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La scuola non va in vacanza e il sindacato prepara l’Autunno

A differenza degli anni passati (ma le vacanze degli insegnanti sono sempre state meno lunghe di quanto comunemente si creda) questo non è un momento di vacanza e relax per molti docenti, coinvolti nel piano di assunzioni legato al ddl sulla “buona scuola”.

Abbiamo incontrato presso la sede USB di Palermo Luigi del Prete, dirigente di questa organizzazione, e tra i nomi più conosciuti in tutta Italia, soprattutto tra i precari della scuola, per le mobilitazioni degli ultimi anni. Se l’approvazione della riforma è di meno di un mese fa, e dunque ancora brucia tanto che non è tempo ancora di bilanci, viste anche le iniziative in programma di rilancio e di contrasto alla ripresa della scuola, certamente qualche indicazione può venire fuori da mesi intensi come gli ultimi, sul futuro della scuola italiana ma anche delle lotte al suo interno e dei soggetti che dovrebbero farsene protagonisti.

 

Caro Luigi, decisamente il sindacato non va in vacanza. Ci puoi spiegare in che cosa consiste il lavoro in questa fase?

Non andiamo in vacanza perché i lavoratori precari della scuola non potranno andare in vacanza questa estate, costretti a confrontarsi con le conseguenze nefaste del piano assunzionale che ha mostrato il suo vero volto ricattatorio ed umiliante per loro. Attraverso un sistema farraginoso di immissioni in ruolo diviso in fasi e mediante una graduatoria nazionale, il governo Renzi impone una mobilità coatta su tutto il territorio nazionale, obbligando i precari a inserire tutte le province italiane ed attendere un’immissione in ruolo dal sistema informatico del Miur. Migliaia di precari del sud vivranno questa esperienza. La Questione meridionale che in molti insegnamo a scuola è ancora una volta una realtà che i lavoratori del sud Italia vivono sulla propria pelle!

 

Quindi in tanti continuano a venire presso le sedi sindacali o a telefonare?

Certamente. Il bisogno di sindacato è tanto, dal piano consulenziale o di orientamento complessivo nella selva oscura delle normative, fino all’orientamento politico vero e proprio. Quindi facciamo sportello e proviamo a dare ai lavoratori che ci vengono a cercare delle informazioni pratiche che diventano subito punto di vista generale. Se un precario delle GAE mi viene a chiedere se un idoneo all’ultimo concorso sceglie prima di lui il proprio posto, la mia risposta affermativa è già un giudizio sulla voluta frammentazione all’interno della categoria che si basa su aree di microprivilegio: la vicenda degli idonei, gli unici ad avere esplicitamente esultato all’approvazione del DDL, ne è uno degli esempi più scandalosi. Ma potrei citare decine di questioni specifiche per le quali la consulenza diventa subito lavoro di orientamento generale.

 

Come leggi l’ondata di mobilitazioni che dai primi di aprile fino alla fine della scuola ha attraversato l’istituzione scolastica e la società, facendo muovere centinaia di migliaia di lavoratori? Non si può dire che gli insegnanti non abbiano espresso un certo livello di conflittualità…

