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Il ricatto dell’Ilva

Il blocco imposto dalla magistratura allo stabilimento Ilva di Taranto per l’avvelenamento di una intera comunità, mette in moto forze e ricatti potenti. La direzione e la proprietà dell’Ilva, attraverso il loro presidente Ferrante, giocano la carta del ricatto affermando che se non riaprono i reparti sequestrati verranno chiuse anche le fabbriche di Cornigliano e Novi Ligure.
Ovviamente sarebbero pesantissime le conseguenze di una simile decisione per l’economia non solo di Liguria e Piemonte, ma dell’intero paese. Ferrante è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui Rifiuti alla vigilia della sentenza del Riesame che dovrà decidere (molto probabilmente domani) se confermare o meno il sequestro degli impianti e gli arresti di otto dirigenti disposti dal Gip, Patrizia Todisco. Ferrante è stato molto esplicito quando si è soffermato sulle possibili conseguenze del provvedimento del Gip qualora questa linea venisse confermata: “Il provvedimento del Gip – ha detto – è molto chiaro e netto e dispone di chiudere l’impianto. Se dovesse essere mantenuto, chiudere i sei impianti incriminati vuol dire chiudere non solo tutto lo stabilimento di Taranto, ma anche Genova e Novi Ligure, che vivono sulla base di quanto produce Taranto”. “Davanti a un provvedimento della magistratura – ha aggiunto – possiamo solo aspettare, ma se verrà eseguito abbiamo solo da chiudere e basta: non abbiamo altra scelta”. In alternativa, l’Ilva batte cassa al governo, Ferrante infatti ha detto che dopo i 336 milioni per la bonifica dei terreni già sbloccati dal governo, “poi potrebbero esserci finanziamenti per nuove tecnologie che l’impresa volesse applicare sugli impianti”.
Dopo aver approfitatto  mani basse delle privatizzazioni dei primi anni Novanta (Italsider-Iri) e avvelenato per anni e anni una intera città e i lavoratori, la famiglia del padron Riva adesso vorrebbe anche i soldi dallo Stato per metterci una pezza.

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