Menu

Termini Imerese, la linea si è fermata

 

*****

 

Ultimo giorno a Termini Imerese. La fabbrica chiude e gli operai bloccano i cancelli

Giorgio Meletti

 

Il suo fantasioso contributo alla coesione nazionale alla fine Sergio Marchionne l’ha dato. Inchiodando la trattativa per la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese sulla pretesa estrema di risparmiare anche gli ultimi 6 milioni di euro, è riuscito a ricompattare lavoratori e sindacati. Contro di lui.

Così ieri sera l’ultimo giorno di produzione ha visto la malinconia sovrastata dalla rabbia. Allo scoccare delle 22, mentre chi era in turno usciva per l’ultima volta dai reparti, gli operai della Fiat e dell’indotto si sono piazzati davanti ai cancelli per bloccare l’uscita della merce, quel migliaio di Ypsilon pronte sui piazzali interni. La decisione è stata presa ieri mattina da un’affollata assemblea fuori dai cancelli della fabbrica. “Facciamo pressione sulla Fiat perché modifichi le sue posizioni”, scandisce dal palco il leader della Fiom-Cgil Maurizio Landini. La speranza è che la Fiat molli almeno sui 6 maledetti milioni di euro. “Non passerà uno spillo fino a mercoledì prossimo”, annuncia Roberto Mastrosimone della Fiom, operaio e leader storico delle lotte di Termini che per almeno dieci anni hanno cercato di fermare o ritardare il disastro. Il 30 novembre è fissato il prossimo round di trattativa a Roma. “Ci ho pensato, ma onestamente non trovo nessuna motivazione per la mossa della Fiat, se non la semplice arroganza”, riflette a bassa voce Landini al termine dell’assemblea. Un intreccio di recriminazioni e minacce si alternano sul palco dell’assemblea, provenienti da voci di ogni tipo, il giovane e l’anziano, il diretto Fiat e il lavoratore dell’indotto, il duro della Fiom e il conciliante della Cisl: appare evidente che per Marchionne il ricompattamento del fronte sindacale non è un problema, e se lo è vale comunque meno di 6 milioni di euro.

E COSÌ ecco Landini assieme a Bruno Vitali della Fim-Cisl, divisi e a volte contrapposti in tante recenti battaglie, spiegare con una voce sola agli operai che questa volta a Marchionne non gliela possono far passare. E li convincono con la stringente logica dei fatti. I 1300 posti di lavoro promessi dalla Dr Motor di Massimo Di Risio, che rileverà con soldi pubblici lo stabilimento realizzato 41 anni fa sempre con contributi statali, sono sufficienti a sistemare tutti, compresi quelli dell’indotto, solo se la Fiat mette sul tavolo 24 milioni di euro di incentivi all’esodo e non i 18 su cui si è impuntata finora. “Un accompagnamento dignitoso”, lo definisce Vitali. Sono quei 32 mi-la euro a testa con cui aiutare i più anziani ad affrontare gli anni della “mobilità” a basso reddito che li porteranno all’età pensionabile. “I 32 mila euro non sono una nostra pretesa, sono scritti nelle tabelle Fiat utilizzate in tutti i casi analoghi”, protesta Landini, “e stavolta invece non ce li vogliono dare. Prima chiudono la fabbrica e poi fanno ai lavoratori questo estremo sfregio, questo sberleffo, questa assurda pretesa di trarsi d’impaccio dicendo che regalano la fabbrica a Di Risio, come se non fosse stata costruita con denaro pubblico”. Incalza Mastrosimone: “Il piano di Di Risio, da uno a cento, lo valuto uno, va bene? Però questo ci hanno dato, e almeno facciamolo partire”.

LA DIFFERENZA tra 18 milioni e 24 milioni equivale a quella tra 550 e 750 avvii alla mobilità. Duecento in meno verso la pensione, duecento posti di lavoro in meno per i giovani e quelli dell’indotto. Ed eccoli uniti: quei 6 milioni di euro servono a tutti, anche all’operaio che afferra il microfono e grida: “Non ci voglio andare a casa a dire a mia figlia che non sono più un operaio metalmeccanico”. Anche a Mastrosimone, che incenerisce con lo sguardo gli operai che disturbano, e poi li avverte: “La nostra storia la conosciamo bene, la verità è che siamo stati sempre divisi, tra giovani e vecchi, diretti e indotto, operai e impiegati. Ma oggi è l’ultima occasione”. Poi grida: “Per una volta! Per una volta! Per una volta facciamo una cosa tutti insieme, anche gli impiegati!”. Applauso.

CERTO che è l’ultima occasione. Non solo perché la Fiat ieri sera ha chiuso e adesso porta la Ypsilon nello stabilimento polacco di Tichy, ma anche perché stavolta l’hanno capito tutti che quando Marchionne dice che la partita è finita non si salva nessuno. L’operaio Filippo Battaglia sale sul palco e lo spiega con amarezza beffarda: “Anche i dirigenti con gli occhiali hanno fatto la fine del sorcio”. Tutti figli “di una terra sedotta e abbandonata”, recrimina don Ciccio Anfuso, arciprete della Chiesa Madre di Termini alta, giunto a portare agli operai in assemblea un saluto e un monito: “Un uomo senza lavoro non è solo senza soldi, ma anche senza dignità”.

da Il Fatto Quotidiano

*****

 

