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“Avviso comune” in vista sui contratti. Minacciosa omertà “sul merito”

Marcegaglia, Bonanni e Angeletti hanno mostrato sorrisi a 64 denti, perché la Camusso – segretario generale della Cgil – dovrebbe aver fatto concessioni impensabili all’inizio. Ma si tratta di impressioni, visto che il merito della discussione, durata tre ore, per il momento è “embargato”.

Al centro, alla vigilia, c’erano almeno tre temi: i “nuovi contratti”, appunto, con deroghe tali al contratto nazionale di categoria da permettere di scegliere tra quello oppure quello aziendale, ove fosse per loro più conveniente. L’”esigibilità” di questi stessi contratti, con il sostanziale divieto di sciopero per lavoratori e sindacati quando – nell’applicazione concreta – si dovessero creare conflitti di interpretazione (ritmi troppo elevati, turni non concordati, straordinari comandati oltre le ore contrattate, ecc). E infine la “rappresentanza sindacale”, con la Uil che ha nei giorni scorsi disdettato gli accordi del ’93 (quelli che hanno avviato la stagione della “concertazione”) per mettere in chiaro che di £rappresentanza sindacali unitarie” elette dai lavoratori non voleva più sentir parlare; al loro posto, come nella nuova Fiat delle newco, tornavano in campo le Rsa nominate direttamente dai vertici sindacali esterni. In pratica, delle figure a mezza strada tra il consulente e il dipendente dell’ufficio del personale.

Su tutti e tre i temi le distanze – quelle scritte sui documenti – erano abissali. La stessa Camusso aveva in mano una delega – da parte del Direttivo nazionale della Cgil – a discutere di una proposta complessiva da lei stessa presentata; pessima sotto ogni riguardo, ma comunque lontana da Confindustria, Cisl e Uil. Ora, a sorpresa, è uscita dalla riunione dicendo che «abbiamo fatto una buona discussione, utile, che ha permesso di ragionare sulla possibilità di un accordo, sulla misurazione della rappresentanza e l’efficacia della contrattazione». Se le parole, per quanto criptiche, hanno un senso, significa che si è arrivati a una “quadra” sulle rappresentanze sul posto di lavoro (ma in quale direzione? La “misurazione”, detta così, non significa nulla) e sull’”esigibilità”. Nemmeno una parola sulla derogabilità (e non sembra plausibile che Confindustria vi abbia rinunciato).

Sulla rappresentanza, all’ingresso, l’unico spunto era stato fornito da Luigi Angeletti: «C’è già un accordo del 2008 che può essere un punto di equilibrio per cercare una intesa». In realtà nel 2008 era stata raggiunta un’intesa su un testo che è poi rimasto lettera morta, anche per l’accordo separato (senza la Cgil) del 2009 sulla riforma contrattuale.

Il secondo elemento, preoccupante, è stato fornito dalla Marcegaglia: “non abbiamo incontrato pregiudizi particolari”. Ovvero “paletti”, punti non contrattabili. Resistenza, insomma.

Il terzo e ultimo elemento l’ha messo in campo il segretario generale dei metalmeccanici Fiom, Maurizio Landini, che non era ovviamente presente all’incontro, ma lo seguiva con molta attenzione da lontano. Di fronte all’eventualità che da questo round di discussione, martedì, si arrivi alla firma di un “avviso comune” che poi il governo trasformerebbe in una legge, ha dichiarato: «Se si arrivasse in questo Paese a fare provvedimenti di legge che recuperino l’idea di mettere in discussione il contratto nazionale di lavoro, sarebbe un attacco alla democrazia senza precedenti». «La Fiom ha già presentato una legge di iniziativa popolare che ha raccolto più di 100.000 firme – ha proseguito – e noi siamo per il diritto dei lavoratori a eleggere i loro rappresentanti nelle Rsu e a votare in referendum liberi, senza ricatti, in cui se vince il sì si firma l’accordo, se vince il no si riapre la trattativa ma non si chiude la fabbrica».

Mettendo insieme il tutto si capisce che martedì si arriverà a una firma sotto un accordo infame che taglia via la possibilità per i lavoratori di scegliersi o costituire un proprio sindacato e perciò di resistere alle pretese delle imprese. Con la firma della Camusso. Resta infatti solo un passaggio formale da fare: la riunione del Direttivo nazionale della Cgil, già convocato per lunedì, che dovrà ratificare o meno la scelta che l’ex craxiana Camusso ha in cuor suo fatto da tempo. Vedremo in quella sede se – come sussurrano sempre più spesso in Cgil – “questa qui dura meno di Pizzinato”. Oppure se per l’opposizione interna, di cui la Fiom è la parte più forte e pensante, inizierà la fase dell’espulsione dalla Cgil.

 

 

A riprova che la nostra analisi è corretta e non “deformata dall’ideologia”, stamattina Giuliano Cazzola – guarda caso ex dirigente della Cgil di area craxiana e oggi, conseguentemente parlamentare del Pdl – ha accolto con entusiasmo e slancio retorico la “scelta” di Susanna Camusso, affidando le sue parole all’agenzia di stampa AdnKronos (anch’essa, ma deve essere assolutamente un caso, ex socialista craxiana).

(AdnKronos): «Tornano la fiducia e la speranza nel campo delle relazioni industriali. Sembrano vicini un avviso comune sull’apprendistato ed una intesa sui temi della contrattazione e della rappresentanza. Va sicuramente apprezzato l’impegno del Governo, della Confindustria e delle confederazioni sindacali che fino ad oggi hanno mantenuto aperto il confronto, con difficoltà e coraggio, ma con risultati importanti. Anche nella Cgil si avverte un mutamento significativo di linea politica». Lo afferma Giuliano Cazzola, deputato del PdL e vice presidente della Commissione Lavoro. «Se questa tendenza sarà confermata al momento di assumere, nei prossimi giorni, delle decisioni cruciali, Susanna Camusso – prosegue Cazzola- non sarà ricordata solo come la prima donna chiamata a dirigere la più grande organizzazione sindacale italiana, ma le sarà riconosciuto anche il diritto di scrivere il suo nome a fianco di quello dei dirigenti ‘storicì che, nel dopoguerra, seppero riportare la Cgil al centro dell’iniziativa sindacale contro le tentazioni all’autoisolamento e all’emarginazione. L’Italia ha bisogno di unità tra le grandi forze sociali».

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