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Operai dell’Irisbus si incatenano ai cancelli della fabbrica


Fiat Industrial, proprietaria dell’Irisbus chiusa da due anni, ha chiuso il 2012 con un utile netto di 921 milioni, in crescita del 31% rispetto al 2011 (era 701 milioni). Gli azionisti di Fiat Industrial avranno un dividendo complessivo di 275 milioni di euro. E’ questa la proposta del consiglio di amministrazione che oggi ha approvato i conti 2012. L’ammontare complessivo dei dividendi per i propri azionisti è superiore all’anno scorso quando era pari a circa 240 milioni di euro.
Nello stesso giorno, da un’altra parte del paese, le “vittime” delle scelte che hanno consentito a Fiat Industrial di aumentare profitti e dividendi hanno dato vita ad una nuova, estrema protesta per boccare lo smantellamento della fabbrica, impedire che le linee di produzione vangano portate via, riavviare il lavoro perseguendo il rilevamento da parte di Finmeccanica. Per questi motivi si sono incatenati ai cancelli della fabbrica – la Irisbus del gruppo Fiat Industrial- chiusa ormai da quasi due anni. I lavoratori si oppongono allo smantellamento delle linee produttive della Irisbus di Valle Ufita, in provincia di Avellino, per molti anni stabilimento del gruppo Fiat in grado di produrre autobus. Due ex operai Irisbus, Alessandro Mongiello e Salvatore D’Amato, si sono incatenati al cancello per
richiamare l’attenzione di tutti – dalle forze politiche ai candidati alle elezioni sullo smantellamento della fabbrica.
Fonti sindacali, riportate dall’Ansa, rivelano che
Fiat Industrial “avrebbe siglato una joint venture per la costruzione di autobus in Sud Africa dove verrebbero trasferiti anche i macchinari di Valle Ufita, l’unico stabilimento italiano per la produzione di autobus”.
I lavoratori della Irisbus attualmente in cassa integrazione, circa quattrocento, lo saranno
fino a dicembre 2013 mentre altri 200 sono stati ricollocati in altre aziende del gruppo Fiat o finiti nel limbo degli “esodati”. Gli operai denunciano “l’inerzia del governo che nei numerosi incontri al ministero dello Sviluppo Economico” non avrebbe assunto comportamenti e soprattutto decisioni, a cominciare dal piano nazionale del trasporto pubblico, in grado di far recedere la Fiat dalla decisione di chiudere lo stabilimento avellinese.

Qui di seguito il comunicato del Comitato di Resistenza Operaia dei lavoratori Irisbus

«Questa mattina noi operai della Irisbus di Valle Ufita ci siamo incatenati ai cancelli dello stabilimento. E’ l’ultimo urlo di protesta per cercare di salvare il proprio lavoro, la propria dignità, la propria fabbrica. Mentre sui giornali alcuni sindacati fanno rimbalzare la palla cercandosi posizionamenti più consistenti, altri invece sorridono di fronte allo smantellamento della fabbrica, altri ancora continuano ad essere completamente assenti, ancora una volta tocca solo all’operaio alzare il suono della protesta.
Di fronte ad una campagna elettorale generica e senza nessun tipo di garanzie da parte di nessuno schieramento la Fiat continua a fare ciò che vuole in maniera incontrastata, incurante del dramma sociale che ha creato e sbeffeggiando a destra e a manca chi non ha il coraggio di contrapporsi concretamente alle sue scelte. C’e chi dice che la “linea” sulla quale si costruivano i pullman in Valle Ufita è un ferro vecchio e che non converrebbe nemmeno a Fiat di portarsela in Africa. Ebbene noi nei panni dei padroni non siamo mai voluti entrare, gli imprenditori (o prenditori) li lasciamo fare ad altri, noi vogliamo fare gli operai e guardiamo a ciò che conviene a noi, non ad altri. Non è la questione di linea nuova o ferri vecchi (tra l’altro meno di due anni fa la famosa linea è stata ristrutturata), la questione è che stanno smantellando tutto ciò che rendeva funzionale quella che tutti chiamavano la “nostra fabbrica”, ma che pochi hanno considerato e considerano veramente propria».
La questione è che Fiat dovrebbe pagare per lo scippo che ci ha fatto e dovrebbe almeno andare via senza portarsi niente, perché lì dentro ci sono i nostri soldi, ma soprattutto le nostre vite. Quella catena di montaggio rappresenta le nostre mani, lo studio dei nostri figli, la speranza di migliorare. Per questo Marchionne non può essere proprietario delle nostre esistenze, non può strapparle così, la fabbrica non gli appartiene come non gli apparteniamo noi. Ecco il perché dell’incatenamento di stamattina, perché abbiamo bisogno di ribellarci a quanto sta succedendo, il nostro è un grido d’allarme, l’ennesimo…speriamo che stavolta qualcuno lo ascolti».

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