e che a questo punto anche la Fiom dovrebbe firmare…

«Non capisco da dove Bonanni tragga questa sua convinzione. Constato che i suoi, a furia di firmare, alla Fiat hanno cancellato i contratti, sia aziendali che nazionali, e ora hanno fatto sparire anche le rsu. Non mi sembra un risultato di cui un sindacalista possa andare fiero».

Che cosa risponde a chi vi fa notare che con il braccio di ferro con la Fiat state perdendo iscritti?

«Che non è vero. Aumentiamo in media del 9-10 per cento».

Nella Fiom non tutti sono d’accordo sulla scelta compiuta alla ex Bertone. Non teme una spaccatura interna?

«La Fiom, a differenza della Fiat, è un’organizzazione trasparente e dunque i dissensi emergono all’esterno».

Secondo lei alla Fiat no?

«La Fiat è l’ultima organizzazione leninista, non lo permetterebbe mai».

Da voi invece la polemica è forte. C’è chi vi accusa di aver tradito il mandato dell’organizzazione. Come risponde?

«Che la Fiom ha mantenuto fede alla linea decisa. Non firmeremo accordi che vanno contro le leggi italiane ed europee e dunque la Fiom come organizzazione non firmerà nemmeno alla Bertone. Non so di che cosa sta parlando chi ci critica su questo punto».

Cremaschi dice che alla ex Bertone bisogna sconfessare i delegati..

«Non lo commento».

Ieri avete perso un ricorso in magistratura. Federmeccanica vi invita a riflettere. Lo farete?

«Vorrei che tutti riflettessero. Anche nel ricorso perso il magistrato giudica valido il contratto del 2008 che Federmeccanica ha disdetto. E’ chiaro che non si risolvono i problemi sindacali in tribunale. Ma se uno viola la le e è giusto che intervenga il tribunale».

Come se ne esce?

«Con regole certe sulla rappresentanza in fabbrica. Regole che stabiliscano chi e quando ha diritto di firmare. Che impediscano gli accordi separati. Noi siamo pronti a trattare. Federmeccanica è d’accordo?».

*****

“I metalmeccanici stanno sbandando”

Intervista a Giorgio Cremaschi

Giorgio Cremaschi, membro del direttivo nazionale Cgil e presidente del comitato centrale della Flom, prima di spiegare perché la Fiom rischia di sbandare sulla Bertone e quindi non deve firmare l’accordo ci tiene a parlare di Piero Fassino, candidato sindaco del Pd. “Ha elogiato l’accordo ma si dovrebbe vergognare perché di fronte alla vera usura di Marchionne nei confronti degli operai è stato finora in silenzio. Ora dice bravi!”. Ma dovrebbe stare zitto’ .

Cremaschi, lei contesta la scelta degli operai alla Bertone?

Non ho niente da dire ai lavoratori se non ammirarli: di fronte a un ricatto hanno dovuto reagire. 1l problema è il “ri schiosbandata” della Flom.

Cioè?

1151 al referendum non mi scandalizza perché di fronte a un referendum che è illegittimo si può anche decidere di votare sì perché si reagisce a un ricatto.

Cosa vuole dire che la Fiom rischia di sbandare?

Il vero problema è se, dopo il referendum, la Fiom firma l’accordo.

Ha già detto di no.

Certo, ma non si può avere un atteggiamento diverso tra la Fiom nazionale e la Fiom della Rsu. Un conto è dire “il referendum fa schifo ma votiamo sì’, un’altra è firmare l’accordo. Che invece non può essere firmato nemmeno dalle Rsu aziendali.

Ma il referendum dà loro ragione.

Le Rsu possono, se vogliono, firmare per la riduzione delle pause. Ma non possono rinunciare a diritti fondamentali come quello di sciopero o come ll diritto al contratto nazionale. E non lo può fare nessuno della Fiom. Se le Rsu Flom firmano è la Fiom che ha firmato.

Cosa si dovrebbe fare, allora?

Lunedì prossimo, al Comitato centrale. noi chiederemo che la Flom confermi il “no” all’accordo in tutti gli stabilimenti. Eventuali firme di rappresentanti delle Rsu devono essere personali e non impegnare in nessun modo l’organizzazione.

Ma cosa cambia nel concreto?

Cambia che in questo modo la Fiom non si assume quella scelta, non rinuncia a diritti di base e così come per le cause a Pomigliano o a Mirafiori dovrà farle anche alla Bertone.

Non giudica quindi, come pure è stato detto, la decisione alla Bertone, una “mossa del cavallo”?

Nella mia storia sindacale quando ho sentito parlare di mosse del cavallo’, dopo ho visto solo disastri. Dovremmo esprimere con chiarezza quello che siamo disposti a firmare e quello che non possiamo. Ma basta con i referendum-ricatto.

