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Roma. Occupati gli uffici dell’Atac: “No alla privatizzazione”

“Nei prossimi giorni si cominciano a discutere delibere che riguardano Atac e altre aziende municipalizzate e intendiamo opporci alla loro privatizzazione”, hanno detto i manifestanti, che chiedono al Sindaco Alemanno di essere ricevuti nei prossimi giorni “per ridiscutere le scelte scellerate”. Il blitz di questa mattina, dopo quello di ieri contro Equitalia, contribuisce a scaldare il clima in previsione del primo sciopero metropolitano nella capitale previsto per lunedi 30 maggio.

Comincerà infatti a giorni l’operazione salvataggio di Atac spa. La delibera nr. 35 propedeutica al Bilancio 2011 – prevede la valorizzazione e la vendita di quindici immobili “non strumentali al trasporto pubblico locale” – approderà presto in Aula Giulio Cesare. Per la Giunta comunale è una corsa contro il tempo da concludere necessariamente prima del 17 giugno, data in cui l’assemblea dei soci si riunirà per girare alla capogruppo il pacchetto di quote detenuto da Atac Patrimonio (valore stimato: 400 milioni), che dopo un ulteriore passaggio in consiglio comunale diventerà una società di secondo livello. Il provvedimento, discusso ieri in commissione Bilancio, definisce l’elenco dei beni da immettere sul mercato per fare cassa in un’azienda soffocata dai debiti.

Tra le proposte vi sono quelle di vendere ai privati quindici strutture, fra cui le sottostazioni Nomentana ed Etiopia, le rimesse San Paolo e Vittoria, l’area del Centro Carni e di Acilia, i complessi di Portonaccio e Trastevere. Dopo il varo, Atac Patrimonio potrà “alienare i suddetti beni mediante trasferimento a un Fondo comune di investimento immobiliare” curato da una Società di gestione del risparmio, il cui controllo dovrebbe rimanere per il 51% pubblico. Non solo. La delibera prevede di seguire lo stesso iter contemplato per la dismissione (annunciata ma non ancora avviata) delle caserme: i singoli programmi di intervento saranno infatti sottoposti alla “consultazione della cittadinanza”, oltre che “all’approvazione dell’Assemblea capitolina”. Saranno i romani, in sostanza, a decidere se il deposito di Garbatella, piuttosto che quello di via Alessandro Severo, dovranno essere riconvertiti in alberghi o in appartamenti. Il problema è, però, che se per sette immobili la vendita può procedere spedita in quanto la trasformazione è già prevista nel Piano Regolatore (sottostazioni Nomentana, San Paolo, Etiopia; area Cardinal De Luca e Cave Ardeatine; due palazzine di uffici in via Tuscolana), per i restanti otto bisognerà prima approvare la variante urbanistica. Tra queste le ex rimesse di Portonaccio e Trastevere, ubicate “in zone ormai troppo centrali” dalle quali ci si aspetta di guadagnare moltissimo. Portonaccio, infatti, “ricade a ridosso della stazione Tiburtina, impegnando aree che potrebbero avere destinazioni complementari alle attività del polo ferroviario e del limitrofo tessuto urbano, a prevalenza residenziale”. Quella di Trastevere, centralissima, “al momento viene utilizzata unicamente per i bus elettrici del centro storico” che tuttavia verranno trasferiti nel parcheggio del Galoppatoio in fase di ampliamento. Per non dire dei depositi di piazza Bainsizza (Prati), piazza Ragusa (San Giovanni) e San Paolo, che “rappresentano un’opportunità irripetibile per un significativo processo di riqualificazione” dei rispettivi quartieri, dove occupano “interi isolati”. Ieri il vice-presidente della Commissione Bilancio, Alfredo Ferrari, (Pd) ha espresso parere contrario: “Il provvedimento, oltre a essere disomogeneo, non fa fronte alle reali necessità di Atac. Più che una valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico si tratta di un atto di svendita della città”. Solidarietà agli attivisti che stamattina hanno occupato gli uffici dell’Atac è arrivata dal consigliere comunale Alzetta.

L’Atac tra l’altro è al centro di un doppio scandalo targato in entrambi i casi della Giunta Alemanno. Il primo riguarda le assunzioni clientelari oggetto anche di una indagine della magistratura, il secondo relativo agli alti compensi e ai lautissimi buonuscita per i dirigenti nominati dal sindaco che stanno sottraendo alle casse dell’azienda milioni e milioni di euro (indebitata per 700 milioni)

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