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Detective privati anti-operai. Nuova moda padrona

Mentalità e metodi padronali ottocenteschi, ma potenziati dalle moderne tecnologie. Certo, Marlowe e Spade non si sarebbero mai abbassati a fare i guardiani dei padroni. Anzi….

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Rocambolesco licenziamento di un delegato Cobas alla Magna, nel livornese. La parola passa al giudice del lavoro.
Nobilitati da certa letteratura, sembra che i detective privati italiani, ex carabinieri perlopiù, si dedichino invece soprattutto a capire se le mogli mettono le corna, se le fidanzate sono ancora vergini, e se – ancora più prosaicamente – il delegato sindacale possa essere incastrato dal padrone e buttato fuori. Un po’ come la Pinkerton negli States, al soldo dei padroni, ai tempi dei primi scioperi e della nascita del movimento operaio.

E’ capitato ancora a Guasticce, in provincia di Livorno mentre nella vicina Pisa altri investigatori privati sarebbero alle calcagna degli occupanti di una fabbrica dismessa per cercare motivi utili allo sfratto. Marlowe si rivolterebbe nella tomba.

La direzione della multinazionale Magna, il 5 agosto, ha licenziato il delegato Rsu Cobas dello stabilimento che produce serrature per auto.

Motivazione, secondo il comunicato dei Cobas: «nel corso di un’assenza per malattia, essersi recato, durante la fascia oraria consentita, presso il terreno di sua proprietà per trascorrere qualche ora di relax, dedicandosi a minimali cure del fondo».

Il tutto sarebbe emerso dai controlli svolti, per conto di Magna, da un'”occhio privato” che ha attribuito al lavoratore anche l’ingresso in una casa in costruzione all’interno di un cantiere edile. In realtà, la versione del lavoratore è diversa. Sarebbe semplicemente andato a trovare un conoscente in una casa, che però non era affatto in costruzione. E l’ospite è pronto a dichiarare quanto è davvero avvenuto.

Una relazione inventata di sana pianta, secondo i Cobas, perché doveva servire alla direzione per mettere in piedi una montatura finalizzata a licenziare il delegato.

«E pensare che quella malattia era stata scatenata dal fatto che il capo dell’assemblaggio aveva costretto per due settimane, tra il 6 e il 31 maggio, il lavoratore a operare su postazione fissa in linea di montaggio, attività incompatibile con la sua situazione sanitaria, come risultante da una prescrizione medica del 2004, in base alla quale aveva lavorato per nove anni su macchine individuali».

Due settimane d’inferno, che avevano massacrato l’apparato muscolo-scheletrico del lavoratore. Non soddisfatta di questo risultato, la direzione aveva messo alle calcagna del delegato sindacale, tutt’altro che assenteista, un agente investigativo già dal settimo giorno della sua assenza. E questo in spregio agli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori, che vietano controlli come quelli subiti dal lavoratore: 24 controlli su 45 giorni di assenza.

Il delegato sarebbe finito nel mirino della multinazionale fin da quando era entrato in RSU, nel febbraio 2008, e la direzione aveva rivelato di essere fortemente ostile alla sua presenza ai “tavoli” di trattativa. Logica tipica del pugno di ferro del “padrone delle ferriere”.

Spiegano ancora i Cobas locali – Sandro Giacomelli, Federico Giusti, Marcello Pantani – che il delegato ha chiesto per cinque anni il rispetto della rotazione nella gestione della cassa integrazione, prevista dalla legge e dall’accordo sindacale ma mai rispettata dalla direzione. E poi era fissato con la sicurezza ad esempio quando nel febbraio 2011 si inviavano all’assemblaggio pezzi con laccatura non ancora essiccata, che, esalando gas, provocavano malesseri anche gravi (con necessità di pronto soccorso ospedaliero, di uso di bombola d’ossigeno, di invio di intere squadre fuori dall’ambiente di lavoro, ecc.). Nella primavera di quest’anno, per evitare, in piena cassa integrazione, mesi di straordinario al sabato e alla domenica, il delegato proponeva una turnistica che richiamasse in fabbrica i cassa-integrati e scongiurasse la devastazione della salute dovuta alla fatica di un superlavoro ormai assorbente tutta la vita degli operai.

La multinazionale ha tentato in tutti i modi di umilare il lavoratore eletto dai suoi colleghi. Dovette intervenire una lettera del coordinamento Cobas al dirigente in questione per controbattere quella strategia.

Così si è giunti al licenziamento del 5 agosto, ampiamente annunciato non solo da cinque anni e mezzo che per il delegato Cobas sono stati una sorta di calvario sindacale, ma anche dai fuochi d’artificio di ben 4 contestazioni disciplinari (scaricate addosso, tra il 2 e il 31 maggio di quest’anno, dall’accoppiata capo dell’assemblaggio/capo del personale al proprio nemico n. 1), tutte risoltesi in una bolla di sapone per la loro inconsistenza.

«Finché il 22 luglio è arrivato il botto finale, la contestazione cui è seguito il licenziamento del 5 agosto, basata sulla barbarie dell’investigazione di un’agenzia, pagata per fare decisamente un ottimo servizio al committente, pagata per andare illegalmente a ficcare il naso nella vita privata di un cittadino, la cui unica colpa era stata quella di essersi ammalato a causa delle mansioni di lavoro assegnategli illegittimamente.

L’1 agosto il delegato in via di licenziamento e un coordinatore Cobas, che lo accompagnava per un incontro con l’azienda in cui chiarire le questioni sollevate da quelle contestazioni, non sono stati nemmeno ricevuti nell’ufficio del capo del personale, ma sono stati bloccati ai cancelli e fatti “accomodare” nel gabbiotto della vigilanza, raggiunti dopo una decina di minuti d’attesa dal “capo della disciplina” per un’audizione, che avrebbe rappresentato l’ultimo atto della persecuzione di un lavoratore, il quale, durante tutti quegli anni, si era battuto perché venissero rispettati i diritti suoi e dei suoi compagni e delle sue compagne di lavoro, tutti i diritti, compresi quelli al rispetto e alla dignità e al non chinare la testa di fronte al regime da caserma che imperversa in Magna».

Ultimo dettaglio del sadismo aziendale, il 5 agosto, il capo del personale ha telefonato al delegato per invitarlo ad andare a ritirare dalle sue stesse mani il verdetto che lo cacciava fuori dalla fabbrica.

Adesso la parola passerà al giudice del lavoro.

da popoff.globalist

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