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La Fiom al bivio, la Cgil si sgancia

La carica dei cinquecento

A Montesilvano, l’assemblea nazionale dei metalmeccanici. Al centro contratto e democrazia. Assente la Cgil. Landini: «È una fase nuova da cui non si uscirà come prima. Ora lo sciopero generale»

Francesco Piccioni
INVIATO A MONTESILVANO (PE)
Il collegamento con gli operai di Termini Imerese ancora in occupazione all’Agenzia delle entrate locale fotografa la situazione dell’industria e del futuro del paese: un’impresa che fugge, un sostituto che non arriva, ammortizzatori sociali spiazzati dalle riforma delle pensioni, «esodati» senza prospettiva e scadenze fiscali che arrivano puntuali a svuotare redditi che non ci sono più. Il rifiuto di questo destino è il problema che pone a tutti la Fiom. Non da sola, ma in prima fila. Per qualità del rapporto tra un’organizzazione sindacale e i lavoratori, ma anche per dimensioni.
È «una fase nuova», da cui «non si uscirà tornando come prima». inquadrata dal segretario generale Maurizio Landini con la consapevolezza delle difficoltà e del carattere decisivo dello scontro in atto. L’assemblea nazionale dei delegati («i 500») si riunisce per discutere del rinnovo del contratto nazionale, con una piattaforma approvata dalle fabbriche ma che la controparte, Federmeccanica, non vuol nemmeno prendere in considerazione. Preannunciando un «tavolo» soltanto con chi ha firmato quello del 2009 (non la Fiom, dunque), «mani libere» in ogni caso, richieste ultimative anche a Cisl e Uil.
Su tutto domina l’irruzione del «governo tecnico», che ha convinto le imprese a non accontentarsi neppure dell’«accordo del 28 giugno» – che la Fiom aveva bocciato – nel silenzio delle tre confederazioni nazionali. Paradossalmente, ma non tanto, la Fiom parte dal chiedere che la Cgil «esiga» il rispetto di quell’accordo; per poi «stanare» le aziende, divise anche loro, come si è visto con l’elezione del presidente di Confindustria; «praticando la piattaforma contrattuale Fiom». È forse l’ultimo tentativo di tenere un filo di dialogo «costruttivo» con la Cgil, che per la prima volta non ha mandato qui un membro della segreteria confederale. Al punto che Landini, definendosi «sorpreso», si è limitato a dire «se ci sono problemi, siamo pronti a discuterne senza ipocrisie».
I rimproveri della minoranza «camussiana» si riducono alla «mancanza di risultati» della linea fin qui tenuta, rinviando al rapporto unitario con Cisl e Uil la possibile uscita dall’isolamento. Argomenti infilzati da molti interventi: le riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, la sostanziale resa sull’art. 18, non sono del resto una manifestazione della «potenza» della linea «ufficiale». Un metalmeccanico la dice così: «se firmavamo per Pomigliano, avremmo vinto qualcosa?»
La chiave della resistenza Fiom è tutta nel rapporto con i lavoratori, nella coerenza di comportamento, non in alchimie politico-sindacali. I voti aumentano a ogni elezione di Rsu o Rsa. Gli iscritti tengono o aumentano nonostante le minacce. E quindi si pone «un problema di democrazia» se i lavoratori non possono scegliersi il proprio sindacato (in Fiat, ma il fenomeno si va allargando ad altre imprese). Una «stranezza»; in un paese dove «si vuole riformare la legge elettorale perché non permette ai cittadini di scegliere il candidato, nei luoghi di lavoro invece non puoi scegliere nemmeno il delegato». Peggio: in molte aziende chi lavora non sa neppure che ci sono stati accordi che hanno tolto loro molti diritti. Chi teme «l’antipolitica dovrebbe chiedersi se uno che non può votare in fabbrica possa entusiasmarsi per il voto fuori, quando ti dicono in tutti i modi che comunque non conta».
Ma di fronte c’è un governo che «sta facendo il lavoro sporco», creando un nuovo modello di relazioni industriali. E una crisi che peggiora senza che ci sia una sola idea di politica industriale. La debolezza della risposta dipende dalla «frantumazione del mondo del lavoro; noi dobbiamo fare l’operazione opposta: riunificare i precari e i cosiddetti garantiti, perché se passa la logica dell’indennizzo invece del reintegro, in caso di licenziamento illegittimo, saremo tutti precari e prede del ricatto». Per questo «è necessario continuare la mobilitazione prima che il Parlamento decida sul mercato del lavoro». Come dicono quelli di Pomigliano «lo sciopero non è un gioco, ma o reagiamo ora o è finita».
L’ultima chiamata alla Cgil è dunque perché fissi rapidamente la data dello sciopero generale già deciso dal Direttivo nazionale. In ogni caso, l’assemblea dovrebbe dare mandato alla segreteria Fiom di «valutare quali iniziative di mobilitazioni, giuridiche, o d’altro genere prendere». Perché la partita in gioco «va oltre i metalmeccanici e riguarda tutto il mondo del lavoro». Landini sa che «stanno chiedendo la nostra resa; ma io non mi arrendo né accetto che per esistere devo rinunciare al ruolo del sindacato».
L’elenco delle scadenze è nutrito. A partire dalla manifestazione nazionale di Firenze, il 20 maggio, anniversario dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Un’infinità di iniziative locali, con Napoli che sciopera il 28.
Se poi la Cgil non sarà «coerente» con la decisione già presa su art. 18 e mercato del lavoro, i metalmeccanici – com’è loro tradizione – non staranno zitti.
 

da “il manifesto”
 

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