La lettura da fare su questi mesi è fondamentale per programmare il lavoro futuro. Vanno quindi colte le sfaccettature ed evitate le interpretazioni grossolane. I poli estremi, che naturalmente critico, sono due: uno di chi dice che si è trattato di un moto unitario, di tutta la scuola e di tutte le forze sindacali; l’altro di chi dice che si è trattato solo di una grande illusione e che quel movimento era destinato a perdere (cosa, quest’ultima, che certo è avvenuta). Si tratta di due determinismi speculari. Io comincierei con il dire che era dal concorsone di Berlinguer che il mondo della scuola non dimostrava una così alta mobilitazione contro le politiche governative in tema di istruzione. Più di seicentomila lavoratori hanno aderito agli scioperi del 24 Aprile e del 5 Maggio, agli scioperi Invalsi del mese di Maggio e allo sciopero degli scrutini di giugno. Un grande movimento di massa che ha avuto nello sciopero di tutto il sindacalismo alternativo (meno i Cobas, ma ci torneremo) del 24 Aprile un momento essenziale, con la partecipazione di migliaia di lavoratori che hanno espresso il loro dissenso contro il Ddl la “Buona scuola” e costretto i sempre morbidi sindacati collaborazionisti ad indire lo sciopero del 5 Maggio. Qui da sindacalista faccio una riflessione sul rapporto tra spinte “dal basso” e organizzazioni. È certo che la spinta era davvero tanta; è anche vero che ha avuto bisogno della copertura unitaria di queste organizzazioni per manifestarsi nelle forme che abbiamo visto. Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda in questi mesi sono stati in parte travolti dalla forza di un grande movimento di massa, costretti ad indire uno sciopero degli scrutini che non appartiene alla storia dei sindacati confederali (copiando peraltro le forme di sciopero orario che negli anni scorsi ci criticavano o per le quali ci dichiaravano fuori legge!). Ma hanno anche avuto una capacità (per noi del tutto immeritata, illusoria e destinata a svanire) di riaccreditarsi. Essi hanno fatto di tutto per spegnere i moti di protesta, nella migliore tradizione di “pompieraggio” dei movimenti di rottura, ma sono arrivati (insieme a tutto il mondo della scuola, sia chiaro) ad un passo dal ritiro del DDL. Capisci che le indicazioni che vengono sono contraddittorie e che bisogna fare i conti (in positivo questa volta) con una consapevolezza e una coscienza, tra i lavoratori, non presente neanche nell’era Gelmini,. Vedremo che cosa prevarrà nel momento in cui porteremo a settembre la lotta nelle scuole con un campagna di boicottaggio della “cattiva” scuola Renziana.

C’è qualcosa di nuovo nella dinamica consueta tra governi e organizzazioni sindacali?

Il governo Renzi dimostra che il sindacalismo collaborazionista non serve più. Per anni Cgil, Cisl, Uil hanno svenduto i lavoratori della scuola firmando contratti a perdere, riducendo il loro potere d’acquisto, depotenziandone la capacità di scontro con la legge antisciopero, individualizzando le loro posizioni e alimentando divisioni all’interno del corpo tra docenti di ruolo e precari, insegnanti e personale ata, precari del sud e precari del nord, vincitori di concorso ed abilitati SISS.

Questi stessi sindacati che hanno accettato in silenzio l’autonomia scolastica (pensata in area CGIL, non dimentichiamolo mai!), la legge sulla parità scolastica che ha trasformato le scuole private in scuole pubbliche, che hanno permesso al primo governo Prodi di legare l’assunzione a tempo indeterminato nella scuola a specifici capitoli della finanziaria e all’autorizzazione preventiva da parte del Mef (Ministero dell’economia e della finanza), legittimando lo sfruttamento di una “massa di lavoratori di riserva” precaria, isolata e ricattabile, facendo della scuola il fulcro dell’economia neoliberista che mira ad abbassare salari e a smantellare lo stato sociale, questi stessi sindacati che hanno permesso la distruzione della scuola pubblica statale non sono più utili e vengono scaricati da padroni e governi.

Eppure siamo andati vicini a bloccare la buona scuola. Cosa è successo alla fine? Si è manifestato un fatto che come USB, credo da soli, denunciamo da anni e mettiamo al centro delle nostre analisi. Il centro decisionale non è più qui, ma in Europa. Questa è una riforma europeista per un paese pigs del mediterraneo. Il PD, il partito più europeista d’Italia, l’ha portata avanti con una forzatura gigantesca, eseguendo gli ordini a spese del rapporto con la propria base sociale e di un minimo di consenso. Senza questo passaggio non si spiega la mobilitazione della scuola. Quando indichiamo la dimensione europea molti pensano ad un nemico lontano. La vicenda della Grecia ci dice invece che nella gabbia dell’Unione Europea non c’è nessuno spazio progressivo per le classi popolari e quelle medie delle periferie produttive. Tutta la parte sull’apprendistato della “buona scuola” è l’adeguamento del sistema formativo italiano al ruolo produttivo che compete al nostro paese nella divisione internazionale del lavoro: forza lavoro dequalificata, sottopagata. E poi ci vengono a dire che ai ragazzi mancano le motivazioni! Fanno bene – è un paradosso il mio – a non averne, se le prospettive di vita sono queste! Io credo, come USB, che dovremmo aprire con i ragazzi uno spazio di riflessione su cosa significhi formare al tempo della crisi. Per i docenti si apre uno spazio di lavoro critico e di emancipazione pressocchè illimitato, purchè lo vogliano cogliere. Noi già dall’anno prossimo proveremo a portare questa discussione nella scuola italiana.