Fuga dall’Italia
Loris Campetti

«Fiat terra mare cielo», recitava una vecchia pubblicità della multinazionale torinese ai tempi in cui da casa Agnelli usciva di tutto, dalle littorine agli aerei, dagli autobus ai cioccolatini. Più che una pubblicità della Fiat era una pubblicità dell’Italia. Le cose sono profondamente cambiate da quando i treni sono finiti in mano francese, gli aerei al fondo americano Carlyle, quello dei Bush, gli autobus vengono costruiti in Francia e in Cechia e gran parte delle automobili negli Stati uniti, in Polonia, in Serbia, in Turchia.
L’Italia è destinata a diventare, al massimo, una fabbrica cacciavite di un Lingotto che sta trasferendo la testa negli Usa e i tentacoli ovunque c’è da rosicchiare dai governi e da spremere dagli operai. Il gigante di ferro, Mirafiori, è poco più che archeologia industriale, la Pomigliano a democrazia ridotta che sta rinascendo dalle ceneri di una storia collettiva parla un’altra lingua e chiude i cancelli in faccia a chi non si inginocchia al cospetto del Santo Marchionne. La storia industriale italiana su cui i monopolisti Agnelli avevano messo le zampe si è dissolta. Chi si ricorda dell’Alfa Romeo di Arese? E chi si ricorderà, dopodomani, della cattedrale nel deserto chiamata Termini Imerese?
In 112 anni di storia, la Fiat ne ha provocati non pochi di danni all’Italia, da cui non ha mai smesso di abberarsi. CONTINUA|PAGINA2 Può apparire una battuta provocatoria ma non lo è, quella del Codacons che nel giorno drammatico della chiusura di Termini Imerese chiede a Marchionne di restituire alla Finmeccanica, cioè alla collettività, l’Alfa Romeo: Agnelli se l’era portata a casa con l’aiuto di Craxi (presidente del consiglio) e di Prodi (presidente dell’Iri). Un fulgido esempio di privatizzazione, un gioiello praticamente regalato alla Fiat pur di impedirne l’acquisto da parte di Ford che avrebbe segnato la fine del monopolio torinese. Dell’Alfa Romeo, ricorda giustamente il Codacons, oggi resta solo il marchio. Il poco che resta di «Fiat terra mare cielo» sta per diventare un tris di sottomarche della Chrysler. Persino la Fiat Cinquecento costruita in Messico che doveva spopolare negli Usa sta arrancando, le quote in Italia e in Europa delle quattro ruote di Marchionne stanno crollando, e di cosa si parla da noi? Dei tre stabilimenti chiusi, a Imola, ad Avellino, in Sicilia? Dei conseguenzi danni sociali? Nient’affatto, si parla di come rilanciare l’azienda vietando il diritto di sciopero, decurtando lo stipendio dei lavoratori ammalati, evitando a tutte le tute blu di votare, espellendo dalle fabbriche la Fiom che rappresenta la quota più importante dei dipendenti, imponendo senza contrattazione 120 ore di straordinari e turni e ritmi cinesi. Peccato che in attesa degli straordinari quando la domanda, chissà perché, esploderà, a decine di migliaia le tute blu vengono messe in cassa integrazione, sfruttando gli ammortizzatori sociali. E in attesa che si impedisca a qualche centinaia di migliaia di lavoratori di andare in pensione, a migliaia vengono mandati a casa prematuramente e sempre con i soldi della collettività, con scivoli di 5 e in alcune realtà produttive anche 7 anni.
La Fiat ha disdetto il contratto nazionale e tutti gli accordi sindacali stipulati dal 1971 a oggi. Nei 180 stabilimenti in cui lavorano 80 mila dipendenti sarà imposto per decreto il contratto Pomigliano. Ma Marchionne è magnanimo e ha accettato di discuterne a voce, e non più solo per e-mail, con tutti i sindacati. Succederà martedì prossimo, molti temono che più che un confronto sarà una comunicazione aziendale nel classico stile Fiat: così è, anche se non vi pare. Nel frattempo, però, negli stabilimenti Fiat in cui si produce qualcosa sono partiti gli scioperi, da Torino a Brescia, da Volvera ad Atessa e a Maranello.
«Non è possibile per un ministro che viene da Torino non parlare di Fiat», ha detto ieri la titolare del lavoro e del welfare Elsa Fornero. Bene, parliamone. Fornero aggiunge che «le medie e grandi imprese non possono abbandonare il paese». Giusto, ma se lo abbandonano? Se, come ha precisato, alla ministra «non sfugge che la parte più debole è costituita dai lavoratori», come pensa di intervenire il governo? Sembrebbe pronto, parola di Fornero, a offrire «un contributo costruttivo, nel pieno rispetto delle autonomie» sulla vicenda che riguarda gli operai siciliani. Ma è l’intera vicenda Fiat – il futuro del maggior gruppo privato italiano e dei suoi 80 mila dipendenti – che chiama in causa il governo. Un governo che dice di volere crescita ed equità, due obiettivi che non traspaiono dai misteriosi piani di Marchionne, non può non vigilare. Non può non interrogare la Fiat sulla possibilità di crescere ed essere equa sospendendo contratti, Statuto, Costituzione, rappresentanza, sciopero, malattia e, in ultima istanza, la democrazia. Ha ragione Elsa Fornero quando dice che la vicenda Fiat è molto «delicata», e allora con la delicatezza del caso, se ne faccia carico insieme al suo collega Corrado Passera. Non si possono delegare gli obiettivi dichiarati dal neonato governo – sempre crescita ed equità – a un padrone del vapore.

da “Il manifesto”

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *