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“Niente sciopero, c’è Pitti Uomo”. Anche PD, Cgil e Cisl contro le Rsu Ataf

Sul fronte della difesa dei beni comuni, a Firenze si sta giocando una battaglia di quelle importanti, nonostante il silenzio dei media nazionali che pure ogni tanto tornano sui risultati dei referendum del 12 e 13 giugno. Nel capoluogo toscano governato dal centrosinistra – e dal rampante Matteo Renzi – l’amministrazione comunale vuole privatizzare l’azienda di trasporto pubblico locale, l’Ataf. Lo aveva annunciato nei mesi scorsi e proprio a pochi giorni da Natale, il 22 dicembre, la maggioranza del Consiglio Comunale ha approvato la cessione ai privati di quello che lavoratori e cittadini considerano un bene comune intoccabile. In attesa che il Governo Monti, dopo la maxistangata di fine anno, passi alla cosiddetta ‘fase due’ – che comprende le privatizzazioni di ciò che rimane delle grandi aziende pubbliche o partecipate dallo Stato – a prendere l’iniziativa sono stati molti enti locali, di destra, centro e sinistra. In fondo le casse di Comuni e Regioni sono terribilmente vuote visto il continuo taglio di finanziamenti statali, e quindi l’idea che il patrimonio pubblico debba essere (s)venduto ai privati per fare cassa va per la maggiore.

Che importa se una volta privatizzato il servizio di trasporto pubblico di Firenze i biglietti saranno più cari, le linee periferiche e meno redditizie verranno tagliate, i lavoratori vedranno ridotti i loro diritti e i loro salari? Non sembrano preoccupati di queste piccolezze i 29 consiglieri comunali che il 22 dicembre hanno votato ‘Si’ alla delibera che decide la (s)vendita.

Ma quando le loro facce sono finite su un volantino distribuito dai lavoratori dell’azienda proprio davanti a Palazzo Vecchio, gli amministratori non l’hanno presa bene, ed hanno rivolto accuse durissime ai promotori del “Comitato contro la privatizzazione dell’Ataf” e alle Rsu. I cittadini di Firenze non hanno il diritto di sapere che volto hanno coloro che a giugno rivendicavano la vittoria nei due quesiti contro le privatizzazioni e ora votano la privatizzazione del trasporto pubblico? Non per l’assessore alla mobilità Massimo Mattei che ha tuonato: «Il volantinaggio di alcuni sindacalisti dell’Ataf di oggi è scandaloso, al limite dell’istigazione a delinquere, dovrebbero vergognarsi. Il Comune di Firenze ha chiesto loro un piccolo sacrificio: lavorare 15 minuti in più al giorno, senza che venisse loro tagliato un euro di stipendio. E la risposta è stata di insulti e peggio ancora di velate minacce». Secondo Mattei «l’Ataf, grazie ai privilegi dei lavoratori, da bene comune è diventato un male pubblico. Per difendere una serie di vantaggi contrattuali che nessun altro lavoratore del settore ha in Italia, i fiorentini ogni anno sono costretti a sborsare soldi per far quadrare i bilanci. In questo momento di crisi, dove tante famiglie soffrono per la disoccupazione, per la cassa integrazione o dove tanti piccole medie imprese sono in ginocchio, dei privilegiati come loro che uno stipendio ce l’anno tutti i mesi garantito dai soldi pubblici, dovrebbero solo vergognarsi per gesti come quello di oggi». Demagogia pura e abbastanza smaccata: se i fiorentini sono disoccupati e sono stati messi in cassa integrazione è colpa dei dipendenti dell’Ataf, che si dovrebbero vergognare di avere ancora un lavoro e qualche diritto?

L’ex assessore regionale Conti ha invece bollato il volantino in questione come “fascista”. Come se non bastasse ci si sono messi pure i sindacati gialli dell’azienda che, invece di dare man forte ai lavoratori impegnati in una battaglia che pure in questi mesi ha coinvolto associazioni, centri sociali, comitati di quartiere e organizzazioni sindacali indipendenti, hanno ‘consigliato’ le Rsu di abbassare i toni. E i segretari locali della Cgil Mauro Fuso e della Cisl Roberto Pistonina si sono addirittura dissociati pubblicamente dal volantino che elencava nomi e facce dei consiglieri pro-privatizzazione o di quelli che si sono astenuti, come Eros Cruccolini di Sel.

Durante il volantinaggio del 5 gennaio davanti alla sede del Comune, oltre a distribuire i volantini incriminati e un po’ di carbone a chi vuole svendere un prezioso bene comune, lavoratori e attivisti – tra loro Alessandro Nannini dei Cobas e Americo Leoni della Faisa – hanno fornito ai cittadini e a qualche giornalista presente alcuni dati: «lo sapevate che molti degli autobus nuovi sono soltanto riverniciati di bianco al prezzo di 5.000 euro ciascuno?»; «lo sapevate che Ataf possiede 400 autobus per un valore di 30 milioni ma Renzi vende l’azienda ai francesi per 8?»; «lo sapevate che Filippo Bonaccorsi è presidente di Ataf, LI.nea, Gest, City Sightseeing… non sarà in conflitto d’interessi?».

Ed hanno anche ribadito che dopo il riuscito sciopero del 5 dicembre i lavoratori dell’Ataf torneranno a incrociare le braccia l’11 gennaio. Uno sciopero contro cui si sta scagliando la cosiddetta “Commissione di garanzia” che ha chiesto nei giorni scorsi ai sindacati di Ataf e Gest (la società che gestisce la tramvia) di revocare il blocco della circolazione dei mezzi prevista mercoledì. Motivo? Quel giorno in città c’è la kermesse Pitti Immagine Uomo! Una motivazione risibile. Gli scioperi non vanno più di moda?

Alla commissione antisciopero hanno risposto immediatamente le Rsu dell’Ataf: «Nella richiesta di revoca dello sciopero si adduce come motivazione la violazione del divieto di concomitanza con manifestazioni di rilevante importanza, in riferimento allo svolgimento di Pitti ma in alcun modo tale divieto può intendersi riferito ad una manifestazione di carattere meramente commerciale quale Pitti è, dovendo in questo caso necessariamente prevalere la libertà di esercizio del diritto di sciopero». Per questo la Rsudichiara di «ritenere in ogni caso inaccettabile che l’esercizio del diritto di sciopero, in un bilanciamento di interessi, debba soccombere a fronte dell’ ‘(ir)rilevante interesse di una sfilata di moda». 

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