 

Questo discorso sull’identità in fieri di Usb scuola è molto interessante. Facciamo però un piccolo passo indietro. Come si è posto il sindacato Usb in tutti questi mesi?

Qui dobbiamo essere onesti ma anche consapevoli delle prospettive. Il sindacato Usb nella scuola ha giocato e gioca la sua partita. Il 24 Aprile è frutto di tempismo e di capacità di analisi. La valanga successiva (il 5 maggio) non nega quanto di buono quella data ha offerto. Il punto, come sempre, sta nel non fermarsi lì. Noi abbiamo un problema di dimensioni, di peso specifico, per i quali ci stiamo attrezzando. Come nel suo progetto generale, anche nella scuola USB vuole costruire un sindacato alternativo, conflittuale, non minoritario ma di massa. Se la lettura che noi diamo della crisi sociale è corretta, grosse fette di lavoratori che prima godevano di un livello di vita buono oggi tenderanno a radicalizzare le proprie posizioni. Quindi non dobbiamo andare alla ricerca solo delle nicchie di politicizzati con alta coscienza di classe, ma dobbiamo offrire una prospettiva generale a tutti. Non ci mettiamo a citare Gramsci in ogni assemblea ma abbiamo bene in mente il suo pensiero sui temi dell’istruzione e della formazione del blocco storico. Sembra la scoperta dell’acqua calda ma se ci pensi nessuno si sta muovendo oggi in questa prospettiva.

 

È un obiettivo molto ambizioso…

Sì certo, è molto ambizioso, ma anche l’obiettivo minimo. Al di sotto c’è la testimonianza o il settarismo.

Anche l’ANIEF (sindacato celebre nel mondo della scuola per la valanga di ricorsi che ha portato avanti negli ultimi anni) sta tentando qualcosa di simile, cioè creare uno spazio alternativo ai collaborazionisti?

Ci sta provando ma su posizioni diverse dalle nostre. Non facciamo confusione. Non creiamo fronti immaginari. Con ANIEF possono esserci convergenze tattiche. Possiamo apprendere da loro l’importanza del livello legale nel lavoro sindacale nella scuola. Oppure apprezzare la capillarità e l’efficacia della loro comunicazione. Consapevoli però di chi sono e di che cosa rappresentano. Con la chiarezza dei nostri obiettivi e della nostra identità. Anief e molti altri credono che ci si debba adeguare agli standard europei. Non hanno capito che l’Unione Europea ci fa a pezzi. Il lavoro non è di accettazione supina degli apparati ideologici di stato (l’espressione è di Althusser e per la scuola continua ad essere vera), ma di lavoro nelle contraddizioni che continuamente si aprono. Per certi versi lo si può capire quel guardare a Germania, Francia o altri paesi, se pensiamo alle strutture e agli strumenti che certe scuole europee hanno e soprattutto alle retribuzioni dei colleghi d’oltralpe.

Bisogna però stare attenti a due cose. La standardizzazione dei saperi, il ricorso sempre più frequente alla valutazione tramite test, il lavorare sempre e solo per competenze costituiscono aspetti centrali della formazione per come viene tracciata da Bologna a Lisbona, le due tappe storiche della costruzione dello spazio europeo come “economia della conoscenza”.

La seconda questione riguarda la necessità di capire che è proprio il quadro europeo a determinare la posizione periferica del nostro paese (come gli altri pigs, Spagna, Portogallo e Grecia), lo sconvolgimento del nostro assetto istituzionale, i vincoli di bilancio, e dunque le condizioni lavorative nuove che ci vengono imposte: aziendalizzazione, dirigismo, licenziabilità, limitazione forte della libertà di insegnamento.

Usb deve costruire lo strumento sindacale, politico e teorico che tenga insieme rivendicazioni di studenti, popolazione giovanile abbandonata alla disoccupazione di massa (l’aumento dell’apprendistato va letto in parallelo al Jobs act), condizione lavorativa dei lavoratori della scuola, ma anche ruolo di una scuola che nella crisi deve ritrovare il suo spazio di formazione critica. L’esatto contrario della cattiva scuola di Renzi. Senza questa saldatura si rischia di rimanere al livello di una rivendicazione parziale e senza molto respiro.

