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L’ Usb denuncia Squinzi, Bonanni, Camusso e Angeletti

Il Testo Unico del 10 gennaio prevede frode alla legge, discriminazioni sindacali e illeciti nei confronti della legge e della Costituzione

Con ricorso che verrà depositato domani, giovedì 20 marzo, al Tribunale Civile di Roma, l’ USB  ha convenuto in giudizio Giorgio Squinzi, Susanna Camusso, Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni.

L’USB chiede che la magistratura dichiari la nullità di gran parte dell’accordo del 10 gennaio 2014, denominato “Testo Unico sulla Rappresentanza”, con cui Confindustria con Cgil Cisl e Uil, a loro parere, hanno integralmente regolato la materia della democrazia sindacale, stabilendo sia chi ha diritto a trattare i contratti collettivi sia chi ha diritto all’agibilità sindacale all’interno dell’azienda. 

Fra i motivi del ricorso, la frode alla legge (in particolare dell’art. 19 della Legge 300/70) perché l’accordo è sostenuto da motivi illeciti (la realizzazione di un accordo ad excludendum dei possibili competitori sindacali) e perché contrario a norme imperative sia di rango ordinario (gli art. 19 e 15 dello Statuto dei Lavoratori e tutta la disciplina codicistica dell’arbitrato), sia di rango costituzionale (art. 2,3, 21, 24, 39, 40, 111 Cost.).

L’USB fa inoltre riferimento alla sentenza della Corte costituzionale (la 231 del 2013), antecedente all’accordo oggetto del ricorso, che ha sancito i principi guida della democrazia sindacale, affermando come l’esclusione dalla titolarità dei diritti sindacali di “un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo…viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 della Costituzione.” Ed in particolare: 

– dall’art. 3 è vietata ogni “disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati”;

– dall’art. 2 è vietato ogni “privilegio” o “discriminazione” sulla base “non già del rapporto con i lavoratori ….. bensì del rapporto con l’azienda”;

– dall’art. 39 è vietato ogni pattuizione tesa a “condiziona(re)  il beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con l’impresa” traducendosi ciò “ per un verso, in una forma impropria di sanzione del dissenso, che innegabilmente incide, condizionandola, sulla libertà del sindacato in ordine alla scelta delle forme di tutela ritenute più appropriate per i suoi rappresentati; mentre, per l’altro verso, sconta il rischio di raggiungere un punto di equilibrio attraverso un illegittimo accordo ad excludendum””. 

Ma il testo unico sulla rappresentanza prevede che: 

– al di fuori di Cgil, Cisl e Uil nessun altro sindacato – qualunque sia o sarà il suo livello di rappresentatività nazionale (foss’anche pari al 99%)- avrà titolarità alla contrattazione nazionale;

– al di fuori di Cgil, Cisl e Uil nessun altro sindacato – qualunque sia o sarà il suo livello di rappresentatività aziendale (foss’anche pari al 99%)- avrà diritto alla agibilità sindacale in azienda ai sensi dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori;

– tutti i futuri contratti collettivi – sia nazionali che aziendali – dovranno da ora in poi “prevenire e sanzionare eventuali azioni di contrasto di ogni natura, finalizzate a comprometterne …. l’esigibilità e l’efficacia” con la previsione di un obbligo di “determinare le conseguenze sanzionatorie per gli eventuali comportamenti attivi od omissivi che impediscano l’esigibilità dei contratti collettivi”, vietando così ogni iniziativa sindacale di dissenso a partire dallo sciopero;

– le clausole transitorie e finali impongono infine un arbitrato obbligatorio proprio per reprimere “eventuali comportamenti non conformi agli accordi”, prevedendosi un meccanismo per la composizione del collegio arbitrale che dovrà irrogare le sanzioni tale per cui  su 9 arbitri ben 8 saranno nominati da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e 1 solo dal sindacato dissenziente.  

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