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La “paghetta” di Marchionne

Ammazzare i lavoratori paga. Almeno l’amministratore delegato. La pubblicazione dei dettagli dello “stipendio” assegnato da Marchionne Sergio a Sergio Marchionne, su IlSole24Ore – chiarisce meglio di mille discorsi cosa voglia dire “manager del capitale”. Marchionne, ricordiamo, non è il “padrone” della Fiat (com’è noto è la famiglia Agnelli, ormai una mandria 1.500 persone che campano a rimorchio dei guadagni aziendali), ma solo il suo amministratore pro tempore.

In questa veste ha avuto indubbiamente successo nel prendere un’azienda italiana ormai in punto di morte, fonderla con la Chrysler ormai chiusa e – grazie ai prestiti decisi dall’amministrazione Obama e al taglio dei salari americani (il 50% in meno, rispetto alla vecchia gestione), allo spostamento della sede legale e di quella fiscale in paesi dove le tasse sono assai più leggere, alla distruzione della residua forza operaia in Italia col “modello Pomigliano” – ricominciare a fare profitti.

Inutile fare paragoni tra la sua “paghetta” e quella di un dipendente italiano. Il Sole, organo di Confindustria, associazione imprenditoriale peraltro abbandonata dalla Fiat per non rispettare i contratti nazionali di lavoro, si diverte a punzecchiare l’a.d. dei due mondi mettendo a confronto i criteri di assegnazione dei “bonus” in Fca con quelli dei diretti cncorrenti nel settore automobilistico. Anche da questo particolarissimo punto di vista, il Marchionne non di fa per nulla una buona figura. Un “mago della finanza”, non un industriale manifatturiero…

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La «busta paga» di Marchionne: nel 2014 compensi per 31 milioni di euro

di Andrea Malan

Il bilancio 2014 di Fiat Chrysler NV, il primo dopo lo spostamento della sede legale in Olanda, riporta i dati fondamentali già resi noti alla fine di gennaio: fatturato consolidato a 96 miliardi di euro (da 86,6 nel 2013), utile operativo a 3,22 miliardi dai 3 dell’anno precedente, utile netto in calo a 632 milioni da 1,951 miliardi del 2013.

Per Marchionne 31 milioni nel 2014
Il bilancio fornisce una serie di dettagli sulla remunerazione del top management, e in particolare del Ceo Sergio Marchionne; introduce inoltre una maggiore trasparenza sui criteri della remunerazione variabile futura. Per quanto riguarda il primo punto, Marchionne ha incassato l’anno scorso complessivamente oltre 31 milioni di euro: 6,6 milioni di stipendio e un compenso straordinario di 24,7 milioni di euro per «specifiche transazioni ritenute eccezionali in termini di importanza strategica e di effetto sui risultati aziendali». In particolare, sono menzionate «la visione e la guida di Marchionne nel processo di formazione di Fca che ha creato enorme valore per l’azienda, i suoi azionisti, i suoi dipendenti e i suoi stakeholders». Al pagamento cash si aggiungono uno stock grant da 1,62 milioni di azioni (che vale ai prezzi attuali circa 23 milioni e che dovrà essere approvato in assemblea) e un pagamento ulteriore di 12 milioni di euro che Marchionne incasserà al momento di lasciare l’azienda.

Compensi di lungo periodo legati agli utili netti
A parte i compensi straordinari, che sono stati concessi a Marchionne nel 2014 come già in passato per semplice decisione del cda, e a parte la quota fissa del compenso, il bilancio fornisce (per la prima volta, nel caso di Fiat) una serie di informazioni sui parametri di remunerazione variabile del Ceo, i cui incentivi comprendono una parte di breve periodo e una parte di lungo periodo.
Nel breve periodo il suo piano è legato a tre obiettivi con pesi uguali: utile di gestione, utile netto e indebitamento netto industriale (i valori obiettivo non vengono indicati a bilancio).
Il piano di lungo periodo adottato a fine ottobre si riferisce alla performance su 5 anni (2014-2018), ovvero la durata del piano strategico presentato nel maggio scorso. L’obiettivo è legare i compensi alla creazione di valore per gli azionisti, attraverso due parametri, pesati in misura uguale: utile netto e ritorno totale relativo per gli azionisti. Per quanto riguarda la maturazione degli incentivi, un terzo verrà misurato dopo tre anni, un terzo dopo quattro e l’ultimo terzo a fine piano; la prima scadenza è quindi quella del bilancio 2016.

La “gara” con i risultati dei concorrenti.
Per quanto riguarda la metà dell’incentivo legato all’utile netto, il pagamento scatterà a partire dall’80% del target (per esempio, da 800 milioni di utile se il target fosse 1 miliardo) e raggiunge il massimo al 100%; per quanto riguarda il ritorno totale relativo per gli azionisti (che comprende dividendi e rivalutazione del titolo), per ottenere il compenso minimo il CEO dovrà garantire che il ritorno si piazzi come minimo al 7° posto su 11 concorrenti presi in considerazione; tra questi ci sono tutti i maggiori concorrenti del settore auto. Questa parte della remunerazione di Marchionne dovrà essere approvata dall’assemblea dei soci di metà aprile.

Le rivali misurano anche vendite di auto e qualità
I criteri di remunerazione del top manager sono coerenti con le caratteristiche di Marchionne, ovvero di un mago della finanza, ma diversi da quelli di altre aziende concorrenti. Prendiamo per esempio la Volkswagen. La relazione di bilancio 2013 spiega che gli incentivi di lungo periodo del consiglio d’amministrazione – guidato da Martin Winterkorn – sono correlati a una serie di parametri differenziati, legati anche alla salute e alla solidità complessiva dell’azienda: soddisfazione dei consumatori, soddisfazione dei dipendenti, crescita delle vendite e quota di mercato, margine di profitto sulle vendite, dividendo. Il margine sulle vendite è comunque quello fondamentale: se è al di sotto dell’1,5%, nessun incentivo viene pagato. Per quanto riguarda la Ford, i compensi variabili dei top manager sono correlati a ricavi del settore auto (20%), margine operativo dell’auto (30%), utili di Ford Credit (10%), cash flow operativo dell’auto (20%), parametri di qualità (20%); il piano azioni di lungo periodo è legato al 25% al ritorno totale per gli azionisti, il 75% anche a ricavi, margine operativo e cash flow del settore auto.
Il fatto di legare la remunerazione del top management esclusivamente all’utile netto la allinea agli interessi dei soci ma non necessariamente alla capacità dell’azienda di generare utili nel lungo periodo. Una parte significativa dei profitti netti può infatti arrivare da fattori una tantum estranei alla gestione, come dimostra il caso della stessa Fiat: gli 1,55 miliardi di euro incassati da General Motors nel 2005 o il miliardo di euro di plusvalenza sulla quota Chrysler ottenuta nel 2009 a costo zero.

 

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