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C’è del marcio a Parma

“La Piazza” è il nome che decine di associazioni, numerosi singoli cittadini e abitanti di Parma hanno adottato per definire se stessi. Ci siamo incontrati sotto i Portici del Grano per chiedere le dimissioni di Vignali e della sua giunta il giorno stesso degli arresti e non abbiamo più smesso di far mancare la nostra presenza sotto il Comune ogni qualvolta ci fosse un consiglio comunale. Lo diciamo da subito, non smetteremo finché l’attuale giunta non rassegnerà le dimissioni. Abbiamo urlato il nostro sdegno, abbiamo difeso l’onorabilità civile della nostra città mentre il suo nome era stato gettato nel fango dagli interessi privatissimi degli amici e dai collaboratori più stretti del sindaco. Sì perché non accettare il clientelismo, la corruzione e il disprezzo per chi lavora è oggi l’unico modo per non essere conniventi con un sistema che ingabbia le nostre vite e ci rende schiavi dentro una parvenza di libertà. Non sono parole vuote, non sono retorica, purtroppo. Noi oggi vogliamo lanciare un messaggio alla cittadinanza in primo luogo, ma anche a chi siede in consiglio comunale e in giunta.

Siamo stati tacciati di essere i facinorosi, i violenti, i soliti, un consigliere della maggioranza ha addirittura pubblicamente denunciato che non siamo nemmeno parmigiani. Il palazzo si è dimostrato sordo alla Piazza, stigmatizzata, trattata con la solita sufficienza, con la solita arroganza, con cui è stata trattata la cittadinanza tutte le volte che si è opposta a un qualsiasi provvedimento dell’amministrazione. E non parliamo di sporadiche occasioni, ma di una reazione sistematica. Oggi, nonostante tutto quello che è successo ci troviamo di fronte alla stessa boria, allo stesso disprezzo, addirittura leaders politici locali che invocano contro i manifestanti il pugno di ferro.

Forse quel consigliere per cui sono stranieri i cittadini sotto i Portici del Grano ha ragione, noi nella vostra Parma siamo stranieri, siamo estranei al vostro “modo di vivere”, estranei alla vostra idea di democrazia che ci vuole solo pubblico plaudente e pagante.

Siamo stranieri nella Green City propagandata in mille salse, comodo slogan dietro cui si nasconde lo scempio della cementificazione che ha portato Parma, nel biennio 2005-2007, a inghiottire nel cemento l’equivalente di 160 campi da calcio, guadagnandosi dopo Roma e Venezia il terzo gradino del triste podio delle città che hanno costruito di più. Questa cementificazione oltre a compromettere in modo grave l’equilibrio idrogeologico del territorio, ha portato anche alla distruzione del commercio al dettaglio, visto che sono stati autorizzati innumerevoli centri commerciali. Uno studio del comune, redatto in concomitanza con l’approvazione della costruzione di 4 nuovi centri commerciali (tra cui Eurosia e Ikea) parlava chiaro: avrebbe chiuso un negozio su quattro nel centro storico. Non può essere “green”, la “city” che incentiva i centri commerciali, il modello di consumo per eccellenza legato all’uso dell’automobile. L’unica cosa “green” a Parma sono i “money”. E i soldi che girano attorno all’immobiliare sono davvero tanti in città. Questa febbre del cemento oltre a distruggere le nostre campagne ha anche riempito di debiti le casse comunali, grazie all’infernale meccanismo delle famigerate società partecipate, gestite con “disinvoltura” da personaggi come Andrea Costa o Nando Calestani, per i quali il Commissario Varazzani, mandato da Tremonti apposta per vedere chiaro nei conti in rosso di Stt, ha chiesto un’azione di responsabilità che sarà discussa proprio oggi in consiglio comunale. La gestione dissennata di Spip, caratterizzata da sprechi macroscopici e da operazioni immobiliari opache è la fonte principale del debito del gruppo Stt, che non gode certo di ottima salute. Soldi pubblici che vanno a gonfiare tasche private, lasciandoci affogare in un mare di debiti. Tra Comune e Società partecipate il debito arriva a quota 636 milioni di euro, altro che guado! Se oggi il Consiglio Comunale deciderà di intraprendere azioni di responsabilità verso Costa e Calestani, sarebbe corretto che anche chi doveva vigilare sul loro operato si prendesse qualche responsabilità. Oppure ammettere candidamente che le società partecipate sono fuori dal controllo della politica e quindi (in via teorica) della cittadinanza, e hanno espropriato il Comune dalle decisioni che contano. E sarebbe ugualmente se non più grave. Di fatto queste società partecipate sono diventate una sorta di Comune parallelo in cui i grandi cantieri delle città sono messi in mano ad amministratori senza scrupoli che fanno affari d’oro con costruttori e immobiliaristi a scapito della collettività, che ovviamente paga. Paga tutto e paga anche di più, come i terreni di Spip, costati un terzo in più rispetto alla cifra a cui potranno essere venduti, soldi pubblici finiti nelle mani di una società di nome Reig srl.

