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Emilia. “C’è da lavorare, ma a rischio vostro”

 

A rischio e pericolo dei lavoratori
Riccardo Chiari
«Ciascun dipendente… libera la proprietà da qualsiasi responsabilità penale e civile», recita il documento

La pietra dello scandalo è una liberatoria individuale, che un’azienda di macchinari per il fitness dislocata a Carpi, centro del modenese colpito dal terremoto, ha presentato ai suoi lavoratori. «Ciascun dipendente che ritiene opportuno continuare a svolgere la propria attività – c’è scritto nel documento – libera la proprietà da qualsiasi responsabilità penale e civile». Qualcuno lo ha firmato. Qualcun altro ha preso tempo. Almeno uno ha pensato che, vista la mancanza della certificazione di agibilità dei locali, il rischio era troppo alto e andava avvertito il sindacato. Ma il caso della Forme Physique di Carpi è solo la punta di un iceberg, già avvistato lunedì durante l’assemblea degli industriali modenesi. Reso ora nitido dall’Unioncamere emiliano romagnola, che punta ufficialmente l’indice sui parametri, «attualizzati» e quindi più severi, per ottenere le agibilità di stabilimenti, capannoni, laboratori e uffici nelle zone del sisma.
«L’ordinanza emanata il 2 giugno dal capo della Protezione civile Franco Gabrielli ha portato scompiglio tra imprenditori e associazioni – scrive nero su bianco Carlo Alberto Roncarati – se l’articolo 1 non venisse modificato non ci sarebbero spazi per interpretazioni, tanto è chiaro il testo: ‘Il titolare dell’attività produttiva deve acquisire la certificazione di agibilità sismica rilasciata, a seguito di verifica di sicurezza effettuata ai sensi delle norme tecniche vigenti’. Ma questo articolo non lascerebbe scampo alle attività economiche che, quasi tutte, si svolgono in immobili costruiti prima dell’entrata in vigore delle attuali normative». Il presidente regionale delle Camere di commercio chiede «una coraggiosissima assunzione di responsabilità collettiva che può avvenire solamente attraverso un atto legislativo», e si fa dunque capofila di un mondo imprenditoriale che freme per far riavviare «la produzione». Un mondo per niente soddisfatto della decisione presa dal prefetto Gabrielli di far rispettare la legge. Senza ipocrite eccezioni.
In difesa di chi nelle zone sismiche dovrà tornare a lavorare, senza dimenticare nemmeno per un momento gli operai uccisi dal crollo di capannoni venuti giù come castelli di sabbia, Antonio Mattioli replica colpo su colpo: «Sono molte le cose che si possono fare per riprendere al più presto le attività economiche – spiega il segretario della Cgil emiliano romagnola – ad esempio la Regione e la Protezione civile hanno ampliato il numero dei certificatori per fare le verifiche negli stabilimenti. L’unica cosa inammissibile è scambiare le vite dei lavoratori con il ‘prodotto’. Con il ‘mercato’. In questo terremoto ci sono stati 18 morti sul lavoro, e il sisma ha evidenziato una generale ‘criticità’ dell’edilizia industriale che deve essere affrontata urgentemente, per evitare nuovi disastri e garantire la sicurezza». Quanto al caso della liberatoria individuale, a Mattioli bastano poche parole: «Ho la documentazione. Di fronte a fatti del genere si può solo parlare di irresponsabilità. Abbiamo già segnalato il caso alla procura della Repubblica, ribadendo che la vita dei lavoratori non può essere giocata per una questione di mercato. Più in generale non vorrei scoprire, dalle indagini della magistratura, che in molti casi si è risparmiato nel costruire gli immobili».
Non tutte le aziende sembrano peraltro seguire la strada del muro contro muro. Quelle del settore biomedico, le più innovative del modenese, chiedono semplicemente il pagamento dei debiti da parte delle amministrazioni pubbliche. «Non vogliamo aiuti particolari – spiega Stefano Rimondi di Assobiomedica – già il pagamento dei 6-700 milioni di euro di crediti che abbiamo sarebbe una grande iniezione di liquidità utilissima in questo momento. Ho fatto questa richiesta al ministro Passera, e qualche primo segnale si sta già vedendo da parte di alcune Asl». Nel mentre il Comune di Modena sta censendo gli immobili produttivi non utilizzati – capannoni e uffici – per consentire spostamenti temporanei delle aziende colpite dal terremoto, con contratti di affitto ad hoc. E l’assessore regionale alla Protezione civile Paola Gazzolo anticipa che fra pochi giorni saranno ultimate le «verifiche speditive» sugli immobili interessati dal sisma: «Ne abbiamo fatte già 20mila, ne restano altre 14mila, contiamo di finire nel giro di una settimana».
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Imprese ferme che minacciano la fuga

