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Uffici pubblici al tempo dell’austerità

Facciamo molte analisi su come i governi della Troika – e Renzi è certamente il peggiore fin qui sperimentato – stiano distruggendo il servizio pubblico, le condizioni di lavoro dei relativi dipendenti,  l’efficienza e la vivibilità per gli utenti.

Questa lettera “dal vivo” restituisce però tutto quelche andiamo scrivendo con la forza di un colpo di maglio. Questa è la faccia concreta della demolizione portata avanti dalle politich di “austerità”.

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Ore 10,19 ufficio del catasto, Roma. Agenzia delle Entrate.

Via Ciamarra, mattina infuocata da un sole che è già estivo, fuori ci saranno trenta gradi. Senza sconti per nessuno, considerato che a Roma Sud c’è sempre quell’afa che viene dall’asfalto e assenza totale o quasi di alberi.

Mi trovo lì per una pratica, ogni romano sa che significa.

Ogni giorno, mi raccontano, c’è fila, pare che ognuno abbia delle cose da fare, fra professionisti e cittadini comuni.

L’edificio è surreale, tutta la zona attorno pare nata in funzione sua.

Eppure mi metto lì, pazientemente in attesa del mio turno. Il personale è chiaramente affaticato, così noi, utenti.

I numeretti fanno il loro corso. Si inizia a bofonchiare, il caldo si fa pesante.

Qualcuno di noi si chiede come mai non ci sia l’aria condizionata. Il personale continua nel suo lavoro e ci dice che è così da settimane. Anche un anno fa la stessa storia.

Io comincio a sentirmi male, manca l’aria e non c’è nemmeno ventilazione maturale.

Lì dentro è una serra, si soffoca.

Saranno passati venti minuti abbondanti quando irrompe una coppia di impiegati, evidentemente. Noi si attende, in stato di colpo di calore avanzato. Io sto per chiamare un medico. Anzi lì con loro pare ci sia un medico, lo capirò dopo.

Siamo in un ufficio pubblico e in Estate c’è la temperatura di Nairobi.

A nessuno interessa, il destino di chi lì ci lavora tutti i giorni dev’essere un dettaglio. Le loro facce dicono di una vita fatta di svegli all’alba e lavoro ripetitivo, soprattutto di invisibilità, quando ci si appresta trafelati per la nostra benedetta visura.

La coppia si avvicina a loro con fare spocchioso.

C’è un momento di stop della fila, ma sarebbe inutile protestare. Meglio risparmiare le forze, la spossatezza, sono prossima allo svenimento, chiede pazienza e concentrazione.

Una dei due si avvicina a un impiegato, uno dalla faccia simpatica, gli chiede se l’aria funziona, lui come non potrebbe essere altrimenti strabuzza gli occhi e se potesse farebbe vedere la differenza fra il calore della rabbia e di quell’afa mortale. Lei ribatte avvicinando la mano all’apparecchio quasi polveroso per l’inutilizzo da mesi. Lui avvicina la mano e ripete la versione di prima. No, non funziona, vorrà mica scherzare? Lei, guarda un pochino ne esce, ribatte con aria surreale.

Adesso devi dire a tutti che qui l’aria funziona. Capito?

L’uomo a fatica trattiene il livore, la giusta rabbia ma poco importa, il lavoratore anche se a contratto sta così, pare debba subire ogni angheria.

Anche il “medico” annota qualcosa sul suo taccuino, non si cura di noi e dei lavoratori che hanno l’aria tutt’altro che sana, qui ci sono persone non giovani, chi in attesa da un’oretta almeno.

A nessuno interessa nulla, in un’Estate rovente come quella romana.

Chi lavora non ha diritto nemmeno all’aria condizionata, o peggio è costretto a dover dire una pirandelliana bugia.

O diritto ai propri diritti. Di persona.

Eppoi dicono la Cina o il Bangladesh.

Io ora svengo.

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