Cambia qualcosa nel governo della Fiom?

Penso e spero di no. La sbandata c’è stata perché l’insieme delle posizioni assunte non sono le stesse. Se c’è un cambiamento dell’orientamento, anche se non dichiarato, l problemi ci saranno. I “no’ di Pomigliano e Mirafiori sarebbero dovuti diventare un patrimonio della Cgil ed essere fondativi di uno sciopero contro ll governo e la Confindustria. Invece, ll più duro attacco ai lavoratori degli ultimi trent’anni è stato sostenuto da Cisl e Uil e minimizzato dalla Cgil.

Lo sciopero del 6 maggio può essere utile?

Dopo il triste e inutile I maggio, non credo. La segreteria della Cgil sta inseguendo disperatamente, anche con lo sciopero, la Cisl e la Uil oltre che Confindustria con l’obiettivo di battere Berlusconi. Ma non si rende conto che il governo reale del paese li vede tutti insieme. Confindustria, Cisl, Uil e Berlusconi.

* Intervista di Salvatore Cannavò su il Fatto del 4 maggio

*****

Loris Campetti
 Quel sì (sofferto) al 90 percento «Ora il Lingotto deve trattare»

 

TORINO
La Bertone non si governa senza e contro la Fiom. L’esito del referendum truffa con cui la Fiat puntava la pistola alla testa dei 1091 dipendenti minacciandone il licenziamento in caso di vittoria dei no, ha dato un esito impensabile senza la decisione delle Rsu Fiom di votare sì per scaricare l’arma di Marchionne: i «sì» sono stati 886, circa il 90 percento dei lavoratori, 111 i «no». Risultato impensabile a Pomigliano o a Mirafiori dove la Fiom è non rappresenta i due terzi dei lavoratori. CONTINUA | PAGINA 2
Sì per non morire, rifiutando di farsi scaricare addosso la responsabilità per la fuga dalla Bertone, da Torino e dall’Italia; ma la Fiom, dicono, non deve firmare lo scambio tra lavoro e diritti e procedere con le cause contro la Fiat che cancella il contratto e viola Statuto dei lavoratori e Costituzione.
Nell’angolo ora non ci sono i lavoratori Bertone ma la Fiat che non ha più alibi, deve investire e trattare con chi li rappresenta: la Fiom. Basterà a Marchionne il voto dei lavoratori, accompagnato dall’indicazione delle Rsu Fiom di esprimersi criticamente, rabbiosamente, per il sì? Oppure pretenderà, come alcuni dei suoi collaboratori più assatanati, che Landini in persona vada a prostrarsi al Lingotto chiedendo «per favore, non abbandoni la Bertone e l’Italia»? Certo la mossa del cavallo ha lasciato senza parole Marchionne, i falchi e le colombe della Fiat, la politica di ogni schieramento. Persino una piccola parte della Fiom (come Giorgio Cremaschi) contesta questa decisione e le Rsu della Bertone, e a chi lo fa risponde Giorgio Airaudo, segretario nazionale: «In questa vicenda, con l’aggressione della Fiat, l’assenza della politica, i sindacati divisi, ogni mossa va pensata e collegata alla situazione generale. In Fiom non c’è una tradizione di unanimismo ma non si può far venir meno la solidarietà verso chi è nell’occhio del ciclone, gli operai e i delegati della Fiom che sono operai anch’essi».
Ieri, di fronte alla fabbrica multicolore per le bandiere di tutti i sindacati, anche quelli che alla Bertone non esistono, si respirava un clima di attesa. Con l’operaio che confessa: «Ne ho convinti parecchi a votare sì per evitare il plotone d’esecuzione. Ma con mia moglie, anche lei operaia Bertone, non ci sono riuscito». Dei 7 delegati Fiom tre sono donne, la stessa proporzione «di genere» che c’è in fabbrica, 300 su 1.091. «Tra noi c’è un clima solidale – dice Pino, Rsu Fiom, il millesimo a deporre la sua scheda nell’urna – e siamo riusciti a difendere una comunità in cui le scelte sono sempre state condivise. Qui Marchionne ha fallito nel suo scopo». Cinzia è Rsu degli impiegati, la chiamano «Savoia» perché è una delle poche e pochi piemontesi: «Gli impiegati sono sempre impiegati. Alcuni ho dovuto convincerli a votare sì, con la maggioranza non ho fatto fatica. Il nostro è un ambiente difficile. Ma da noi c’è soltanto un’urna sia per gli operai che per gli impiegati, non sarà possibile notare differenze di comportamento». Un operaio si aggrega al capannello: «Votando tutti sì annulleremo il valore di un referendum-truffa. Marchionne avrà lo stesso consenso plebiscitario che avevano Saddam e Mubarak». Roberta e Simonetta sono Rsu, operaie alla verniciatura. Roberta: «L’ultima volta