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Sanità. Una agenda malthusiana per il governo Monti

Dal primo gennaio la situazione del servizio sanitario nel nostro paese peggiorerà ulteriormente. Entro fine anno è previsto un taglio complessivo pari a 7mila posti letto in meno in tutta Italia. “Ma quel dato è confrontato sul 2011 – spiega Massimo Cozza, segretario nazionale Fp-Cgil medici – Dal 2000 ad oggi sono 70mila i posti letto tagliati. Arriveremo a poco meno della metà di quelli che ci sono in Francia”. “La riduzione costante del fondo sanitario nazionale (3 miliardi), la demolizione del sistema capillare di diagnosi e cura rappresentato da una rete di piccoli ospedali sparsi sul territorio (216) e la contestuale chiusura di posti letto (13.591), non lasceranno soluzione alcuna al cittadino che non può permettersi un sistema alternativo a pagamento e per il quale il diritto alla cura non sarà più garantito” denuncia Sabino Venezia della Usb -Sanità.
In Italia la spesa sanitaria pubblica è pari a circa il 7,4% del Pil e rappresenta circa l’80% di quella complessiva la quale arriva a superare di poco il 9% del Pil. Sia la nostra spesa complessiva sia quella pubblica sono inferiori alla media dei 15 paesi originari dell’Unione europea. Particolarmente istruttivo è il confronto della spesa sanitaria procapite che nel nostro paese, tra quelli dell’Unione Europea dei 15, è superiore (di poco) solo a quella portoghese, è sostanzialmente uguale a quella greca ed è inferiore anche di moltissimo a quella degli altri paesi (quella tedesca è del 46% superiore alla nostra).
Sia nella previdenza che nella sanità l’agenda Monti vuole non aggiungere nuove prestazioni private a quelle pubbliche, ma sostituire le prime alle seconde che, a tal fine, vengono consistentemente indebolite e rese inadeguate alle necessità. In entrambi i casi l’effetto sarà che i bisogni di sicurezza previdenziale e sanitaria saranno soddisfatti utilizzando lo strumento di mercato che è indiscutibilmente più costoso, meno efficace e meno equo poiché discrimina in funzione del reddito l’accesso a servizi di natura primaria. “Naturalmente, qualcuno ci guadagnerà e per riuscirci cercherà di coinvolgere chi potrà essere utile a raggiungere quel risultato, ma il Paese nel suo insieme ci rimetterà” commenta l’economista Felice Roberto Pizzuti. L’OMS ha indicato quello italiano come il secondo miglior sistema sanitario al mondo. Ma sotto i colpi del governo Monti e della sua “agenda per il futuro” questo sistema sta crollando. 30 miliardi di euro infatti sono stati tagliati alla sanità negli ultimi cinque anni, 10 miliardi solo nell’ultimo anno da questo governo. E per il prossimo triennio sono previsti ulteriori storni per oltre 22 miliardi, se si sommano le misure già previste dal governo precedente a quelle decise dal governo attuale.

La scelta strategica del governo Monti e della sua agenda, non prevede stato sociale e diritto assistenziale. Nella sua profonda cultura malthusiana – la dottrina del “dovete morire” per risparmiare sui costi – chi cade deve rialzarsi da solo e poco importa che siano realtà come l’Ilva a produrre la morte di intere città. Il taglio lineare dei finanziamenti si abbatte sul sistema e non prevede lo spostamento delle risorse dal pubblico al privato, ma pratica il progressivo e totale definanziamento del sistema.
 Ad esempio la crisi delle strutture sanitarie ecclesiastiche, come il San Raffaele di Milano, l’IDI di Roma, e strutture non ecclesiastiche come la Maugeri, sono il segno di qualcosa che sta drammaticamente cambiando. Stiamo parlando di centri di potere transnazionali che hanno fatto dell’investimento in sanità il core business che ha consentito loro di movimentare ingenti capitali, di condizionare le politiche sanitarie regionali e quella statale e perché no, di concedersi un po’ di malaffare.
Decadono così anche i modelli dei processi di privatizzazione fin qui praticati che prevedono di tutto, compreso l’affidamento della gestione produttiva delle strutture sanitarie pubbliche a privati organizzati. Le funzioni pubbliche assistenziali vengono tagliate con il definanziamento, le prestazioni che tali funzioni producono ed erogano vengono semplicemente abbandonate sul mercato e se qualcuno le raccoglie bene altrimenti non è un problema dello Stato. 
I finanziamenti diretti, indiretti e trasversali alle strutture ecclesiastiche e del privato di qualità si riducono e la crisi è inevitabile.
Il sistema sanitario ha una complessità strutturale, organizzativa e una molteplicità di professioni che lo rendono di difficile gestione e soprattutto non consentono di ridurre la spesa oltre un limite di guardia che è stato, scientificamente, superato ormai da tempo. Tale complessità non consentirà mai al privato di sostituirsi al pubblico e lo stesso sistema delle assicurazioni nel nostro paese non è in grado di strutturare una simile operazione. Senza l’assistenza del finanziamento pubblico il privato non sopravvive, ma allora perché quel finanziamento non vien reinvestito nelle strutture pubbliche ?
Il tracollo di questi enti si riversa sui dipendenti licenziandoli, sottoponendoli ad ogni tipo di precarizzazione strutturale con contratti di solidarietà, riduzione del salario accessorio, ritardo o non  pagamento degli stipendi, con condizioni di lavoro estremamente disagevoli.

 

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