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La Ue senza diritti: giustificati i licenziamenti per l’uso di mail aziendali

Se qualcuno credeva ancora che l’Unione Europea fosse – o potesse essere – il grimaldello con cui introdurre in questo paese una cultura superiore dei diritti, beh, ora è bene che la faccia finita con le illusioni.

Almeno per i lavoratori – ovvero tutti noi, nel momento in cui smettiamo i panni di automobilisti e consumatori per cominciare una giornata di fatica a beneficio di un padrone – non esistono diritti che possano sopravvivere all’attraversamento della porta infernale del posto di lavoro. Quel che fuori di lì è “sacro”, “i nostri valori”, ecc, al di là di quella porta è un fastidio che va eliminato.

La notizia è secca: la Corte Europea dei diritti umani (un caposaldo centrale della retorica liberale) ha sentenziato che i datori di lavoro possono controllare l’uso che i dipendenti fanno della mail aziendale e sono anche autorizzati a licenziarli in caso di utilizzo a fini personali.

E la privacy? Non esiste, quando lavori. Solo a casa tua, e forse neanche lì (le varie polizie possono pretendere dai provider tutte le informazioni che chiedono su di te). La stessa sentenza ha infatti ha stabilito che una società privata non viola il diritto alla privacy di un dipendente quando controlla le sue comunicazioni sugli account aziendali e che il licenziamento è giustificato se li utilizza a fini privati.

Chiaro il punto? Una società privata in cerca di un profitto ha tutti i diritti, i privati cittadini no.

Come sempre, la Corte si pronuncia su casi singoli, arrivati sul suo tavolo in seguito a ricorsi individuali o di gruppo. In questo caso sul ricorso di un cittadino romeno, secondo cui i tribunali nazionali avrebbero dovuto dichiarare nullo il suo licenziamento perché dovuto a una violazione del suo diritto alla privacy. Il licenziamento era avvenuto quando l’azienda per cui lavorava ha scoperto che usava la messaggeria Yahoo intestata all’azienda per corrispondere con la fidanzata e il fratello, infrangendo le regole interne della società.

Niente di sovversivo, insomma. Solo una velocizzazione della comunicazione quotidiana, una banalità che non ha prodotto alcun danno né poteva farlo.

I giudici di Strasburgo, però, hanno stabilito che la giustizia romena ha raggiunto un buon equilibrio tra il diritto alla privacy del dipendente e gli interessi del suo datore di lavoro. In particolare ritengono che “non è irragionevole che un datore di lavoro voglia verificare che i dipendenti portino a termine i propri incarichi durante l’orario di lavoro”. In pratica hanno riconosciuto che il dipndente ha sottratto una parte del tempo che avrebbe dovuto dedicare al lavoro per comunicare con i suoi cari. Concetto interessante, perché magari si potrebbe proporre una causa eguale e contraria, per stabilire se le aziende – tutte e in genere – paghino oppure no un salario corrispondente (in termini di ricchezza creata) al tempo di lavoro.

Naturalmente non verrebbe accolta, lo sappiamo da soli. Questa Unione Europea possiede un dna “aziendale”. C’è scritto in ogni trattato…

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