che ho varcato i cancelli della fabbrica per lavorare è stato nel 2006, ma non qui, alla Pininfarina in distacco». Simonetta: «Anch’io nel 2006 per una commessa della Mini e nel 2008 in distacco alla Pininfarina. Gli operai hanno capito la nostra scelta, per molti è stata una liberazione anche se tutti sanno che siamo vittime di un doppio ricatto. Qualcuno non ce la farà a votare sì, ma io li rispetto, pensiamo la stessa cosa e siamo parte della stessa comunità, nei momenti delle lotte e delle vittorie come nei momenti di difficoltà». «Ci hanno strappato un sì ma non l’anima – dice quello che non è riuscito a convincere la moglie – ed è con noi, gli stessi di sempre, che Marchionne dovrà continuare a trattare».
Alle 13 aveva già votato l’85% degli aventi diritto, compresi i 300 in distacco in altre aziende Fiat, prima delle 18 le schede infilate nell’urna erano già più di mille, 1010 alla chiusura, il 93%. E prima ancora che venissero scrutinate, si è fatto vivo il segretario generale Cisl, quel Raffaele Bonanni che dando per scontato il no delle Rsu Fiom aveva chiesto a Marchionne di togliere pure la produzione della Maserati dalla Bertone ma di mantenerla in Italia, magari a Mirafiori dove già era stata varata la Newco, la nuova fabbrica dove è vietato scioperare e ammalarsi. Ieri invece ha detto che la decisione delle Rsu di votare sì segna una «clamorosa sconfitta della Fiom», «un giorno di festa», una vittoria dell’unità sindacale. Aggiungendo che comunque fosse andato il voto lui e Angeletti avrebbero chiesto a Marchionne di mantenere la Maserati alla Bertone. Ai cancelli qualcuno invita Bonanni a «fare un salto da queste parti: glielo spieghiamo noi cosa pensano gli operai Bertone, quelli che stanno con la Fiom». Altro che rottura, la scelta è maturata congiuntamente e sono gli stessi operai che votano sì a dire a Landini di non firmare un ricatto doppio, e di andare avanti con le cause contro la Fiat.
Eppure, in molti non capiscono la differenza tra un’organizzazione sindacale e dei delegati eletti dai lavoratori a cui l’organizzazione deve rispondere. Il primo a non capirlo è Marchionne, che a differenza di Mirafiori e Pomigliano non ha chiesto il referendum alla Bertone dove i due terzi dei dipendenti sono della Fiom. Non sa Marchionne, come non lo sanno Bonanni, Angeletti e molti altri, che i padroni delle Rsu non sono la Fiom, la Fim, la Uilm o il Fismic ma i lavoratori stessi. Almeno in casa Fiom funziona così, ricordano Airaudo e Federico Bellono, segretario torinese. Per questo i 10 (su un totale di 15) Rsu Fiom, appena finito lo scrutinio hanno chiesto la verifica del mandato «perché non siamo riusciti a difendere lavoro e diritti e a strappare un buon accordo, come ci avevano chiesto i lavoratori. Oggi è convocata la riunione di tutte le Rsu, il Fismic fa sapere che è contro la rielezione. Peccato che il regolamento preveda che il voto è obbligatorio se la metà più uno dei delegati si dimette. E quelli Fiom sono i due terzi. Sottovoce, ai cancelli ci spiegano che «il 65% dei consensi alla Fiom potrebbe aumentare ancora. Altro che clamorosa sconfitta». Il sindacato giallo, Fismic già Sida, attacca la Fiom di doppiezza mentre Sacconi applaude sostenendo che si conferma la validità degli altri referendum truffa di Pomigliano e Mirafiori, senza dire che Marchionne aveva annunciato la riconsegna della Bertone ai commissari liquidatori in caso di vittoria dei no: niente più cassa integrazione come negli ultimi 6 anni, solo 1091 licenziamenti.
da “il manifesto” del 4 maggio 2011
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1 Commento


  • giancarlo staffolani

    non facciamo finta di non vedere la sconfitta che è reale, con questi rapporti di forza, con il conflitto isolato aziendalmente e con la subalternità della Fiom nella Cgil, appellarsi alle vertenze legali è l’esito inevitabile di un sindacalismo riformista residuale . “Quando non esistono né un orientamento, ne un piano e nemmeno una politica, allora l’elaborazione dell’orientamento, del piano e della politica diventa fondamentale e decisiva”.
    Un nuovo sindacalismo di classe passa per l’indipendenza dalla Cgil e da tutta la “sinistra”borghese”. La Fiom o la rete 28 aprile ne sono capaci?

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