Sara Farolfi
La denuncia Fiom: «Comuni che offrono condizioni vantaggiose alle ditte che se ne vogliono andare»

Ci sono imprese che minacciano di delocalizzare, come nei giorni scorsi è successo alla Magneti Marelli di Bologna e in alcune aziende del settore legno nel modenese, e ci sarebbero anche Comuni di altre regioni che offrono condizioni vantaggiose per il reinsediamento delle attività che in Emilia si sono fermate dopo il sisma. Una sorta di dumping sulle macerie del sisma che rischia di bloccare uno dei polmoni produttivi del paese. Per ora si tratta di «tre o quattro casi» e Cesare Pizzolla, segretario modenese della Fiom, preferisce non fare nomi. «Stiamo battendo a tappeto tutta la zona, bisogna vigilare su rischi di questo tipo».
Anche Gianni Mattioli della Cgil Emilia Romagna, che ieri ha diffuso la notizia della liberatoria fatta firmare ai dipendenti della Forme Physique nel modenese, parla di «casi sporadici per il momento». Tentativi di delocalizzazione sporadici che «danno però l’impressione che qualcuno ci voglia provare, dopo diciotto morti sul lavoro». I numeri della crisi che fornisce la Cgil sono impietosi: ad oggi sono ventimila i lavoratori «sospesi» nell’area colpita dal terremoto, 3500 le aziende ferme per lesioni ai capannoni, seicento quelle crollate definitivamente. Gli imprenditori hanno fretta di ripartire. Lo ha detto chiaramente il neopresidente di Confindustria Giorgio Squinzi, due giorni fa all’assemblea degli industriali di Modena: «Nessuno vuole prendere rischi ma dobbiamo ripartire al più presto». Parole ieri rettificate alla luce di quanto successo alla Forme Physique di Carpi: «Ho sempre detto che bisogna ripartire subito ma in sicurezza, è chiaro che è la sicurezza la prima considerazione».
Tempo e sicurezza, anche secondo il segretario della Fiom modenese Pizzolla i due fattori dovrebbero procedere di pari passo. Anche perché, spiega Pizzolla, «un conto è ragionare con un imprenditore locale, un conto è la multinazionale che se vuole può spostarsi con molta più facilità». Quello della delocalizzazione è un rischio più che tangibile in un territorio dove, dati della Fiom, è privo di agibilità tra l’80 e il 90 percento delle aziende. È la zona della bassa modenese, tra Finale Emilia, San Felice sul Panaro e Mirandola, dove hanno sede molte multinazionali del settore biomedicale e anche del settore meccanico. Secondo Bruno Papignani, segretario della Fiom bolognese, «il problema non è solo quello dell’agibilità, ma se i capannoni sono sicuri rispetto a scosse di pari entità di quelle registrate negli ultimi giorni». Ed è chiaro, chiosa Papignani, «che un’operazione di messa in sicurezza di questo tipo non può avvenire in due giorni».
Per scongiurare il rischio di fuga generalizzata delle imprese gli enti locali si stanno organizzando. Il Comune e la Provincia di Modena hanno avviato una prima ricognizione sulla disponibilità di strutture vuote che possano accogliere le imprese i cui impianti produttivi siano stati danneggiati dalle scosse: la lista degli edifici da oggi è disponibile on line. La Regione Emilia Romagna, dal canto suo, ha annunciato che per le aziende che delocalizzeranno la produzione cesseranno i contributi pubblici nazionali, regionali o locali.
I segretari di Cgil, Cisl e Uil hanno scritto una lettera unitaria al presidente del Consiglio e al ministro del welfare per chiedere l’ampliamento delle risorse per gli ammortizzatori sociali a favore delle zone dell’Emilia colpite dal terremoto. «Le risorse – chiedono Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti – devono essere adeguate e devono costituire un finanziamento dedicato, cioè aggiuntivo e distinto rispetto ai fondi disponibili per i cosiddetti ammortizzatori in deroga».
 
da “il manifesto”
 
La lettera inviata dlla Forme Physique di Carpi.
 

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