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La crisi della Cgil e il metodo Putin

Non deve essere amichevole, il clima che si respira all’interno della Cgil. Questo è l’intervento di Giorgio Cremaschi, primo firmatario del documento alternativo “Il sindacato è un’altra cosa”, al Direttivo Nazionale della confederazione. oggi 26 febbraio.

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Vorrei sapere se questo direttivo conosce il metodo Putin. Cioè il sistema di falsificazione del voto che le opposizioni denunciano in Russia. Dove le opposizioni sono presenti il voto si svolge in modo più o meno regolare. Dove queste sono assenti i votanti, tutti per Putin naturalmente, aumentano a dismisura e in questo modo si crea una maggioranza numerica garantita.

Ora son sicuro che questo metodo sarà ben compreso anche in questo direttivo, Visto che è il metodo che ha guidato il percorso dei congressi di base. La meticolosa applicazione di questo metodo ha clamorosamente falsato i risultati del voto che sono assolutamente non veri. Non so ancora il risultato anche perché la commissione di garanzia ha scandalosamente secretato i dati anche per i suoi membri, ma mi sento di affermare che una quota enorme dei voti finali raccolti in questo congresso sono falsi. Sfido a smentire questa mia affermazione non con gli insulti scandalizzati e ipocriti o le minacce, ma con una verifica capillare del voto, così come è stata chiesta, e sempre negata salvo pochissimi casi, nelle commissioni territoriali.

Guarda caso in due strutture dove c è stata una presenza concordata e diffusa dei due documenti, la Valle d’Aosta e Trieste la partecipazione al voto è tra il 7 e 8 % degli iscritti. Non vorrei mettere in difficoltà chi dirige queste strutture, citandolo positivamente. Ora si può dire che in quelle regioni di confine ci siano più problemi per noi che altrove, però nelle tante assemblee dove i nostri fantastici volontari, unico aspetto davvero positivo di questo congresso, hanno potuto partecipare si è verificato lo stesso fenomeno, una partecipazione molto bassa.

Come spiegare che nella stessa categoria, nella stessa provincia la partecipazione al voto è diversissima a secondo che noi siamo presenti alle assemblee e controlliamo lo scrutinio oppure no? Come spiegare che non c’è alcun rapporto tra l’iniziativa sindacale e la partecipazione al voto? Cioè realtà dove più è tradizionale e viva la forza organizzata che votano in meno di quelle realtà i cui dirigenti spesso in questo direttivo ci ricordano tutte le difficoltà. Eppure queste realtà deboli votano di più di quelle forti, per entusiasmo che cresce anche perché noi non ci siamo? No perché i voti sono falsi, e in molti posti questo congresso del dialogo è stato ridotto al dialogo coi verbali.

Capisco allora perché si è tanto diffusa la sopraffazione nei nostri confronti, la negazione delle agibilità, l’impedimento a partecipare o lo spostamento continuo delle assemblee, la gestione delle commissioni di garanzia per ratificare i comportamenti degli apparati anche i più assurdi. Perché non si voleva che si generalizzassero Aosta e Trieste.

Però la domanda di fondo è un’altra: perché lo avete fatto? Noi eravamo una piccola minoranza, gli emendatari francamente non si mostravano particolarmente agguerriti, perché questa montagna di voti falsi? Ripeto non esagerate con l’ipocrisia voi sapete tutti che qui sto dicendo la verità.

Io do una sola spiegazione che si è scelto di nascondere la crisi profonda della CGIL. Se alla fine avessimo registrato i votanti reali, meno di 900000 dico con stima ottimista, invece dei molti di più che si annunciano, noi oggi saremmo qui a dover discutere della crisi della CGIL.

Invece la crisi si usa per giustificare la firma ad accordi terribili come quello del 10 gennaio, ma non si discute mai in quanto tale. E questo per una pura scelta di autoconservazione burocratica dei gruppi dirigenti. Eppure nelle assemblee che si sono svolte avrete ben sentito quanta rabbia e sfiducia ci sono tra gli iscritti, quanto dissenso anche nei tanti che poi hanno votato per il documento 1.

Ecco il punto: avete voluto cancellare l’enorme crisi di consenso che il gruppo dirigente e la politica della CGIL hanno tra gli iscritti.

Dopo il 10 gennaio il congresso è poi entrato in una condizione assurda. La forma era la stessa e continuava come se niente fosse, anche se politicamente l’accordo di maggioranza era esploso. Sarebbe stato giusto che si prendesse atto che tutto era cambiato e invece i congressi di base sono andati avanti per inerzia, accentuando solo il principio di fedeltà negli apparati.

Ma questa auto conservazione burocratica porta ulteriore degenerazione nella organizzazione e ne aggrava la crisi. Le fedeltà di apparato distrugge il merito e le competenze e abbruttisce l’organizzazione .

E a proposito di abbrutimento, la gravità dei fatti di Milano è stata sotto gli occhi di tutto il paese. Militanti e dirigenti della CGIL hanno subito una aggressione squadrista di cui risponderanno in primo luogo gli autori sia di fronte alla magistratura interna che a quella ordinaria.

Ma ci sono responsabilità politiche. A che scopo si organizzano servizi d’ordine in assemblee interne e perché è diventato così difficile, anche fisicamente, parlare nelle nostre riunioni se non si è d’accordo con il segretario generale? Per quanto riguarda i servizi d’ordine bisogna disciplinarne uso e funzioni e chi ne fa parte deve avere la targhetta di riconoscimento personale.

Ma per il resto c’è una sola soluzione: chiamare alle sue responsabilità chi dirige l’organizzazione.

È chiaro che in questo clima e con questi metodi di sopraffazione del dissenso e di alterazione del consenso, la consultazione che viene proposta sul testo unico sulla rappresentanza non ha alcun credibilità ed accettabilità democratica.

Ribadisco che per quanto mi riguarda l’accordo del 10 gennaio è incostituzionale e viola lo statuto della CGIL in punti fondamentali. Per questo mi sono rivolto al Collegio statutario che credo si esprimerà il 3 marzo e mi riservo ulteriori iniziative.

In ogni caso però respingo la consultazione che viene proposta perché priva di qualsiasi garanzia.

Come uscire da questa crisi drammatica e dalla sua gestione che l’aggrava? Naturalmente ci sono molte cose da fare, ma ci vuole un atto che dia il segno di avvio di una storia diversa.

La compagna Susanna Camusso assume inevitabilmente la prima responsabilità di questa situazione negativa. Voglio dire che non ho con lei nulla di personale, anzi non ho mai apprezzato certi linguaggi e toni nei suoi confronti, anche da parte di chi poi formalmente la sostiene. Ma ora devo dire che la sua non riconferma assieme a quella del suo gruppo dirigente è condizione necessaria anche se non sufficiente per affrontare la crisi della CGIL. Credo che dovrebbe essere lei stessa a prendere atto della impraticabilità del campo come è avvenuto in un altro momento della CGIL e rassegnare le dimissioni. Se questo non avverrà come mi pare di capire, resterà la nostra sfiducia di minoranza, ma la involuzione e la crisi della CGIL si aggraverann.

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