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La Cgil ritorna in gabbia

Uscire dall’angolo è un’arte da combattenti esperti, richiede il possesso di un vasto patrimonio di finte e massima velocità d’azione. Il segretario generale della Cgil – Susanna Camusso – ci sta provando da mesi, ma ancora non sembra aver trovato le giuste contrarie, apparentemente incerta tra la via dell’opposizione risoluta (lo sciopero generale, addirittura in una data ostica come il 6 settembre, questo sembrava far pensare) e quella del «rientro ai tavoli di trattativa».

Apparentemente perché la prima strada non è nelle sue corde né nella linea decisa al congresso di Rimini, un anno e mezzo fa. La seconda dovrebbe esser stata resa impraticabile dalla «manovra» del governo, che nell’ormai famoso «art. 8» supera e seppellisce la faticosa «ipotesi di accordo del 28 giugno». Se i firmatari di quel testo fossero uniti nella richiesta di cancellazione dell’art. 8 – questo il ragionamento – allora la seconda via sarebbe ancora percorribile. Peccato che Confindustria abbia già espresso la propria approvazione (la manovra offre alle imprese più di quel che i tre sindacati confederali avevano concesso), e anche Cisl e Uil abbiano appena bofonchiato per qualche minuto sulla necessità di «stralciare o modificare una parte» di quell’articolo. Poi solo scudisciate per «l’irresponsabile Cgil» che ancora osava scendere in piazza e «spaventare le borse».
Il Direttivo di corso Italia, ieri, doveva decidere come andare avanti dopo l’evidente successo dello sciopero generale e l’ancor più palese partecipazione alle manifestazioni. Nella relazione introduttiva la Camusso ha ovviamente incassato il successo, perché «abbiamo rappresentato un malumore, un sentire generale del paese». Ha, altrettanto logicamente, promesso altre mobilitazioni contro la manovra da qui alla fine dell’anno, e anche iniziative giudiziarie, visto che abbondano «gli elementi di incostituzionalità» in molti punti del decreto approvato dal Senato con la fiducia. Ma l’orizzonte «strategico» è rimasto inchiodato alla «cancellazione dell’art. 8», partendo da un «giudizio positivo» sull’accordo siglato con le altre parti sociali che rappresenterebbe «ancora di più rispetto a prima, uno strumento di tutela per i lavoratori».
Fino a chiedere al Direttivo un mandato a trovare – con Cisl, Uil e Confindustria – una «modalità» che «impegni tutte le parti firmatarie ad applicare integralmente i contenuti dell’intesa». Un salto mortale, dal punto di vista giuridico, perché la «manovra» ha comunque valore di legge erga omnes, mentre un qualsiasi patto tra privati (e questo sono le associazioni sindacali, sia dei lavoratori che delle imprese) vincola solo i firmatari. Un’azienda potrebbe dunque benissimo ricorrere al giudice per farsi applicare le norme di legge anziché quelle «solo pattizie». E vincerebbe a mani basse…
Molti i mal di pancia e i distinguo in platea, ma solo dalla minoranza «La Cgil che vogliamo» è venuta una proposta alternativa: se bisogna «verificare la disponibilità delle altre parti sociali», tanto vale farlo subito e chiedere una «posizione comune» per stralciare l’art. 8. In attesa di una (impossibile) risposta positiva, intanto si sospenda sia la riunione del Direttivo che la consultazione in corso tra gli iscritti (per la Fiom e alcune situazioni territoriali anche di tutti i lavoratori) sul defunto «28 giugno». Ma «naturalmente non è passata».
Le critiche di merito sono state molto nette. Per Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale Fiom, «con questa impostazione l’accordo del 28 giugno diventa la piattaforma con cui la Cgil va alla trattativa per ottenere qualche sconto sul decreto; ci si muove in una logica emendativa, in totale contraddizione con la radicalità del movimento di protesta».
Il segretario generale dei metalmeccanici, Maurizio Landini, ha ribadito il giudizio per cui – con la manovra – «l’accordo del 28» è diventato «carta straccia» e quindi ci si deve sentire liberi dagli obblighi lì previsti, irrobustendo il percorso di mobilitazione anche con scioperi, non solo con presidi e manifestazioni. Anche perché, «se bisogna approfondire le contraddizioni emerse negli altri due sindacati» questa sembra essere la strada.
Nulla da fare. E quindi il Direttivo – durato un solo giorno, contrariamente al solito – è andato a votare su due posizioni distinte, accomunate solo dall’ok per le manifestazioni nazionali: il 15 ottobre per conoscenza e pubblico impiego, successivamente i pensionati e infine, entro dicembre, una generale di tutta la confederazione.

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