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Riviera. Lì dove Marchionne e Gelmini si danno una mano

E’ l’inizio di luglio, gli esami di maturità stanno terminando e gli studenti sono al mare a prendere il sole, giocare a beach tennis, farsi una nuotata, godersi insomma una sacrosanta pausa dopo un anno scolastico che, come abbiamo visto, non è stato dei migliori soprattutto a causa della riforma Gelimini.

La nostra riviera è “rinomata” per il relax che offre a giovani e famiglie, e i lavoratori di tutta Italia (o almeno, chi di loro ha ancora un lavoro sicuro e uno stipendio tale da permettersi una vacanza) tirano un sospiro di sollievo e si muniscono di costumi e creme solari. Evviva l’estate, evviva Rimini.
Ma per troppi di noi anche questa stagione è iniziata con una bella scottatura sulle spalle dovuta alle 12 ore giornaliere costrette in spiaggia a portare le brandine, o con occhiaie che delle rinomate discoteche romagnole han poco a che fare e che hanno più il sapore di notti passate a servire ai tavoli in qualche hotel o ristorante.
Per tanti di noi l’estate significa lavoro, e l’unico lavoro stagionale presente a Rimini è quello sfruttato o grigio o peggio ancora in nero.
Perché gli studenti sono costretti a lavorare durante i mesi estivi?
Abbattiamo il luogo comune dei figli di papà con le tasche gonfie di denaro e ragioniamo insieme sulle spese che uno studente dai 15 anni in su deve sostenere ogni anno. Scuola, sport, hobby, serate di divertimento, mobilità, corsi di formazione lavorativi esterni alle scuole, ecc… nell’età in cui si gioca il conflitto intergenerazionale con i genitori e più in generale con gli adulti, si vorrebbe vivere già una propria autonomia e alcuni di noi non vogliono dipendere dalla famiglia per le proprie spese personali. Abbiamo bisogno di lavorare anche perché le nostre famiglie, hanno bisogno di essere sostenute, non ci pensa lo Stato, che taglia sempre per tutti i servizi, o rincara i costi delle tasse scolastiche, universitarie, dei libri, della mobilità. Ci dobbiamo pensare noi ad aiutare le nostre famiglie.
Nell’ambito del turismo esistono alcuni mestieri che molti studenti sono in grado di fare: bagnino in spiaggia, cameriere in hotel e ristoranti, animatore/animatrice in spiagge e campeggi, barista in bar e discoteche. Riportiamo un esempio di un qualunque colloquio di lavoro per una qualunque delle scelte sopracitate. Datore di lavoro: “Allora, secondo la legge non potresti fare più di otto ore al giorno e dovresti avere due giorni liberi perché sei minorenne quindi nel contratto ti scrivo che martedì e giovedì sei a casa e che alle 20:00 finisci. va bene? Hai capito?”
Studente: “Si…”
Datore di lavoro: “quindi se vengono a fare i controlli in quei due giorni in cui dovresti essere a riposo devi dire che l’hai fatto un altro giorno per motivi organizzativi. Tieni presente che delle volte potresti finire anche un po’ dopo le 20:00 a seconda delle nostre esigenze, al massimo finisci alle 22:00, quindi quando sono le 23:00 stai tranquillo che esci, vedrai che per mezzanotte sei a casa. Per i controlli in questo caso, diremo che si tratta di un episodio legato a dei bisogni improvvisi dell’azienda, ma che il tuo orario prevede la conclusione del servizio alle 20.00 ed è quello che rispettiamo. Per quanto riguarda lo stipendio facciamo 800 ma nel contratto scriviamo 600, gli altri te li do fuori busta, magari il primo mese te ne do 50 in meno perché sei inesperto e devi ancora imparare.”
Studente: “ma non dovevo fare otto ore? Quindi niente giorno libero?”
Datore di lavoro: “ti ho già spiegato questo cose o così o ne trovo un altro. Ultima cosa il periodo di prova come dicevo prima, siccome è la prima volta che fai questo lavoro non viene retribuito, è come uno stage formativo, impari un nuovo mestiere gratis”.
Modello turistico Marchionne style
Le condizioni lavorative diventano ben presto 12 o più ore giornaliere, senza giorni di riposo, senza diritto di malattia, senza che vengano pagati i contributi totali per le ore lavorate e la totale messa in deroga dei contratti collettivi nazionali.
Ultimamente va in voga l’ormai famoso contratto a chiamata, un modo illegale di rendere legale lo sfruttamento. Uno strumento della precarietà al servizio delle aziende, delle associazioni di categoria, degli hotel, per evadere qualsiasi norma e raggirare l’applicazione dei Ccnl.
E’ per questo motivo, forse, che il vergognoso paradigma/modello Marchionne non ha rappresentato una novità per i lavoratori stagionali: sono anni che in questo territorio funziona così, tutti lo sanno ma nessuno dice nulla…
È la stessa mentalità e logica alla base di questa imprenditoria turistica che imprigiona i lavoratori: non solo non possiamo rifiutare queste condizioni perché abbiamo bisogno di lavorare, ma spesso è proprio la paura di perdere quella piccola entrata economiche fra gli stessi sfruttati che impedisce l’emersione e la denuncia del fenomeno. Si nasconde questo meccanismo mentendo agli ispettori durante i controlli che vengono effettuati, negando i propri diritti per quei pochi euro di salario. L’alternativa è non lavorare e non vedere neanche quei pochi spiccioli, considerando che la ricchezza che viene prodotta nel settore turistico stagionale rimane sempre e solo nelle mani degli imprenditori.
Evasione fiscale e contributi pubblici
L’evasione fiscale è tra l’altro la prassi, per cui è l’intero sistema della Costa a non guadagnarci nulla in termini di investimenti, ridistribuzione della ricchezza, miglioramento dei servizi. Pensiamo, a questo proposito, alla notte rosa o al capodanno rai, vengono investite dalle Istituzioni pubbliche centinaia di migliaia di euro di soldi pubblici, senza che il privato o le categorie economiche sostengano in qualche modo queste spese, che invece vengono tagliate per altri servizi utili, come quelli scolastici o le spese per il sociale e l’assistenza ai disabili.
Razzializzazione del lavoro stagionale
Inoltre c’è da sottolineare quanto ancor più sfruttata sia la categoria dei lavoratori stagionali comunitari, in maggioranza donne provenienti dalla Romania.
La cosiddetta nuova tratta degli schiavi è gestita da imprenditori italiani e rumeni, e vede come vittime i lavoratrici e le lavoratori comunitari che non sono tutelati da nessuno. È il caso, per esempio, dell’hotel Mosè di Torre Pedrera o del Maracaibo la cui associazione criminale, che lo gestiva lo scorso anno, ha licenziato tutti i lavoratori a fine stagione senza pagarli.
Noi ci siamo attivati, nell’estate 2010, partecipando ai primi scioperi spontanei e supportando il lavoro dell’associazione Rumori Sinistri, che da anni gestisce lo Sportello Stagionali sulle strade
della riviera, rivolto a tutti i lavoratori estivi. Ci siamo interessati al lavoro di inchiesta e co-ricerca, perché riteniamo che alla base del fenomeno strutturale dello sfruttamento ci sia un problema culturale oltre che di illegalità diffusa e di messa in deroga del CCNL.
Le ingiustizie avvenute nell’hotel Mosè (e in tanti altri Hotel su tutta la riviera) non sarebbero venute alla luce senza l’intervento dei volontari dell’associazione e senza il lavoro d’inchiesta, che ha fatto emergere un ampio e tragico scenario sul mercato del lavoro stagionale. A ciò si aggiunge il lavoro comunicativo del Comitato schiavi in Riviera con i manifesti “Cercasi schiavi”, un altro modo per costruire immaginario intorno alla narrazione dello sfruttamento.
Non sono poche mele marce e la causa non è la crisi
Noi riteniamo,a differenza di quanto afferma la Rinaldis presidente dell’AIA, che non si tratta di pochi casi isolati, di poche mele marce, ne tanto meno che le condizioni di lavoro attuali siano dovute alla crisi, semmai avviene proprio il contrario. La crisi e la globalizzazione hanno dato corpo e maggiore efficacia ai dispositivi di sfruttamento aprendo la strada alle infiltrazioni malavitose che sfruttano e trafficano i lavoratori e le lavoratrici, ricattandoli e subordinandoli alle logiche di un mercato individualizzato e senza tutele.
Tutto questo sembra normale ma non lo è, ed è ora di dare concretezza e aprire percorsi nuovi per combattere queste forme di schiavitù. L’orizzonte comune deve essere quello di ripensare un nuovo modello turistico ed economico per il nostro territorio che rimetta al centro le persone (lavoratori e lavoratrici) e non solo i turisti, il mare, la qualità dei servizi e delle strutture.
Nelle prossime settimane come Collettivo Studentesco – così come avvenuto il 6 maggio in occasione dello sciopero generale con l’occupazione simbilica dell’AIA – attraverseremo tutti i momenti pubblici e partecipativi in cui dalla denuncia di queste condizioni di lavoro paraschivistico si costruisca conflitto intorno al nodo capitale turistico/lavoro. Dobbiamo essere capaci tutti e tutte insieme di costruire l’alternativa e un nuovo futuro per questo territorio, fuori dallo sfruttamento, fuori da quella legalità formale che giustifica le retate antiabusivismo ma difende e nasconde il lavoro schiavistico. Fermiamo lo sfruttamento nel lavoro estivo!
Uniti contro la crisi!

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