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I salari sono fermi ormai da dieci anni, ma il problema sono i lavoratori “tutelati”. Parola di Draghi

 

«Musica per le orecchie, addirittura sinfonia». Così ha commentato Luca Cordero di Montezemolo, a margine dell’Assemblea annuale di Banca d’Italia, la relazione di Draghi. Una relazione che secondo Montezemolo è anche uno «stimolo forte, forse l’ultimo, alla politica, perchè a questo punto altre chiamate credo saranno difficili per la politica».

Le retribuzioni reali dei lavoratori dipendenti sono rimaste pressoché ferme nel decennio e a risentirne sono la domanda interna e i consumi. Andrebbero ridotte in misura significativa le aliquote, elevate, sui redditi dei lavoratori e delle imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale. A dirlo è oggi il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nelle sue ultime considerazioni finali (a breve diventerà governatore della Bce) avanzate in occasione della presentazione della Relazione annuale.

Il governatore ha segnalato anche come “la diffusione nell’ultimo quindicennio dei contratti di lavoro a tempo determinato e parziale ha contribuito a innalzare il tasso di occupazione, ma al costo di introdurre nel mercato un pronunciato dualismo: da un lato i lavoratori in attività a tempo indeterminato, maggiormente tutelati; dall’altro una vasta sacca di precariato, soprattutto giovanile, con scarse tutele e retribuzioni”.

Draghi ha insistito sulla necessità di “riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d’ingresso”. Un riequilibrio che per Draghi, “migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani; spronerebbe le unità produttive a investire di più nella formazione delle risorse umane, a inserirle nei processi produttivi, a dare loro prospettive di carriera”.
Ha sottolineato anche come questa situazione si riverberi sul piano della discriminazione di genere nel mondo del lavoro in Italia. “In Italia l’occupazione femminile è ferma al 46% – ha sottolineato ancora Draghi – venti punti in meno di quella maschile, è più bassa che in quasi tutti i Paesi europei soprattutto nelle posizioni più elevate e per le donne con figli; e le retribuzioni sono, a parità di istruzione ed esperienza, inferiori del 10% a quelle maschili’.

Le imprese italiane devono crescere di dimensioni perchè sono ancora troppo piccole e la flessibilità dei piccoli “non basta più” per affrontare la competizione mondiale. Lo ha affermato il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nelle Considerazioni finali all’assemblea 2011 di Via Nazionale. “Le imprese italiane sono in media del 40% più piccole di quelle dell’area euro. La flessibilità tipica delle piccole imprese, che in passato ha contribuito a sostenere con successo la nostra competitività, oggi non basta più. Occorre – ha sottolineato – un maggior numero di imprese medie e grandi che siano in grado di accedere rapidamente ed efficacemente ai mercati internazionali, di sfruttare i guadagni di efficienza offerti dall’innovazione tecnologica”. Le imprese italiane “hanno in media meno patrimonio di quelle degli altri paesi avanzati; è scarsa la diversificazione delle fonti di finanziamento, in gran parte di origine bancaria, ed è elevato il peso dei debiti a breve scadenza.

Per incentivare il ricorso al capitale di rischio – ha evidenziato il governatore – andrebbe ridotto, nel quadro di una complessiva ricomposizione del bilancio pubblico, il carico fiscale sulla parte dei profitti ascrivibile alla remunerazione del capitale proprio. Includendo l’Irap, l’aliquota legale sui redditi d’impresa supera di quasi 6 punti quella media dell’area euro”. Le imprese italiane sono in media del 40% più piccole di quelle dell’area euro. Fra le prime 50 imprese europee per fatturato sono comprese 15 tedesche, 11 francesi, solo 4 italiane.

L’Italia ha bisogno di una manovra correttiva triennale da varare al più presto, ha detto Draghi. Una manovra che si basi su tagli della spesa corrente selettivi in modo da raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014, va ridotta allora la spesa che serve alla gestione pubblica «di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio 2012-14, tornando, in rapporto al Pil, sul livello dell’inizio dello scorso decennio».

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