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Grande Distribuzione. Lavoratori “in franchising”, come le merci. Il caso della Billa

La nota catena di supermercati Billa del gruppo Rawe ha inviato ai propri dipendenti una comunicazione interna, datata 30 giugno 2014, con la quale li informa che il gruppo “ha deciso di abbandonare il mercato italiano per quanto riguarda il segmento supermercati”. Billa comunica inoltre che il 30 giugno 2014 (stesso giorno della comunicazione interna) il gruppo REWE ha raggiunto l’accordo con il gruppo francese Carrefour per la cessione di 53 punti vendita e che “sono in corso trattative con altri potenziali partner per la cessione dei restanti 83 negozi.

Siamo alle solite, poco meno di quattromila lavoratori all’oscuro di questa operazione commerciale che si è concretizzata nel silenzio assordante di Cgil Cisl e Uil (crediamo abbastanza difficile che ne fossero all’oscuro).

Insomma, dal nord al sud del paese la Grande Distribuzione ha sposato il modello Franchising, scelta organizzativa che apporta benefici alle multinazionali del commercio in termini di profitto, ma che impone prezzi salatissimi ai lavoratori in termini di diritti e di salario. La Grande Distribuzione non può certo delocalizzare, come fanno ormai la maggior parte delle aziende di produzione, ma ha escogitato un modo per “delocalizzare” i diritti ed il salario dei lavoratori alle condizioni di massimo ribasso offerte dal mercato dei dettaglianti privati, indebolendo contestualmente la forza contrattuale dei già stremati e precarizzati occupati del settore. Un rivisitato MODELLO MARCHIONNE.

Il modello di sviluppo della Grande Distribuzione è tarato sui nuovi standard del mercato del lavoro,  queste ultime scelte e le tante vertenze aperte dall’USB sul salario, sull’abbattimento della precarietà, sulla possibilità di passare dal part-time al tempo pieno, sul contenimento della discrezionalità delle direzioni, sulla contrattazione dei tempi e dei turni, e, non ultimo, sulla libertà di parola e di critica e sulla democrazia sindacale, ma anche quelle dell’indotto, come ad esempio i facchini Granarolo che lottano per un salario onesto e un trattamento dignitoso, stanno lì a testimoniarlo.

Noi respingiamo al mittente questa logica e ci prepariamo a rilanciare le mobilitazioni per il salario e l’occupazione sicuri che i lavoratori, se vengono messi in condizione di scegliersi il proprio futuro, non si rassegnano alla politica della riduzione del danno ma hanno le qualità, l’energia e la determinazione per affrontare un percorso di lotta tesa alla salvaguardia dei diritti e del salario ed in grado di rigettare al mittente i piani industriali fatti sulla carne di chi lavora.

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