Era il 2011 quando con la lettera di Trichet e Draghi si intimava al governo italiano di intervenire nella scuola pubblica con la valutazione, ecc., a testimoniare che le politiche nazionali, ormai commissariate dalla Troika, cedendo sovranità nazionale non hanno più bisogno della stampella sindacale. I lavoratori in questi mesi l’hanno capito, così come hanno compreso i limiti del “codismo” della parte storica del sindacalismo di base, che si ritiene sempre la mosca cocchiera di chissà quale movimento unitario. L’USB deve, in questa fase di passaggio nella scuola, in cui lo strapotere dei presidi-padroni aumenterà i momenti di conflitto, rappresentare un’alternativa credibile. In alcune realtà siamo già in grado di farlo. In altre ci stiamo attrezzando. Non basta urlare a quattro venti la propria opposizione alle politiche della troika, come USB dobbiamo dimostrare di saper rispondere ai bisogni dei lavoratori che da quelle politiche sono colpiti. Bisogna saper conciliare una grande conoscenza normativa che sappia rispondere alle continue vertenze che si apriranno nelle scuole, con una formazione continua dei quadri sindacali e una grande capacità di innestare la scuola nell’ambito delle lotte contro il grande attacco al pubblico impiego, proprio ora che la scuola diventa apripista per mobilità coatta e dirigenza padronale. Questa processo rende fondamentale, per l’Unione Sindacale di Base, la costruzione di un sindacato indipendente dal punto di vista politico e culturale, capace di rispondere alla sfida di un mondo del lavoro “destrutturato” nella sua forma passata di “lavoro a tempo indeterminato” e avviato definitivamente verso la forma del “lavoro precario e precarizzante” (Albi territoriali e POF triennale questo sono). Attraverso un processo di autocritica di quello che è stato il sindacalismo di base nei suoi aspetti positivi ma anche nella sua forte “ideologizzazione” negativa (c’è bisogno di precisare cosa intendo?), partendo naturalmente dalla consapevolezza delle difficoltà a cui si va incontro in virtù della mancanza di diritti sindacali e della costante demonizzazione da parte della cultura anti-conflittuale dominante nella politica contemporanea, bisogna ricostruire un sindacato che nella confederalità connetta le lotte dei lavoratori del settore pubblico e privato. Il conflitto è nel nostro DNA, i sindacati concertativi non servono più ma sapranno trasformarsi sempre più in strutture che offrono servizi e che in certe fasi faranno opposizione a medio-bassa intensità, i Cobas non riescono ad uscire dal regno della testimonianza della loro storia, chiusi in un elemento patriarcale che ne ha limitato la capacità di elaborazione e ringiovanimento. La storia COBAS, beninteso, è stata una storia importante, capace in certe realtà di rappresentare alti livelli di conflitto, ma se ci avesse convinto quella ipotesi non sarebbe nata USB scuola. Come si può oggi parlare di movimento unitario e non ragionare di costruire l’organizzazione unitaria conflittuale??? USB, se ancora molto piccolo nella scuola, ha dalla sua un progetto ambizioso di costruzione di un sindacato di massa, che cercando di superare la delega sindacale che ha atrofizzato i lavoratori della scuola, cerchi di ricomporre il corpo dei lavoratori della scuola. Quale occasione migliore per dimostrarlo?

 

Perchè oggi un lavoratore della scuola dovrebbe iscriversi a Usb?

Cerco di dare un quadro e di rispondere sinteticamente, perchè la nostra crescita dipende soprattutto dall’esempio pratico che sapremo dare, non dalle analisi sia pur necessarie che qui e altrove faremo. L’articolazione dei lavoratori della scuola in “micro-categorie”: docenti (a tempo indeterminato e determinato), personale Ata (amministrativi, collaboratori scolastici, ecc. ecc.), DSGA (Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi) e Dirigenti Scolastici, nonchè i diversi gradi di istruzione che partendo dalla scuola d’Infanzia, passando attraverso la scuola primaria e la scuola secondaria di I° Grado, termina con la scuola Secondaria di II° grado (non dimenticando il settore della formazione), ha determinato negli anni una “specializzazione sindacale”, rendendo complessa e difficile la costruzione di un grande sindacato di categoria unitario

