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Salario minimo. un rimedio contro l’arbitrio padronale

Il “salario minimo” non ha mai avuto buona stampa, nella sinistra italiana. E si può spiegare facilmente il perché: una volta, quando il potere contrattuale organizzato dei lavoratori era alto, si poteva sempre strappare qualcosa di più di un “minimo”. Lo stesso contratto nazionale di lavoro, del resto, provvedeva a fissare questo minimo; non per legge, appunto, ma su base contrattuale. Poi si provvedeva su base aziendale a trattare qualcosa in più.

Ma ora? Da molti anni a questa parte i contratti nazionali stabiliscono aumenti salariali al di sotto del tasso di inflazione (è stato così per tutto il ventennio della “concertazione”). Per il pubblico impiego, da cinque anni a questa parte, c’è il blocco della contrattazione, quello dei salari e anche quello del turnover. I precari sono costretti ad accettare qualsiasi retribuzione venga loro proposta.

Il potere contrattuale del lavoro è ridotto a poca roba, per pochissime categorie, per un numero ridotto di lavoratori. Tutto il resto è delegato al più selvaggio dei “mercati”, quello delle braccia. E in tempi di crisi il valore della forza lavoro si riduce sotto il livello della sopravvivenza (se accetti 600 euro al mese, lo sai già che non ci puoi vivere).

Il “salario minimo” fissato per legge, in questa situazione, diventa perciò un modo di invertire la tendenza. O almeno di provarci, permetendo di coagulare intorno a un obiettivo “politico” (una legge deve farla un governo, non un singolo padrone) lavoratori a tempo pieno, part time, precari, disoccupati, a partita Iva, di grandi aziende o di subappalti, di imprese individuali e a chiamata, ecc, che altrimenti non avrebbero mai alcun potere contrattuale. Un istituto “debole” come il salario minimo diventa quindi in condizioni di debolezza sociale quasi un punto su cui far leva per rafforzarsi.

Nei paesi dell’Unione Europea questo istituto esiste in diversi paesi, non in tutti. E nulla come questo “limite” monetario illumina le diversità abissali esistenti tra paesi che conviono orami sotto gli stessi trattati e la stessa moneta. Dove il prezzo del lavoro è l’unica voce economica a fare la differenza.

Queste schede elaborate addirittura da IlSole24Ore – organo di Confindustria . chiariscono ancora meglio la situazione.

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Il salario minimo in Europa/Lussemburgo: 1.874 euro

Con 1.874 euro, il “salaire social minimum” per i lavoratori del Lussemburgo è il più alto d’Europa. I professionisti contrattualizzati nel minuscolo e ricchissimo Granducato, poco più di 500mila abitanti e Pil pro capite sopra i 59mila euro l’anno, sono inseriti in fasce di garanzia a seconda di età ed esperienze pregresse. I maggiorenni alla prima assunzione e/o senza impieghi certificabili percepiscono l’assegno pieno, al 100%. Per gli under 18 si scende al 75% (16 anni d’età) o all’80% (17 anni d’età). Tra gli over 18, i lavoratori più qualificati godono in automatico di un bonus del 20% sulla retribuzione. Nel 2012, la forza lavoro del paese era fissata a 373mila unità.

 

 

Paesi Bassi: 1.478 euro

Virando poco più a nord, la media è quasi identica. I Paesi Bassi tutelano i lavoratori con un salario minimo di 1.478 euro: circa 8,5 euro all’ora, garantiti a tutti i dipendenti dai 23 anni in su. La copertura non esclude apprendisti e stagiaire minorenni: ai 15 anni scatta il primo assegno, pari a 422,3 euro. Va detto che la fascia “minima”, pari a nove volte tanto quella garantita in Bulgaria, è applicata a meno del 3% della forza lavoro totale. La maggioranza è coperta dai contratti collettivi siglati tra datori di lavoro e sindacati, con medie retributive ben più consistenti.

Belgio: 1.502 euro

Il salario minimo imposto da Bruxelles è pari 1.502 euro per tutti i lavoratori dai 21 anni in su. Con una o più esperienze in curriculum, l’asticella si alza: 40 euro in più dopo i primi sei mesi, 60 allo scadere del primo anno. Il tetto minimo orario viaggia su una media di circa 9,20 euro, ma di fatto può salire fino a 18 euro nelle professioni più qualificate. Dal 2003 ad oggi, il “minimum wage” è cresciuto di più di 305 euro.

Irlanda: 1.462 euro

Introdotto nel 2000 con il Minimum Wage Nactional Act, il salario minimo irlandese ammonta a 1.462 euro mensili. La soglia oraria è stabilita, come nel grosso delle regolamentazioni Ue, da età e mesi e/o anni di esperienza registrati in curriculum. Per gli adulti “collaudati” sul luogo di lavoro non si scende sotto gli 8,65 euro. Si cala a 7.79 euro per gli over 19 al secondo anno di impiego, e a 6,62 euro per i neomaggiorenni al primo contratto. La Labour Court di Dublino sanziona i datori di lavoro che ritoccano al ribasso le fasce salariali minime, a meno che non si documenti una crisi aziendale e l’impossibilità di effettuare qualsiasi versamento. In quel caso scatta una deroga, comunque inferiore ai 12 mesi.

Francia: 1.430 euro

Dal 1950, lo “smic” (salario minimo interprofessionale di crescita) regola la retribuzione-base dei lavoratori francesi. Tavolo fisso di scontro in campagna elettorale, il super contratto è pari oggi a 1.430 euro. La soglia viene rivalutata in automatico se l’aumento dei prezzi al consumo ha sfondato il tetto del 2%. Tassi ridotti si applicano a neoassunti e apprendisti sotto i 18 anni, con sforbiciate del 10% per i giovanissimi tra 17 e 18 anni e del 20% per gli under 17.

Bulgaria: 159 euro

Con “ben” 310 lev, quasi 159 euro al mese, la Bulgaria applica il salario minimo più basso d’Europa. Per capirsi: un professionista di Sofia, contrattualizzata secondo il tetto minimo nazionale, guadagna 12 volte in meno di un collega del Lussemburgo. O di Pechino: nella capitale cinese, la fascia minima di retribuzione è fissata all’equivalente di 1,80 euro l’ora contro gli 0,86 euro previsti in Bulgaria.

Romania: 179 euro

Sulla sponda nord del confine, in Romania, si sale ad appena 179 euro al mese. La media nazionale dei salari galleggia tra i 345 euro mensili guadagnati da più del 50% della popolazione e una ristrettissima fascia di professionisti (il 5%) con stipendi sopra i 1000 euro. Ma si può scendere sotto il secondo “minimum wage” più basso dell’Unione Europea? A quanto pare, sì: i dati del Romanian Statistical Institute hanno rivelato che il 5% dei lavoratori incassano anche meno dei circa 800 leu garantiti dallo schema retributivo di Bucarest.

Lettonia e Lituania: 285 e 290 euro

Dopo anni di negoziazioni il governo di Riga ha accettato di alzare la soglia dei salari minimi del 12, 5%, a 316 euro. Ma per ora la retribuzione minima della Lettonia non supera i 285 euro: meno della metà di quello previsto in Grecia, 684 euro. In Lituania, il salto è minimo: 290 euro.

Repubblica Ceca: 308 euro

Anche in Repubblica Ceca, discussioni in corso su un rialzo del salario minimo garantiti. I sindacati vorrebbero arrotondare quello attuale, dai 308 euro (circa 8mila corone) ai 349 euro (9mila corone). A Praga e dintorni, la retribuzione media viaggia su meno di 950 euro al mese.

 

 

 

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