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Nardò: padroni e caporali in manette per induzione in schiavitù

I datori di lavoro – in particolare a Nardò in provincia di Lecce – coinvolti nell’operazione ‘Sabr’ che stamane ha portato a 16 arresti (altri 6 nel resto d’Italia) secondo la Procura Distrettuale Antimafia della città salentina avrebbero dato vita a un ‘sistema’ criminale ben organizzato con rapporti di cooperazione tra di loro. In pratica i padroni si sarebbero associati in una sorta di ‘cartello’ ben strutturato che prevedeva il ruolo di ‘caporali o capi cellula’, in grado di dar vita a massicci fenomeni di tratta di immigrati all’interno dei confini del nostro paese, con l’obiettivo di procurare manodopera in stato di semischiavitù in grado di soddisfare le esigenze di lavoro stagionale agricolo in più regioni.
L’inchiesta, condotta dal procuratore capo della Direzione Distrettuale Antimafia Cataldo Motta e dal sostituto Elsa Valeria Mignone, ha documentato che l’organizzazione criminale era attiva a Nardò ma anche a Rosarno (Reggio Calabria) ed in altre parti del Sud Italia, e reclutava cittadini extracomunitari, per la maggior parte tunisini e ghanesi, introdotti clandestinamente in Italia e comunque presenti sul territorio senza gli opportuni documenti e quindi ricattabili. Secondo gli inquirenti non avevano permessi di soggiorno o, se ne erano in possesso, erano falsi, poichè rilasciati sulla base di false attestazioni di assunzioni al lavoro.
Gli operai venivano destinati allo sfruttamento lavorativo nella raccolta di angurie e di pomodori e mantenuti in condizione di “soggezione continuativa”. I clandestini venivano relegati in zone lontane dai centri abitati, privati del denaro che avevano con sè, retribuiti con somme irrisorie, alloggiati in baracche senza acqua corrente, servizi igienici e corrente elettrica. I braccianti immigrati venivano costretti a turni di lavoro di 10-12 ore, anche durante il Ramadan, periodo durante i lavoratori di religione islamica si astenevano dal bere e dal mangiare durante le ore di luce.
Tra i reati contestati agli arrestati la riduzione in schiavitù, favoreggiamento alla permanenza illegale sul territorio italiano di cittadini extracomunitari, intermediazione illecita e grave sfruttamento del lavoro, estorsione e violenza privata.

Le indagini sono cominciate nel gennaio 2009 e sono proseguite fino al marzo 2010, ma poi hanno avuto delle appendici nei mesi estivi del 2010 e del 2011, e fino a ottobre scorso. Il gruppo criminale era costituito da italiani, algerini, tunisini e sudanesi e operava in Puglia, Sicilia, Calabria e Tunisia. Il reclutamento dei ‘braccianti schiavi’ avveniva per lo più all’estero, in molti casi in Tunisia. Persone disperate e bisognose di lavoro e perciò psicologicamente vulnerabili, allettate da false ed ingannevoli prospettive di svolgere una regolare attività lavorativa in agricoltura, con paghe dignitose e buone condizioni di vita. Venivano adescate con il semplice ma efficace metodo del passa parola dai reclutatori che avrebbero poi provveduto ad organizzare veri e propri ‘viaggi della speranza’ verso la Sicilia e successivamente, attraverso i complici in Italia, gli spostamenti degli operai dapprima nell’agro di Pachino (Siracusa) e, in un secondo momento, in quello di Nardò (Lecce). Ogni componente dell’organizzazione parzialmente smantellata oggi aveva un ruolo e un compito preciso. Anche alcune delle stesse vittime erano obbligate con minacce e ricatti a partecipare alla tratta. 

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