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«Ma noi non molliamo»

I giornali confindustriali sono nettissimi al riguardo e soffiano sul fuoco di ogni possibile polemica interna. All’interno della stessa Fiom si è alzata ieri la voce di Fausto Durante, punto di riferimento della minoranza «camussiana», per proporre un «deponiamo le armi, noi e la Fiat». Ma anche per contestare che «l’autonomia riconosciuta alla rsu della Bertone non valga per quella di Melfi», dove alcuni dei delegati volevano apporre una sorta di «firma tecnica».

Spigolature previste, mentre la sortita di Giorgio Cremaschi – presidente del Comitato Centrale della Fiom e figura storica della sinistra interna – giunge quasi inattesa. La critica è ovviamente di tipo opposto: «si tratta di un arretramento vero rispetto alla battaglia che abbiamo condotto a Pomigliano e Mirafiori». Messa così, il Comitato Centrale di lunedì si presenta piuttosto «caldo», anche se lo stesso Cremaschi precisa che «dovremo discutere se continuare sulla linea di quest’ultimo anno o se la situazione è cambiata».
Polemiche che fanno passare sullo sfondo quel che fa la Fiat. «C’è un lavoro dell’azienda che punta a dividerci carpendo ingenuità e debolezze», spiega Giorgio Airaudo, segretario nazionale con delega al settore auto. Per quanto riguarda Melfi «abbiamo fatto assemblee con 2.000 lavoratori; noi avevamo accettato di sperimentare il metodo Ergo Uas, che è solo l’ultimo dei modi per cavare il massimo di lavoro dentro un certo orario; ma la Fiat voleva un sì definitivo e basta. Gli operai hanno capito bene che c’era una riduzione secca e immediata delle pause e una saturazione dei tempi; e ci hanno dato ragione». C’è un problema anche lì per i delegati, che però è generale, «se ti riducono il monte ore di permessi a sole 8, non puoi più fare il sindacalista».
Airaudo invita «ad alzare lo sguardo»: «la Fiat ha aperto lo scontro con i lavoratori, diviso i sindacati, trasformato il referendum da strumento di democrazia in strumento di divisione». Ora punta a «dividere la Fiom, come se fosse l’unico ostacolo a progetto “Fabbrica Italia”». Lo dimostra il tentativo «strangolare l’agibilità dei nostri delegati» là dove non sono stati fatti accordi particolari perché «la produzione c’è» e ad usare il «monte ore» come moneta di scambio per «ottenere complicità».
Diversa la storia della Bertone, dove «si volevano usare i lavoratori come “scudi umani” contro la Fiom». Una fabbrica particolare, da quasi sette anni ferma ma fortemente unita, con una maggioranza quasi «costituzionale» della Fiom. «Il sì di quei delegati non ci sarebbe mai stato se la Fiom fosse stata disponibile ad abdicare», ossia a barattare la fine della cause legali per un po’ di agibilità dell’organizzazione. Di fatto, hanno «firmato 14 righe 14 dove si dice tra 18 mesi partità il contratto di Pomigliano». Poi si vedrà se davvvero Marchionne pensa di produrre – e vendere – 50.00 Maserati l’anno quando ora ne vende un decimo. Lì era stata preparata «una trappola per la Fiom, che non è scattata per l’intelligenza dei delegati e l’unità con noi». L’esatto contrario di quello «scollamento» di cui parlano Marcegaglia e Cisl.
Comunque sia, non si tratta certo di una «vittoria». Qui «stiamo manovrando sui francobolli»; costretti a giocare ogni mossa di fino e sul filo. E invece «il Comitato Centrale dovrebbe ora decidere, dopo un anno di vertenza e due scioperi generali di categoria» (più quello di oggi), «come si passa dalla difensiva all’offensiva?». La Fiat a questo punto potrebbe decidere di «accelerare», in ogni stabilimento ancora attivo – Melfi, Cassino, Sevel – e dove perciò teme la conflittualità, dichiarando soltanto che dal 2012 applicherà il «contratto nazionale dell’auto», ovvero una versione appena ritoccata di Pomigliano (divieto di sciopero compreso). Senza trattativa e con la firma dei «sindacati che ci stanno sempre».
Per quanto possa apparire difficile, la partita per questa Fiom risulta ancora aperta, anche se «ogni tanto qualche struttura confederale sembra non capire» (un problema in più, enorme). «Qui, come dimostra anche il comportamento Thyssen dopo la condanna, si sta decidendo se – nella crisi – le aziende possono essere o no al di sopra della legge». Non «10 minuti di pausa».
da “il manifesto” del 6 maggio 2011

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