La legge anti-sciopero ha tolto ai lavoratori, con l’avallo dei sindacati concertativi, l’unico strumento non controllabile di dissenso e lotta reale, capace di spostare i rapporti di forza da parte del lavoratore ed aumentare la capacità di pressione. Gli accordi del ’92 e ’93 voluti da Cgil, Cisl,e Uil, che hanno sancito l’avvio del periodo della concertazione e la riconduzione delle rivendicazioni salariali entro l’inflazione programmata, hanno avviato la fase di trasformazione antropologica del lavoratore che, impossibilitato a rivendicare il necessario per la propria esistenza, si è visto costretto a vendere il proprio lavoro a prezzi sempre più bassi.

La LEGGE BASSANINI sull’autonomia scolastica (15 marzo 1997, n. 59 Art. 21) ha trasformato il sistema pubblico di istruzione in un sistema “locale” di formazione, frazionando le scuole e i suoi lavoratori (limitando la capacità di risposta unitaria), legittimando lo strapotere dei “dirigenti scolastici” che hanno ridotto la scuola a utenze, obiettivi di bilancio, contenimento di spese, ingresso dei privati e progettificio.

La legge di BERLINGUER sulla parità scolastica (Legge 10 Marzo 2000, n. 62) ha stravolto il senso della dicitura “scuola pubblica” allargando il sistema nazionale di istruzione alle scuole paritarie private e degli enti locali, dando un colpo definitivo all’idea di una scuola laica di stato come pensato dai padri costituenti.

L’Art.13 del decreto legge Bersani sulle liberalizzazioni ha consentito alle fondazioni private (CONFINDUSTRIA) di entrare nelle scuole attraverso finanziamenti cospicui, l’acquisto di parti di scuola, avviando il percorso di privatizzazione del sistema di istruzione pubblica.

Il Pacchetto Treu, (legge 196/97) e la Legge Biagi (legge 30/2003) hanno non sono legalizzato forme di lavoro fino ad allora considerate illegali (lavoro nero), ma hanno fatto della precarietà la “nuova forma del lavoro e dell’esistenza”.

Un percorso legislativo che parte dagli anni Novanta ha visto il centro-sinistra ed i vari governi Prodi e D’Alema snaturare il “lavoro cognitivo”, trasformandolo in una reiterazione di mansioni e di compiti di stampo taylorista. La scuola dell’autonomia ha determinato una proliferazione di ruoli: dirigente scolastico, vicario, funzione strumentale, capo di dipartimento, coordinatore di classe, segretario di classe, coordinatore per aree disciplinari, ecc. ecc; ruoli per lo più inutili che non hanno snellito il sistema scuola ma lo hanno burocratizzato in maniera insostenibile, con lo scopo chiaro di snaturare l’idea di un luogo di lavoro sociale e collettivo, trasformandolo in semplice attività lavorativa spersonalizzante. Parallelamente a questa segmentazione delle funzioni, che ha aperto la porta anche a forme di arrivismo tra colleghi per occupare i luoghi “chiave” e a forme di misero “potere di condizionamento”, si è proceduto con l’introduzione nella scuola dei concetti di “produttività” e “premio di produzione”, con l’obiettivo di estendere i metodi aziendali di valutazione della “performance individuale” ad un contesto di produttività immateriale e sociale quale quello dell’istruzione pubblica.

In due parole, perchè questi processi così devastanti dovrebbero condurre a USB masse di lavoratori? Perchè nella scuola è alta la percezione che così non si può continuare, che bisogna ripensare lo spazio della formazione senza attardarsi in pur necessarie difese dell’esistente. Questo innesto di pensiero progettuale crediamo di averlo iniziato e su questa strada intendiamo continuare. E poi perchè siamo una struttura giovane (ma non giovanilista!), l’età media dei nostri delegati è sui 35/40 anni, abbiamo intercettato negli ultimi anni parti importanti del movimento dei precari (quasi tutte le nostre strutture territoriali vengono dai movimenti anti-Gelmini) e ad altri di loro diciamo oggi di impegnarsi nella costruzione di un soggetto che nella scuola deve portare una ventata (prima o poi una tempesta!) di aria nuova.

Su questo stiamo lavorando e lavoreremo ad agosto, per definire progetti e piani di iniziative che ci vedano pronti già dal primo collegio docenti del 1 Settembre…

 

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