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La precarietà sulla scena

Lavorando in giro per l’Italia, da una libreria all’altra, mi è capitato di incontrare persone davvero uniche. Figure umane in apparenza “anonime”: addetti ai lavori dell’editoria e tante altre persone di cui sapevo poco o niente. A Roma, ad esempio, chiacchierando con lo scrittore Gabriele Dadati ho conosciuto una donna addetto stampa di una casa editrice. Ce ne sono tanti in giro di professionisti come lei, è vero, ma lei aveva qualcosa in più. Sarà stata la grinta. Oppure il coraggio o forse solo quella pura determinazione femminile che manca a molti giovani che vivono in Italia. Parlava di libri e librerie con passione: ma non era più una libraia. Prendeva sempre appunti in agenda: ma non era una giornalista. Sorrideva tantissimo: anche quando arrivavano telefonate inaspettate sul suo cellulare. Parlo di Chiara Di Domenico, una precaria con un curriculum fuori dal comune. Una persona che ha tanta voglia di parlare chiaro e tondo proprio delle ragioni ( nonché delle personalità e dei personaggi) che non favoriscono un reale inserimento professionale dei tanti precari italiani.

Ho deciso, poco prima delle elezioni, di rivolgere a Chiara alcune domande. Poi, per mille motivi ( agenda persa, account e-mail inagibile e tante altre disavventure inspiegabili), quell’intervista è rimasta “nel cassetto”. Ora, dopo tutto il furore contro di lei ( per via di un intervento pubblico che parlava dei precari e dei “fortunati” che lavorano in Italia ) ho deciso di rileggere (e proporvi) l’intervista che lei mi ha concesso.

Mario Schiavone: Prima libraia, poi ufficio stampa per diverse case editrici nazionali. In mezzo a questo percorso una laurea e tanto sudore: In una sola parola, quanto ti è costato in termini di sacrificio personale arrivare dove sei?

Chiara Di Domenico: Mi è costato lavoro e fatica, mai sacrificio. Perché il lavoro editoriale l’ho sempre avuto in testa da quando facevo il liceo. E spendermi mi ha portato a fare quello che so e amo fare. Una precisazione importante su una delle tante dichiarazioni mie distorte dalla stampa: nel 2007 mandai un curriculum a Mondadori, ma poi sono successe così tante cose che mi hanno portato verso un’idea così libera e creativa del mio lavoro che davvero, in tutta serenità, ora non mi sentirei più tagliata per lavorare in una grande azienda, mi mancherebbe il fiato. Tant’è che, dopo l’esperienza a Nottetempo, ho preferito sposare la causa de L’orma, fondata da due traduttori italiani che invece di comprarsi una casa, con gli stessi soldi hanno aperto una casa editrice… L’esperienza editoriale più bella e partecipata che mi sia capitata fino ad ora. Pensa che è la prima volta dal 2006 che qualcuno rispetta pienamente il mio contratto a progetto senza contarmi le ore di lavoro e mi paga puntualmente… Ovviamente su ben due giornali è uscito che il mio era un sassolino che mi toglievo per non essere stata assunta da Mondadori. Ah, dimenticavo un’altra importante precisazione: il fatto che io abbia cambiato molte case editrici non dipende dal fatto che mi mandassero via perché inadatta, ma dal fatto che non venivano rispettate le condizioni pattuite su carta. Che ci devo fare, essere sfruttata mi irrita. È più forte di me, c’ho la mania dei diritti.

M.S. Il Pd ti invita a parlare pubblicamente di precariato e tu accetti. Nascono delle polemiche infinite e attacchi personali di ogni natura. Se potessi tornare indietro accetteresti quell’invito?

C.D.D. Ora e sempre. L’ho detto quel 7 febbraio. Io non sono solo “la precaria Di Domenico”. Resto prima di tutto la testimonianza parlante, fatta di carne, nome e cognome, di tanti colleghi che ogni giorno vivono il ricatto di dovere essere sfruttati solo per la paura di perdere un lavoro, sotto il ricatto che se denunciano dei contratti fuorilegge non lavoreranno più in editoria, obbligati a stare fissi in un luogo di lavoro a degli orari imposti verbalmente, quando sulla carta sono considerati “collaboratori” e non “autonomi”. Oggi per fortuna non vivo più quella situazione, ma molti dei miei colleghi sì. Basta leggere questi contratti e andarli a trovare al lavoro, per capire che c’è un problema che prima o poi andava denunciato. Sarei la donna più felice del mondo se altri colleghi uscissero allo scoperto ed entrassero nella Rete Redattori Precari. Io speravo che lo facesse un giornalista, un intellettuale più potente e protetto di me. Ma nessuno di questi mi pare l’abbia fatto prima con la convinzione giusta per farsi ascoltare e cambiare le cose. Io ci ho provato. Mi è stata data l’opportunità di parlare e l’ho fatto. E se mi sarà data l’opportunità ancora lo rifarò, a meno che finalmente le cose non cambino davvero. Magari.

M.S. Non facciamola tanto difficile e diciamola tutta: In Italia, dicono le statistiche, il lavoro si trova (se si trova) per lo più grazie al passaparola di amici e parenti. Perché secondo te in tanti si scandalizzano ad ammettere di avere un posto fisso, se quel posto – come sostengono alcuni addetti ai lavori dell’editoria – se lo meritano davvero?

