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Fiat Fabbrica Italia, what?

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Fabbrica Italia non esiste più. Esattamente a diciotto mesi dal lancio (era il 21 aprile 2010, Lingotto), l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha deciso che non ne parlerà più, stufo – sostiene – di essere frainteso. L’ha detto a brutto muso alla Consob giovedì scorso, dopo aver sminuito il piano tre giorni prima. Parlando all’Unione industriali di Torino, definisce infatti Fabbrica Italia «non altro che una dichiarazione d’intenti», ridotta successivamente a «indirizzo» nel testo distribuito alla stampa. Se le parole non avessero sempre un peso preciso, sembra quasi che il manager voglia dare ragione a posteriori alla Fiom, che aveva criticato subito il progetto definendolo fumoso ed esigendo dettagli più precisi sul piano prodotto.

La realtà è che Fabbrica Italia resta una problema aperto, su cui ogni giorno che passa è purtroppo facile aggiungere punti interrogativi. Anche se il problema principale per il gruppo Fiat-Chrysler è l’assenza da mercati-chiave, per chi vive e lavora in questo paese il futuro passa da qui. Impegno, dichiarazione d’intenti o indirizzo che sia.
Su Repubblica di ieri, l’economista Alessandro Penati (mai tenero con Marchionne) scrive che tuttavia non si può «esonerare» il manager come un allenatore di una squadra di calcio, perché senza di lui sarebbe stato il diluvio. Tesi sostenuta tre giorni prima da Luca Ciferri su Automotive News Europe (http://www.autonews.com/article /20111026 /BLOG15/310269994/1503): «Senza Marchionne, dove sarebbe la Fiat oggi?», flashback sulle condizioni in cui l’aveva trovata nel 2004, a un passo dal fallimento. A Penati e Ciferri, che chiudono con le stesse critiche al manager (debolezza del gruppo in Asia), si può ribattere che discutere e/o dubitare di Fabbrica Italia non cancella il bailout di Marchionne. Anzi: quelli sono fatti, contro (per ora) le chiacchiere di oggi.
«Fabbrica Italia rappresenta l’impegno di Fiat per rafforzare la presenza del gruppo in Italia, trasformandola in una base strategica per la produzione, gli investimenti e l’export», diceva Marchionne nell’aprile del 2010. Nel frattempo, la cassa integrazione è rimasta, Termini Imerese è chiusa, da Mirafiori sono stati portati via due nuovi modelli in Serbia, un terzo è slittato sine die. «L’impasse» di Fabbrica Italia può essere davvero colpa di una «frangia marginale del sindacato», per restare fedelmente ai giudizi di Marchionne?
«L’obiettivo di Fabbrica Italia è quello di incrementare gradualmente i volumi di produzione di autovetture nei nostri impianti italiani fino al 2014, quando raggiungeranno 1.400.000 unità, più del doppio delle 650.000 unità prodotte nel 2009». E’ ancora Marchionne aprile 2010: niente male per una semplice «dichiarazione d’intenti»; né si capisce (se non pensando male) come si possa declassare a «indirizzo» un piano che «per l’Italia rappresenta anche una grande opportunità per creare posti di lavoro in Italia», «opportunità unica affinché il nostro complesso industriale in Italia compia un significativo passo in avanti». Fabbrica Italia what
da “il manifesto” del 30 ottobre 2011

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