Menu

Esodati e truffati, ora pensionati poveri

“Hanno la faccia come il culo” titolano spesso giornali satirici o blogger indignati. Ma qui non c’è nulla di ridere. Sulla vicenda degli “esodati” – termine che viene fatto risalire al senatore del Pd Cesare Damiano, ex ministro del lavoro, che fu “esodato” dalla Fiom insieme a Susanna Camusso e Gaetano Sateriale per eccessiva confidenza con le imprese, anziché con i lavoratori – il governo tira fuori la faccia peggiore: quella del mentitore di professione, che nega anche l’evidenza.

Persino il “complice” Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, è costretto ad ammettere di aver a che fare con dei rapinatori: «Con la recente riforma delle pensioni – aggiunge – si è determinato il passaggio di circa 20 miliardi di euro dalle tasche di milioni di pensionandi e pensionati alle casse dello Stato», senza che ne sia scaturito «alcun beneficio sul fronte sociale».

Quasi commovente Camusso, che «se il governo confermasse nei prossimi giorni che gli esodati sono 65.000 allora non resta altro che chiedere le dimissioni del presidente dell’Inps». “Noi abbiamo idea delle migliaia di persone che si sono presentate da sole ai patronati; la cifra di più di 300mila è stata fornita da fonti ufficiali e non l’ha inventata il sindacato e ore fa l’Inps ha parlato di 130mila. Mi pare che, quindi, non possano essere 65mila”.

In attesa di vedere con l’Inps quali siano i conti reali e le conseguenze, vediamo intanto come la stampa ha dato conto della notizia. Segnaliamo in tanto che solo su il manifesto ci si è presi la briga di sentire dall’Inps come potrebbero stare le cose.

 

Magia. Da 350.000 a 130.000, anzi la metà. Ma come? Eliminando tutti quelli che Fornero vorrebbe vedere in pensione con «la minima»

Troppi esodati, Fornero li cancella

Francesco Piccioni.

 

Con una nota, il ministro decide che sono «soltanto 65.000». Giusti giusti quanti ne possono coprire le poche risorse accantonate allo scopo. I sindacati contestano la cifra e oggi manifestano a Roma

Con un colpo di bacchetta magica il ministro del lavoro Elsa Fornero ha deciso che «gli esodati sono circa 65.000». Esattamente quanti ne possono coprire le somme accantonate a suo tempo dal governo. Quindi «non servono risorse aggiuntive» per far fronte ai bisogni di chi era rimasto intrappolato tra un accordo (per crisi aziendale o incentivi all’uscita) firmato secondo le vecchie regole pensionistiche e la nuova «riforma» che porta il suo nome.
65.000? Ma non era stato lo stesso ministro ad avallare – nel corso del Forum Tuttopensioni organizzato dal Sole24Ore un mese fa – la ben più inquietante cifra di 350.000? E il direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, non aveva detto soltanto l’altroieri – nel corso di una audizione alla Camera, non in una chiacchierata informale – che dai suoi calcoli erano almeno 130.000?
Il balletto delle cifre, nonché la sproporzione pazzesca tra le previsioni iniziali del ministro – «appena 50.000» – e la stima più alta, aveva sollevato non poche ironie sulla capacità di calcolo dei «tecnici» al governo. La nota ufficiale di ieri, dunque, sembra più una impuntatura orgogliosa che non un dato accertato. Nessun sindacalista che si era fin qui occupato del problema sembra dare la minima credibilità a questo numero.
Si va dalla sempre conciliante Uil che lo definisce «un gioco dell’oca», con «la quantificazione del 6 dicembre, riferita a solo una parte delle tipologie di lavoratori da salvaguardare». All’altrettanto dialogante Cisl, secondo cui «le persone coinvolte dalla crisi che hanno perso il posto di lavoro e che hanno accettato percorsi di uscita con ammortizzatori sociali o con incentivi all’esodo sono purtroppo molto più numerose di quanto oggi dichiarato dal ministro».
Più severa la reprimenda della Cgil, con Vera Lamonica che parla di «dati sballati. Il governo scherza con il fuoco». «Il dubbio è che con queste cifre si voglia nascondere la vera entità del fenomeno e non si voglia risolvere il problema», perchè non si vuole «ammettere di aver fatto una riforma delle pensioni sbagliata e superficiale». Ironico Gianni Rinaldini, coordinatore dell’area La Cgil che vogliamo, secondo cui al governo «sono in stato confusionale; mi pare un numero inventato e assolutamente non credibile, ma è evidente che non avevano postato risorse sufficienti».
Oggi arriveranno a Roma migliaia di «esodati», richiamati da Cgil, Cisl e Uil per pretendere dal governo un tavolo di discussione sulla loro situazione. Sfileranno in corteo da piazza della Repubblica a Santi Apostoli, in mattinata. La nota di Fornero, invece, nega persino che il loro problema esista.
Ma come è possibile un voltafaccia così poco credibile? Per Paolo Leonardi, coordinatore nazionale dell’Usb, che proprio nell’Inps rappresenta ormai il terzo sindacato, il trucco c’è. Anche se i calcoli sono molto complicati, perché «ogni stato di crisi aziendale viene affrontato nelle sedi Inps di appartenenza», il numero è «assolutamente sottostimato». Per arrivare a limitare così tanto la platea, dunque, l’ipotesi più probabile è che «abbiano detratto tutti coloro che, a loro parere, potrebbero andare in pensione accettando le ‘penalizzazioni’ previste dall’ultima riforma». Ovvero che dovrebbero, secondo il ministero, accontentarsi di un assegno mensile inferiore anche del 40% a quello che si aspettavano di prendere al momento di firmare l’uscita dal lavoro.
In effetti, due giorni fa, il ministro Fornero aveva risposto proprio con questo «consiglio» a un’impiegata delle Poste che aveva accettato di andarsene dopo 37 anni e mezzo di lavoro. Se, come tutto fa pensare, è questa la «soluzione» pensata in via Veneto, ci troveremmo di fronte a una vera e propria truffa da parte di uno Stato che non rispetta i patti siglati con i propri cittadini; e che gioca con la vita delle persone manipolando ad hoc leggi e codicilli.