C.D.D. Non lo so, andrebbe chiesto a loro… Questo è il paese in cui le cose si fanno ma non si dicono. É il paese in cui dietro il “politically correct” spesso si nasconde il divieto di dire la verità e denunciare i diritti di pochi a discapito di molti. Quel 7 febbraio ho chiesto a tutti quelli che hanno un privilegio di mettersi a servizio di chi non ce l’ha. Ripeto: sarebbe un paese migliore un paese in cui chi, per un motivo o per l’altro, ha più garanzie di altri sullo stesso posto di lavoro, invece di scandalizzarsi si battesse un po’ più concretamente per i diritti dei colleghi più svantaggiati. E poi basta con questa storia che i precari sono precari perché meno bravi. È una stupidaggine, e io mi rifiuto di sentirla ancora. A molti le possibilità non vengono date, punto e basta.

M.S. Cosa consiglieresti ad un giovane che oggi sogna di sbarcare il lunario lavorando nell’editoria?

C.D.D. Di aspettare tempi migliori, e se proprio non può farlo, di non svendere i suoi diritti e la sua dignità per un contratto che, ad oggi, non gli permetterà nemmeno di avere un figlio o di andare in pensione. Se ha meno di 29 anni, almeno pretenda un contratto di formazione invece di uno stage, e non firmi contratti che non rispettino le effettive condizioni di lavoro. Lo assicuro: a lavorare così per anni ci si ammala, si svende la propria vita per un’illusione. E abbiamo una vita sola. Il lavoro serve per vivere, non si può sacrificare una vita intera per un lavoro. Anche perché gli ultimi mesi confermano che chi viene sfruttato il più delle volte poi viene lasciato per strada, come sta succedendo con gli effetti della legge Fornero, che impone l’assunzione dopo un periodo di collaborazione. Non stanno assumendo quasi nessuno, e in molti casi si è costretti ad aprire una partita Iva e pagare di tasca propria le tasse (il disastro per chi, come succede in editoria, ha un solo committente). O peggio ad essere assunti con un contratto pieno di deroghe privato della maggior parte dei propri diritti, come si sta ipotizzando in Mondadori per i famosi “50” che hanno chiesto la consulenza di Pietro Ichino per riformulare il contratto post Fornero. Per inciso: secondo le fonti di Rete Redattori Precari, i lavoratori a rischio nell’intero gruppo Mondadori sono 300, non 50.

M.S. Prima ti invitano in tv (una rete nazionale che dice di essere aperta ad ogni confronto), poi la notizia delle dimissioni del Papa sconvolge quel palinsesto e tu non puoi più dire la tua sul precariato… Come diceva un mio amico contadino: ci ha messo la mano il diavolo (quindi la sfortuna ha fatto lo sgambetto) o ci hanno ripensato gli autori televisivi di quel programma?

C.D.D. Nessuno mi toglie dalla testa che se non avessi fatto quel nome nessuno avrebbe parlato dei precari in questa campagna elettorale, e che a gran parte dei giornalisti che mi ha chiamato interessasse solo portare la questione su quel nome. A proposito: mi hanno chiamato anche il lunedì successivo per la stessa trasmissione, salvo ritirare di nuovo l’invito questa volta per par condicio, perché ormai la vulgata vuole che io sia del PD. Considerando che io non sono del PD e che mentre ti scrivo l’unico che ha parlato alla pancia dell’Italia sta prendendo allo spoglio dei voti il 24% da solo…. E che qualcun altro in barba alla par condicio ha mandato a milioni di italiani una lettera in cui paventava di toglier loro l’Imu… Non ne posso proprio più di queste buone maniere della sinistra. Te la immagini tu la Resistenza fatta a colpi di bon ton? Intanto ieri si è suicidato un altro imprenditore a Ravenna, intanto Isabella Viola e Mariarca Terraciano sono morte nell’indifferenza, letteralmente, di lavoro. A me per il momento hanno tolto solo il diritto di parola. E questa tu la chiami pace?

Nonostante gli impegni lavorativi, uniti all’importante ruolo sociale e culturale di Presidente del Circolo dei Lettori Arci Fortebraccio, Chiara ha trovato il tempo di rispondere a ogni mia domanda: la ringrazio di cuore. Piccola precisazione personale: L’intervento di Chiara, l’hanno capito in pochi. Ecco perché in un suo successivo articolo, prima pubblicato dal giornale Il Manifesto, poi ripreso on line dalla rivista Nazione Indiana, la stessa Chiara ha precisato: “Ho fatto un nome che conosco, quello di Giulia Ichino, perché mi ha colpito leggere che è stata assunta da Mondadori negli stessi anni in cui in Italia si attuava la Legge Biagi. Mi ha colpito che fosse stata assunta a 23 anni quando molti di noi a quell’età hanno giusto la possibilità di uno stage non retribuito.”

Chiara ha avuto il coraggio di dire cosa pensa. Io, che ho lavorato per anni in condizioni vergognose presso note aziende legate alla distribuzione e vendita di libri, la mia testimonianza sul come vengono assunte certe persone non l’ho mai raccontata. Però voglio fare, per una volta, la mia dichiarazione coraggiosa qui e ora:

Caro giurista conosciuto che hai un’idea del mercato di lavoro, che da precario stento a capire, vorrei parlare con te. Da vicino. Capire perché per anni ho dovuto lavorare sempre in silenzio. Nessuna famiglia alle spalle, nessun cognome potente… e mille professioni occupate in condizioni indescrivibili: magazziniere sottopagato, commesso in nero, aiuto-commesso full-time con un contratto part-time e così via… Mentre oggi – nonostante i libri letti di notte per non morire ignorante, e l’impegno a voler condurre una vita onesta e dignitosa – mi ritrovo ancora precario e senza una dimensione professionale definita. Tu, caro giurista, parleresti con me (mi permetto di darti del tu perché potrei esserti figlio) che rispetto a te conto poco o nulla in tutto questo caos dei precari in Italia?


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