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Immigrazione. La vergogna di via Corelli in aula a Milano

 

“Chi ha visto venga qui a descriverlo”. Gli avvocati di sette immigrati tunisini, imputati per devastazione e saccheggio nel processo con al centro i disordini avvenuti a gennaio nel Centro di Identificazione ed Espulsione di via Corelli a Milano, hanno citato come testimone il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, “affinchè riferisca sulle condizioni di vita all’interno del centro”. La difesa dei sette immigrati vuole che in aula si presenti per testimoniare anche il capo dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno, Angela Pria. Su queste richieste il collegio della prima sezione penale di Milano, presieduto da Ilio Mannucci, deciderà nella prossima udienza fissata per il 31 maggio. Oggi si è aperto il processo a carico di alcuni immigrati tunisini (in totale gli imputati sono otto e sono tutti detenuti da gennaio) i quali, secondo l’accusa, sarebbero stati i responsabili dei disordini avvenuti nel Cie di via Corelli lo scorso 15 gennaio. I difensori di alcuni di loro, gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini, nello loro lista testi hanno indicato anche 17 immigrati, tutti presenti quel giorno nel Cie, perchè riferiscano su quanto accaduto, sulle ragioni della protesta e sulle condizioni di vita nel centro. Tutti e 17 erano stati indagati, ma poi la loro posizione è stata archiviata dal gip (un altro imputato invece è a processo con rito abbreviato). I legali vogliono che in aula per testimoniare vengano chiamati anche Massimo Chiodini, Croce Rossa Italiana, direttore del Cie di via Corelli. Chiodini, così come il prefetto e il funzionario del Ministero dell’Interno, dovrebbero venire a riferire sulle condizioni di vita degli immigrati rinchiusi in via Corelli. I legali chiedono anche conto del fatto che agli immigrati nel centro viene impedito di usare i cellulari e si richiamano alla libertà di comunicazione. La rivolta di gennaio nel Cie di via Corelli esplose durante una perquisizione della Polizia che avrebbe portato alla scoperta di due telefoni cellulare. “Il Cie di Milano è uno dei pochi in cui le persone rinchiuse non possono tenersi il telefonino. Non sono in un carcere ed è un loro diritto”, denuncia l’avvocato Mauro Straini.

Nella richiesta sono inoltre citati anche la giornalista, Raffaella Cosentino, che lo scorso aprile ha pubblicato il reportage “viaggio dentro i Cie” e due senatori, Pietro Marcenaro e Marco Perduca, componenti della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Poi ancora i responsabili dell’Arci e dell’associazione Antigone, oltra al consigliere regionale Chiara Cremonesi. Sulle richieste testi i giudici dovranno decidere.

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