 
Persino il confindustriale Sole 24 Ore fa fatica a dar credito al ministro anti-lavoro.

Non giochiamo con i numeri

Salvatore Padula

Una questione di metodo e una di merito. Il metodo: un tavolo tecnico doveva fare luce sulla vicenda degli esodati, o meglio, dei salvaguardati, come il comunicato diramato ieri dal ministro del Lavoro definisce i soggetti che, in prossimità del pensionamento, rischiano di restare senza stipendio e senza assegno previdenziale. Bene: da un tavolo tecnico (voluto, peraltro, da un ministro tecnico) ci saremmo aspettati una risposta “tecnica”. Una quantificazione precisa dei lavoratori potenzialmente interessati.

Una quantificazione che ricalcasse l’elenco indicato dalla riforma (il decreto salva Italia, con le modifiche del decreto Milleproroghe): quanti i lavoratori in mobilità lunga e breve? Quanti a carico dei fondi di solidarietà? Quanti in prosecuzione volontaria? Quanti “esodati” veri e propri, cioè lavoratori incentivati a lasciare il lavoro in vista di una pensione che ora si allontana? E via via le altre situazioni per le quali continueranno ad applicarsi le “vecchie” regole di pensionamento.

Nulla di tutto ciò è arrivato (o, almeno, nulla di tutto ciò è stato comunicato). Il che, per restare al metodo, non è proprio un bell’esempio di trasparenza. A ben vedere, poi, sarebbe stato lecito attendersi che il tavolo tecnico fosse così lungimirante da quantificare anche le situazioni – e sono moltissime – borderline, fatte di lavoratori che attualmente non hanno salvaguardia ma che si trovano nella medesima condizione degli altri: rischiano di restare senza stipendio e senza pensione. Anche qui, nebbia fitta.

Quanto al merito, più che di soluzione, quella arrivata ieri sembra essere una “toppa”. Il ministero ci dice che i salvaguardati, per i prossimi due anni, sono circa 65mila. Guarda caso si tratta del numero per i quali la riforma già stanzia le risorse a copertura dei costi (oltre 5 miliardi fino al 2019). L’Inps, solo il giorno prima, aveva parlato di numeri ben diversi, 130mila unità interessate in quattro anni, oltre a 1,4 milioni di soggetti in “prosecuzione volontaria”. Non serve un contabile per capire che qualcosa non torna, come in effetti sembra lasciar intendere anche il comunicato del ministero quando, in coda, afferma che si stanno cercando soluzioni adeguate per situazioni non coperte dalle norme attuali. Ma, allora, a che è servita la ricognizione?

È un peccato che si sia persa l’occasione per fare chiarezza. I numeri non sono tutto, ma in questo caso dietro ai numeri ci sono persone reali, ci sono storie, ci sono drammi: un po’ più di attenzione sarebbe almeno stato un segno di rispetto.

 

E quindi a ricordare quel che il giorno prima il direttore generale dell’Inps aveva detto alla Camera.

Stime Inps sugli «esodati»: uscita per 130mila in 4 anni

La ricognizione tecnica sui cosiddetti «esodati» è ormai completata. Oggi il ministero del Lavoro, a meno di rinvii dell’ultima ora, dovrebbe diffondere le stime ufficiali sul numero dei lavoratori che, per effetto dell’allungamento dei tempi di uscita verso la pensione previsto dalla riforma Fornero, rischiano di rimanere per periodi anche lunghi senza lavoro e senza assegno previdenziale.

Già ieri alcune cifre, per grandi aggregati, sono stati forniti dal direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, nel corso di un’audizione alla Camera: i lavoratori tutelati in uscita, tra quelli in mobilità, quelli inseriti nei fondi di solidarietà e gli «esodati» veri e propri sono circa 130.000 nei prossimi 4 anni.

In particolare le platee di riferimento prese in considerazione da Nori fanno riferimento a 45.000 persone in mobilità, 13-15.000 persone inserite nel fondo di solidarietà e credito, a 70.000 uscite dal lavoro sulla base di accordi volontari, ovvero i veri «esodati», e a altri 4-5mila i lavoratori coinvolti a vario titolo nella Pa. A soffermarsi sul quadro illustrato da Nori a Montecitorio è stato il vicepresidente della Commissione lavoro, Giuliano Cazzola (Pdl). «Il direttore dell’Inps – ha sottolineato – ha fatto presente che esiste anche un’altra categoria, quella delle persone che sono in prosecuzione volontaria, si tratta di 1,4 milioni di lavoratori». Per Cazzola «non tutti questi lavoratori» potranno essere tutelati «per varie ragioni. Però – ha aggiunto – è presumibile che una parte consistente rientrerà nelle norme di tutela, per cui si arriverà ai circa 350.000 soggetti di cui si è parlato in questi giorni».

Oggi, come detto, i dati dovrebbero essere ufficializzati dal ministero del Lavoro Elsa Fornero sulla base dell’istruttoria tecnica sviluppata insieme a Inps e Ragioneria generale dello Stato. In ogni caso la soluzione non arriverà subito. Una soluzione che dovrebbe riguardare anche i 5mila «esodati» di Poste italiane, almeno secondo quanto affermato dal presidente dell’azienda Giovanni Ialongo. Che ha sottolineato come alcuni «esodati» di Poste sono stati incentivati «assumendo il figlio o la figlia». Una sorta di scambio generazionale-familiare che vanta diversi precedenti nella storia del reclutamento dei dipendenti di diverse aziende pubbliche.

Il ministro del Lavoro oltre al dato dei lavoratori interessati dalla sospensione tra un’occupazione perduta e una pensione in forse, vorrebbe annunciare il prima possibile anche una soluzione legislativa, magari in coincidenza con la manifestazione unitaria di Cgil, Cisl, Uil e Ugl organizzata per venerdì 13 aprile davanti a Montecitorio. Il tempo a disposizione per una scelta da compiere con il solo decreto interministeriale previsto dalla legge è il 30 giugno, come si ricorderà. Ma quella strada basterebbe solo per risolvere la situazione di 65mila persone, vale a dire quelle che rientrano nel tetto fissato dalla stessa legge per il pensionamento con i vecchi requisiti; una garanzia che avrebbe richiesto «solo» i 5 miliardi di maggiore spesa previdenziale in sette anni (2013-2019) già finanziata. Poiché la platea sarà più ampia serviranno soluzioni diverse.

Nei giorni scorsi (si veda «Il Sole 24Ore» di Pasqua) era circolata l’ipotesi di una soluzione mista: a una parte di lavoratori verrà garantita l’uscita con i vecchi requisiti e a un’altra verrà concesso il passaggio dalla mobilità (o mobilità lunga) alla nuova Aspi, che dovrebbe debuttare entro giugno, appunto. Il nuovo ammortizzatore sociale consentirebbe altri 18 mesi di sussidio per gli over 50 più vicini ai requisiti, un tempo utile per arrivare alla pensione. Si vedrà se sarà questa la proposta del ministro. Certo è che se si optasse davvero per l’Aspi i lavoratori interessati dovrebbero rinunciare a una fetta di reddito passando dall’80% dell’ultimo stipendio incassato attualmente e fino alla fine dell’anno, ai 1.119 euro dell’Aspi. Inoltre questi «esodati» si vedrebbero calcolati i contributi figurativi sulla base del sussidio e non più dell’ultima busta paga.

I NUMERI
130mila
Le prime cifre
Ieri il direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, ha parlato di 130mila lavoratori in uscita nei prossimi 4 anni. Non è un dato definitivo bensì un riferimento alle platee interessate dalla norma
65mila
Il tetto della legge
La legge 214/2011, che all’articolo 24 introduce i nuovi requisiti di pensionamento, fissa in 65mila il numero di lavoratori interessati da mobilità o inseriti in fondi di solidarietà che potranno godere delle vecchie regole per il ritiro.
Per finanziare questi pensionamenti tra il 2013 e il 2019 sono stati stanziati 5 miliardi di euro
350mila
La stima sindacale
Secondo i sindacati alla fine gli interessati non saranno meno di 350mila. Oggi il ministro del Lavoro dovrebbe dire l’ultima parola sul tema, con una soluzione ad hoc

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • Germana

    di questo passo va a finire che ci faranno la camera ardente sul posto di lavoro. con il funerale pagato dall’Inps.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *