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Salari al chiodo e niente contratti

Dev’essere perché i suoi dati – oltre ad essere difficilmente contestabili da chi mastica poco di statistica – restituiscono ormai un quadro molto fedele della realtà italiana, al punto da confermare puntualmente anche le “sensazioni a pelle” di molti profani.

Prendiamo i dati di oggi sulle “retribuzioni contrattuali orarie” dei lavoratori “in chiaro”. A novembre risultano ferme rispetto ad ottobre, mentre aumentano appena dell’1,5% su base annua. L’Istat fa notare anche che la crescita tendenziale è la più bassa dall’ottobre del 2010, ovvero da oltre un anno, quando si registrò lo stesso dato che risulta il minimo da marzo 1999.

Il problema serissimo è che lo stesso istituto ha puntualmente registrato un tasso di inflazione (amento dei prezzi) del 3,3% nello stesso periodo. Manca dunque un chiarissimo 1,8%. Che diventa una cifra molto più alta se si tiene conto del particolare paniere Istat sui generi comprati più di frequente, ovvero quelli di prima necessità ovvero ancora la spesa di tutti i giorni.

Con riferimento ai principali macrosettori, a novembre le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell’1,9% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione. I settori che a novembre presentano gli incrementi maggiori rispetto allo stesso mese dell’anno precedente sono: gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e attività dei vigili del fuoco (per entrambi +3,1%); ovvero le sole categorie che abbiano visto una dinamica contrattuale in piedi. Sottolineiamo che questi “aumenti”, comunque, non coprono nemmeno loro l’inflazione.

Tutti i comparti della pubblica amministrazione, a eccezione dei vigili del fuoco, registrano, invece, variazioni nulle. Nel mese di novembre, tra i contratti monitorati dall’indagine, spiega l’Istat, è stato ratificato solobl’accordo per i dipendenti degli studi professionali. L’Istituto di statistica fa, inoltre, sapere che l’indice delle retribuzioni orarie contrattuali per l’intera economia, proiettato per tutto l’anno sulla base delle disposizioni definite dai contratti in vigore alla fine di novembre, registrerebbe nel 2011 un incremento dell’1,8%. Vale dunque il discorso fatto all’inizio: i salari dei lavoratori itliani stano perdendo rapidamente potere d’acquisto. Se c’èerano voluti circa 15 anni – dalla “concertazione” del ’93 fino all’esplosione della crisi, nel 2007-2008, per perdere il 10% nella distribuzione generale del reddito, ora la velocità di arretramento è più che doppia. Ci stiamo insomma avvicinndo rapidamente alla soglia della pura sopravvivenza (laddove c’è un contratto a tempo indeterminato; altrimenti neppure quella).

Del resto ottenere un rinnovo contrttuale è diventato un lusso. Marchionne sta facendo davvero scuola. A novembre risultano infatti in attesa di rinnovo 30 accordi contrattuali, di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a 4,1 milioni di dipendenti (circa 3 milioni nel pubblico impiego). La quota di dipendenti che aspettano il rinnovo è pari al 31,4% dell’intero mondo del lavoro “regolare”.

I tempi di attesa di un rinnovo contrattuale si sono anch’essi quasi radoppiati: a novembre 2011 l’attesa media è di 23,9 mesi, in drastico aumento rispetto allo stesso mese dello scorso anno (13,4).

In questo clima, crolla anche l’indice di fiducia dei consumatori, che scende da 96,1 a 91,6. E’ livello più basso dal 1996, ovvero da quando sono disponibili le serie destagionalizzate.

La fiducia dei consumatori, così, segna una brusca retromarcia, un vero e proprio crollo, dopo il positivo risultato di novembre. A dicembre tocca un minimo storico che riporta indietro di ben quindici anni. Il peggioramento è diffuso a tutte le componenti ed è particolarmente marcato per il clima economico generale con il relativo indice che passa da 83,1 a 77,2. Anche le previsioni a breve termine registrano un marcato calo, diminuendo da 88,9 a 82,9. Calano, inoltre, i saldi relativi alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -72 a -85) e sulla convenienza all’acquisto di beni durevoli (da -87 a -99). E ancora, si deteriorano le aspettative di disoccupazione (il saldo passa da 80 a 86) e quelle generali sull’economia italiana (da -46 a -55). A livello territoriale, il peggioramento della fiducia è diffuso in tutte le ripartizioni ed è particolarmente marcato nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno.

L’Istat è dunque attendibile. Ora c’è solo da mettersi in movimento per rovesciare questa tendenza all’immiserimento di massa.

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