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Pomigliano. Tra Berlusconi e la paura

Lo speaker che racconta favole tecnologiche a un pubblico di giornalisti circondato da operai (un centinaio o poco più, sui 4.800 da “riassumere”) addestrati ad applaudire a comando. Convinti, per averla sfangata, i giovani; facce terree e silenziose tra i cinquantenni.

Trattata come un’intrusa una giornalista dell’Associated Press che ha osato fare una domanda sui zoppicanti conti Fiat. Nessuna informazione sui pieni industriali dei diversi stabilimenti (quali modelli e dove), ma solo la pretesa di “fare quello che gli pare!. Senza sindacati tra i piedi. Sono in molti infatti a prevedere che la prossima mossa “sindacale” sarà fatta con i soli Ugl, Unionquadri e Fismic (sindacato aziendale dalla nascita, l’ex Sida fondato direttamente da Valletta negli anni ’50), facendo fuori Fim e Uilm (è la logica del “maggioritario di sigla”, non del maggiornumerro di iscritti o consensi raccolti). E infine far fuori anche i fascisti dell’Ugl, in modo da avere solo il sindacato aziendale: uno per i dirigenti e uno per la “bassa manovalanza”.
Il problema è che fuori, a contestare, con Fiom, Usb e Cobas, c’era davvero poca gente in rapporto alla gravità di quello che sta accadendo. La paura fa brutti scherzi, nella classe; questo lo sappiamo. Tenerne conto e costruire un tessuto di relazioni tra i lavoratori e il territorio e le organizzazioni del sindacalismo conflittuale è quindi ancora più necessario.
Sono cambiate ora totalmente le condizioni del conflitto in fabbrica: come diventerà? Qui si gioca la partita del prossimo futuro. Sapendo che per la Fiat (e gli altri padroni che vorranno o potranno seguirne l’esempio) il sindacato diclasse è temuto più della camorra…

 

Tutti i sindacati conflittuali hanno espresso la loro posizione sulla porcata Fiat. La Cgil confederale non l’ha fatto. Il direttivo nazioonale si è chiuso dopo due giorni di discussione senza alcuna mozione approvata. “Voci da dentro” riferiscono di uno scontro durissimo tra una segreteria – la Camusso spalleggiata dall”ex segretario generale Guglielmo Epifani (entrambi ex socialisti, sia detto en passant) – che cercava di far passare un giudizio di “sconfitta Fiom”  e “necessità di ricostruire il rapporto unitario con Cisl e Uil sulla base dell’accordo del 28 giugno” – e il segretario della stessa Fiom, Maurizio Landini, spalleggiato dall’area programmatica “La Cgil che vogliamo”  (coordinata da Gianni Rinaldini), il segretario generale della potente – e ricca – categoria dei pensionati, nonché dagli “emiliani”, che avrebbero lasciato il direttivo in anticipo per non dover votare.

Di fatto, “il più grande sindacato italiano” non ha una posizione con cui affrontare il più grave strappo alla contrattazione nazionale collettiva che sia mai avvenuto nel dopoguerra. Comunque la si pensi, la Cgil è un sindacato imbambolato, seduto, finito. L’augurio è che la maggioranza combttiva della Fiom ne prenda atto prima di essere smontata pezzo pezzo da un “apparato” che palesemente dovrà “portare la testa della Fiom su un piatto” per essere ammesso nel ristretto circolo dei “sindacati firmatari di accordi contro i lavoratori”.

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