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Eutanasia ferroviaria

Qualcosa che non troveremo su altri giornali, oggi. Glie effetti della riforma delle pensioni non sono gli stessi per tutti, anche se sono dannosi per ogni categoria di lavoratori. Per i ferrovieri, in particolare, rischiano diassumere i contorni e la dimensione di una “mattanza”. E non in senso metaforico.

 

In pensione a 67 anni? Eutanasia ferroviaria
Francesco Piccioni ROMA

Sentir parlare tranquillamente di «eutanasia di massa» in un’assemblea dilavoratori fa un po’ impressione. Se poi si scopre che i presenti stanno parlando di se stessi nel prossimo futuro, il salto di qualità è assicurato.

Ma questi sono ferrovieri, molti i macchinisti. Con la morte fanno i conti ogni giorno e sono abituati a parlarne a voce bassa. Il pericolo di «eutanasia», questa volta, non è legato solo alla durezza del loro lavoro, ma all’intreccio perverso tra riforma delle pensioni e cancellazione art. 18, in votazione al Senato. E non stanno esagerando.
Partiamo dalle pensioni. Ai ferrovieri è stato tolto nel 2000 il «fondo pensioni esclusivo» istituito addirittura nel 1908, integrandolo come «fondo speciale» nell’Inps e stabilendo invece un regime «ordinario» per i neo assunti. Nel 2010 il «semplificatore» Roberto Calderoli cancellò anche quel residuo «privilegio» come legge, lasciando la possibilità di far sopravvivere le agevolazioni pensionistiche solo per via contrattuale. Ora è arrivata «Terminator» Fornero, equiparando i ferrovieri a qualsiasi altro lavoro. E quindi in pensione e 67 anni.
Fino al 31 dicembre potevano andarci a 58, almeno i macchinisti e diverse altra figure particolari. Ohibò, che ci sarà di male, potrebbero dire ai piani alti di Confindustria…
Diciamo intanto che l’aspettativa di vita media di un macchinista è di 65 anni. In teoria, dunque, nessuno di loro arriverà più vivo alla pensione (pagando inutilmente contributi per una vita). In secondo luogo, quel limite di 58 anni è stato fissato a suo tempo seguendo la logica delle visite mediche periodiche, cui ognuno di loro viene sottoposto (con una frequenza di ogni 5 anni in gioventù, che diventa annuale dopo i 50). Si sa da sempre, insomma, che sono ben pochi quelli che risultano ancora «idonei» a 58 anni. E del resto, immaginatevi di stare voi su un Frecciarossa lanciato a 300 all’ora con alla guida un solo macchinista 66enne… Oppure pensate a un manovratore che «fa i ganci» a quell’età (i manovratori sono quelli che letteralmente si buttano sotto il treno per attaccare una carrozza all’altra). O a un addetto alla manutenzione che percorre gli «stradelli» ai lati dei binari.
Il lavoro dei ferrovieri era ritenuto fino a pochi mesi fa così dannoso da non esser compreso neppure nella categoria dei lavori usuranti. Del resto: fanno turni notturni e orari altamente irregolari, stanno a lungo in galleria, sono sottoposti a campi magnetici potenti (fino a 30 microtesla sulle linee Tav, anche se «discontinui», quando il limite di legge è 0,2), trasportano passeggeri, ecc. Dopo 15-20 anni presentano in genere problemi alla vista e all’udito; dopo 20-25, intorno all’80% presenta problemi a colonna vertebrale, soffrono di disfunzioni delle pressione, colesterolo, ecc.
Insomma: qualsiasi sia l’età pensionabile formale (superiore alle stesse aspettative di vita), quasi nessuno ci potrà arrivare come adatto alla mansione. Ma che cosa faranno, una volta dichiarati «inidonei»? Finché erano pochi, e per poco tempo, potevano facilmente esser ricollocati in azienda (biglietterie, ecc). Ma se saranno decine di migliaia e per quasi un decennio? Davvero Mauro Moretti – l’altro «Terminator» di questa storia – pagherà loro uno stipendio?
Qui arriva il combinato disposto delle modifiche all’art. 18. Qualsiasi azienda, a quel punto (sia Fs che la neonata Ntv di Montezemolo e Della Valle) troverà logico licenziarli «per motivi economici». Ma fuori del settore ferroviario (il discorso vale comunque anche per il trasporto pubblico locale, che presenta problemi molto simili), chi mai potrà offrire un impiego a un personale così specializzato e – ricordiamolo – più vicino al fine vita che alla pensione? Come per gli esodati «esodati», ma su un periodo ancora più lungo; questa è davvero una condanna alla fame.
Naturalmente, per quanto molto calmi, i ferrovieri non sono affatto d’accordo. Scioperano per 24 ore subito: dalle 21 di venerdì sera i treni merci, dalle 21 di sabato il settore passeggeri. Ci sono anche ragioni contrattuali, nella piattaforma, ma il tema delle pensioni è divento centrale. Mancheranno Cgil, Cisl e Uil, saranno sostenuti sono dalle sigle conflittuali (Orsa, Usb, Cub). Ma anche a questo, negli anni, hanno fatto l’abitudine.

 

da “il manifesto”

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