La stessa misteriosa società che ha acquistato i terreni su cui si sta costruendo l’inceneritore (poteva mancare nella Green City?). Così come per Spip che ha pagato a prezzo carissimo quei terreni anche Enìa ha sborsato una cifra spropositata, che ovviamente la cittadinanza pagherà nelle bollette. Non sappiamo però di preciso quanto, visto che ancora il piano economico del mostro inceneritore non è stato reso pubblico. Un inceneritore, decisione bipartizan in accordo con la Provincia, che farà piovere diossine e polveri sottili intorno a quella che una volta era la Food Valley e che arrecherà gravi danni alla salute ai cittadini di Parma come ampiamente documentato da numerosi ed autorevoli studi. Un bell’affare per Enìa, un bell’affare per la Reig srl, per noi un po’ meno, ma nella Parma di oggi, questo non rappresenta un’eccezione, ma la prassi. Forse qualcuno si ricorda delle società municipalizzate, del controllo pubblico su acqua, gas ed energia. Amnu e Amps sono scomparse, assorbite da Enìa, una società quotata in borsa che risponde al dio mercato e agli azionisti, poi anche Enìa è sparita, inglobata nella gigantesca Iren dove il Comune di Parma conta solo per il 6%. Una percentuale piccola e per di più in bilico, perchè Vignali e soci hanno fatto si che questa già misera percentuale fosse ipotecata dalle banche per garantire i prestiti ad Stt. In caso di mancato rientro del debito contratto con le banche, il Comune di Parma perderebbe il suo già esiguo controllo sulla società che fornisce ai parmigiani alcuni servizi essenziali, come quello della raccolta dei rifiuti e dell’erogazione dell’acqua. Guardando a Iren/Enìa si può capire quanto meravigliosi siano gli effetti della privatizzazione delle ex-municipalizzate. Profitti privati a scapito dei beni comuni, una gestione clientelare che vede i ruoli dirigenziali strizzare l’occhio alle più bieche logiche di spartizione politica delle poltrone, senza una benchè minima connessione con la professionalità dei singoli. E’ il caso di Luigi Giuseppe Villani, nominato vice- presidente di Iren, pagato centinaia di migliaia di euro all’anno sostanzialmente per scaldare una poltrona, visto che non ha deleghe. Privatizzazioni che faranno vedere i loro effetti anche sui servizi educativi che subiranno la stessa sorte di acqua, luce, gas e rifiuti. Oltre agli effetti sui costi effettivi per le famiglie, in prospettiva, ci preoccupano gli effetti sulla qualità dell’educazione e più in generale sulla qualità del servizio. Se i risultati faranno il paio con quelli di Iren/Enìa chissà che bel futuro ci aspetta. Investire nella scuola è fondamentale per una società che guarda al futuro e non c’è scuola degna di questo nome che possa essere preclusa a qualcuno per appartenenza di censo. Vediamo bene come a livello nazionale, il governo amico di Vignali e Villani stia investendo su scuola e ricerca: tagli senza scrupoli alle scuole statali e finanziamenti sempre più corposi alle scuole private.

Siamo stranieri nella città che privilegia gli interessi forti a scapito di quelli collettivi, ma siamo anche stranieri nella città che vuol far passare gli interessi dei più forti come interessi generali. Siamo stranieri nella Parma dei vigili urbani militarizzati, quelli che vengono minacciati di trasferimento se fanno una multa ad un potente della città come Marco Rosi, ma che vengono fino all’ultimo difesi quando pestano umiliano, e insultano un ragazzo ghanese, per sbaglio finito dentro una “brillante operazione antidroga”. Il corpo della polizia municipale, per cui sono stati spesi centinaia di migliaia di euro inutili, come i gabbiotti perennemente vuoti e costati alle nostre tasche ben 30 mila euro l’uno, è stato usato per fare la guerra a chi vive ai margini della città, vero e proprio specchio della cultura amministrativa di questi “signori” al potere: pugno di ferro con chi vive ai margini, inflessibilità con i comuni mortali e benigne pacche sulla spalla ai notabili della città come Mister Parmacotto. Occorrerebbe ricordare ai nostri amministratori che il passato bilancio è stato salvato dalle multe pagate dai cittadini, ma non da tutti, se eri nel giro giusto il comandante della polizia municipale poteva esimerti dal contribuire al risanamento del bilancio. Una detrazione vantaggiosa. Risparmi sui pagamenti che sono un lusso al giorno d’oggi ed in particolare a Parma, dove i cittadini hanno di fronte anni neri, in cui saranno costretti a ripagare la montagna di debiti che abbiamo visto in precedenza. Il vice-sindaco, ha annunciato candidamente che potrebbe essere ritoccata l’addizionale Irpef per ripianare la disastrosa situazione finanziaria, magie del federalismo fiscale. Alla fine saremo sempre noi a pagare. Ed ecco il motivo per cui siamo ancora qui, e per cui continueremo a stare qui.

Siamo stranieri anche nella città che si guarda l’ombelico pensando che sia il centro del mondo. Ci fa ribrezzo l’idea di ricevere da Roma milionate di euro per nulla, o meglio solo per aver rinunciato ad un’opera folle e inutile (ma non per i soliti amici dell’amministrazione) come la Metropolitana. Molti cittadini si sono opposti per anni a questo progetto, anche in quel caso offesi e stigmatizzati da sindaco e soci, per poi scoprire che avevano ragione, Per non perdere i soldi il governo amico ha fatto un decretino apposito per far arrivare a Parma almeno parte dei soldi. Immaginiamo i commenti dei nostri amministratori se in una altra città (Reggio, Modena o Reggio Calabria) avessero fatto come Parma. Un progetto folle, finanziamenti già approvati, milioni di euro spesi senza fare nemmeno un carotaggio e poi l’improvvisa retromarcia. Però i soldi ci farebbero comodo lo stesso. E’ una vergogna per noi ricevere quei soldi.

Per la Piazza voi non siete più legittimati a governare questa città, siamo in tanti, e saremo sempre di più ogni giorno che rimarrete attaccati alle vostre poltrone e ai vostri privilegi. Parma per fortuna non è solo quella vetrina appariscente e vacua che avete dipinto negli anni, non è solo terreno da mettere a valore per rinsaldare legami torbidi con una classe imprenditoriale spesso marcia come quella politica. Sotto le rovine che ci lasciate c’è una città viva che negli anni non si è mai piegata, che ha coltivato quello spirito indomito e generoso che animava le barricate nel lontano 1922, che vent’anni dopo gli ha fatto meritare la medaglia d’oro alla Resistenza, quella Resistenza che voi avete gettato alle ortiche rivalutando i fascisti di ieri e di oggi. Una decisione coerente con il vostro operato, ve ne diamo atto. Ora però, altrettanto coerentemente, noi, la Piazza, vi chiediamo un gesto di responsabilità: dimettetevi, prendete atto della sconfitta politica ed etica che avete maturato, e liberateci dalla vergogna e dall’imbarazzo.

Non vogliamo più saperne del vostro modo di vivere.

parmantifascista.org, 14 Luglio 2011

 

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La paura della protesta

Lo scandalo scoppiato a Parma il 24 giugno con l’arresto di 11 persone ha scatenato, come è noto, manifestazioni di protesta molto dure. Una folla di centinaia di persone si è radunata sotto i Portici del grano per tre volte, ad ogni convocazione del Consiglio comunale, per chiedere le dimissioni di sindaco e giunta. Di fronte a questa clamorosa contestazione, alle urla che da quella piazza sono risuonate nelle sale del palazzo municipale, la classe dirigente si è voluta mostrare indifferente, fingendo di considerarle minoritarie e scollegate dal vasto sentimento di indignazione che pervade la città. A fronteggiarle invece sono stati chiamati poliziotti e carabinieri, schierati a difesa dei simboli del potere e della “corruzione diffusa”. Asserragliati dentro il palazzo, per tre volte, sindaco e assessori hanno atteso che la protesta si placasse, per poi fuggire da un’uscita secondaria a tarda sera. Altri sindaci, in altre epoche, con altre contestazioni – ben più dure – fecero diversamente, dimostrando un senso di responsabilità e una considerazione del proprio ruolo diversa e opposta. Un esempio valga per tutti, quello della sera del 26 dicembre 1968, davanti al Teatro Regio, quando migliaia di giovani, studenti e lavoratori, contestarono con urla e lanci di uova l’inaugurazione della stagione lirica. In quel caso, l’obiettivo della protesta era tanto la borghesia cittadina, che in quella serata ostentava il proprio sfarzo e i propri privilegi, quanto il sindaco e la giunta di sinistra che sembravano onorarne il ruolo. Eppure, anche dopo i primi tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine, il primo cittadino d’allora, Enzo Baldassi, non si nascose dietro le porte in attesa che tutto finisse ma affrontò la folla, discusse con quei giovani, argomentò le proprie ragioni, organizzò un’assemblea su quei temi. Tentò insomma di “mediare” quel conflitto: compito proprio e peculiare di una classe dirigente.

William Gambetta

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