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Dopo la vertenza Coopservice ”carcere e 90.000 euro di sanzione a chi sciopera”

In sei tra studenti e ricercatori condannati a due mesi, commutati in 15.000 euro a testa di pena pecuniaria, con l’accusa di aver partecipato alla mobilitazione. L’assemblea che sostenne quella lotta: “Così bastonano chi rivendica diritti”.

Se c’è una cosa che nelle grigie stanze della Procura e della Questura sembra non mancare è la fantasia. Perversa, ma pur sempre fantasia. L’ultima sparata però esce perfino dai confini abituali del grottesco: sei studenti e ricercatori di Hobo hanno ricevuto un decreto penale che condanna senza processo ognuno a due mesi di carcere, commutati in 15.000 euro a testa (!) di sanzione pecuniaria, 90.000 euro in tutto. Ma a rendere la cosa decisamente più grave sono il contesto e il motivo di questo aberrante dispositivo giuridico: i sei studenti e ricercatori sono infatti accusati di aver partecipato il 15 e 16 aprile 2014 allo sciopero dei lavoratori dell’Università di Bologna appaltati a Coopservice “attaccando sui portoni manifesti e striscioni e apponendo del nastro di colore bianco e rosso” (!); il tutto “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e con altre 30 persone” (!). Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate, se la cosa non fosse molto seria. A essere attaccate sono infatti le mobilitazioni di lavoratori pagati 2,80 euro all’ora, che con il sindacato di base Cub portarono per mesi avanti una coraggiosa lotta con scioperi e picchetti. Al loro fianco si schierarono fin dall’inizio studenti e precari (tra cui i 6 colpiti dal decreto penale), costituendo insieme l’Assemblea studenti-lavoratori-precari. Lo hanno fatto non per semplice solidarietà, ma perché sapevano che quella lotta riguardava la dignità, il presente e il futuro di tutte e tutti. Quel 15 e 16 aprile e in altre giornate di sciopero e mobilitazione presero posizione anche vari docenti, che decisero di fare delle lezioni davanti ai picchetti e a quel “nastro di colore bianco e rosso”. Dopo mesi di mobilitazione si ottennero dei risultati, parziali ma significativi: dei miglioramenti salariali per i lavoratori pagati 2,80 euro all’ora, l’impossibilità per Coopservice e Unibo di estendere il contratto vergogna agli altri lavoratori.

Vorremmo che fosse chiara una cosa: questo non è un attacco a un collettivo o a un sindacato di base, qui c’è in ballo ben altro. Quello che ci viene detto è che da oggi in avanti i lavoratori devono essere disponibili a qualsiasi forma di sfruttamento, perfino a lavorare gratis o per pochi euro all’ora, perché se alzano la testa e rivendicano dei diritti verranno bastonati. Se non accetti 2,80 euro all’ora, ti diamo 15.000 euro di sanzione! Condannare penalmente chi partecipa a un picchetto significa negare il diritto di sciopero. Anzi, da oggi lo sciopero è equiparato ad attività criminale. È qui, nella Bologna del ministro di Legacoop Poletti, che la vera natura del Jobs Act trova i suoi primi terreni di applicazione concreta.

Quanto al provvedimento penale utilizzato, poi, come nel caso delle misure cautelari viene ancora una volta rovesciato quello che dovrebbe essere il normale procedimento giuridico: prima c’è la sentenza, poi eventualmente il processo. La presunzione di innocenza diventa presunzione di colpevolezza: anche gli ultimi barlumi del cosiddetto stato di diritto, per chi ci ha mai creduto, vengono cancellati. Le casse dello Stato vengono così rimpinguate cancellando le ultime vestigia dei diritti dei lavoratori, anche la repressione diventa un business e un modo per far fronte ai tagli alle amministrazioni pubbliche. E ancora una volta tentano di far pagare la crisi a chi quotidianamente la subisce e cerca di opporvisi.

Ma Procura e Questura sono dei semplici strumenti nelle mani del potere politico: i primi responsabili sono infatti le controparti di quella vertenza, cioè Coopservice e Università di Bologna, che non si limitano a sfruttare i propri lavoratori, ma fanno intervenire polizia e denunce per chi alza la testa. Ecco il bel curriculum con cui il rettore uscente Dionigi si è conquistato la fiducia di Renzi e i servigi con cui si guadagna la poltrona a Palazzo d’Accursio. E i candidati rettore cosa dicono di questo, dopo aver dedicato tanto tempo della loro campagna elettorale a prendere le distanze dalla fallimentare amministrazione Dionigi e a parlare delle indegne condizioni dei lavoratori dell’Unibo?

Il messaggio lanciato dal sistema di potere di questa città è molto chiaro: chiunque tocca la sacra famiglia Pd o una delle sue articolazioni (Comune, Legacoop, Università e compagnia cantando) deve essere duramente punito. Il nostro messaggio è ancora più chiaro: la vostra punizione dimostra che sentite la paura della fragilità. Dimostra che questa è la strada giusta per chiunque voglia vivere in una città libera. Chi pensa che la questione non lo riguardi, oppure crede di poter preservare i propri spazietti voltandosi dall’altra parte, ha fatto decisamente male i suoi conti. Qua dal ventre della bestia diciamo che di questo mostro o ci si libera collettivamente, oppure spazi non ce ne saranno per nessuno. Chi abbassa la testa oggi, vi dovrà rinunciare domani.

Ci volete divisi, ci troverete uniti! Se toccano uno, toccano tutti!

Convochiamo per domani mercoledì 17 giugno alle ore 12 una conferenza stampa in Rettorato (via Zamboni 33).

Assemblea studenti-lavoratori-precari

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