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Oerlikon, un perché per l’odio di classe

Sui mass media si è dedicata una lacrima di scandalo per la vicenda della Oerlikon di Rivoli in provincia di Torino. In quello stabilimento di 800 dipendenti, un operaio con 37 anni di anzianità è stato licenziato al rientro da una lunga malattia e dal trapianto del fegato. Anche a chi tutti i giorni esalta le necessità di adeguarsi in ogni modo alla globalizzazione capitalistica, questo licenziamento è sembrato esagerato. Ipocriti.

Da tempo la santa trinità del profitto, competitività flessibilità produttività, ha imposto in tutti i luoghi e i rapporti di lavoro la soppressione delle esigenze fondamentali e della dignità della vita umana. Se nei campi della Puglia si può morire di fatica, nelle catene di montaggio si è costretti a rinunciare anche ai più elementari bisogni fisiologici; meglio farsela addosso che perdere un pezzo. Si va a lavorare ammalati, soprattutto chi ha un contratto precario, altrimenti addio alla conferma. E la gravidanza è la peggiore delle malattie, il più grave degli assenteismi, meglio rinunciarvi. Però, se ci si infortuna perché il padrone risparmia sulla sicurezza, allora invece bisogna mettersi in malattia, per far risparmiare all'azienda sull'Inail. Sono inciampato e caduto, dice l'operaio; come la moglie che non riesce a denunciare le violenze del marito.

Si deve lavorare come soldati del profitto e il sacrificio del corpo, come quello dell'anima, fanno parte della guerra di mercato. Gli inabili vanno scartati e il caso della Oerlinkon non è una eccezione. Ci sono state persino sentenze della magistratura che hanno dato ragione alle aziende che licenziavano malati e feriti, anche a causa della durezza del loro lavoro. Se l'impresa non può utilizzare il lavoratore diventato RAL (ridotta abilità di lavoro), può licenziarlo. E paradossalmente spetta alla vittima dimostrare che il carnefice ha esagerato, che, pur se menomato, ci sono mansioni che potrebbe tranquillamente esercitare. Come con la cancellazione dell'articolo 18 voluta da Renzi, c'è l'inversione dell'onere della prova. È il lavoratore licenziato che deve dimostrare che il padrone ha voluto discriminarlo, e non il padrone a dover giustificare la propria ferocia. E anche i contratti che si firmano oggi penalizzano i malati e la malattia: i premi di produttività che il governo detassa sono quasi sempre premi di presenza e chi sta male non li prende.

L'obiettivo della globalizzazione, esaltato dai banchieri e dalle imprese e condiviso dai governi e dai sindacati confederali, è quello di ridurre il salario certo e per tutti dei contratti nazionali, a favore di quello legato al profitto aziendale che discrimina i più deboli. Che grazie al Jobsact possono essere anche essere demansionati, cioè degradati sul piano della prestazione professionale.

Mentre dilagano precariato e disoccupazione di massa una sola morale si afferma: se hai voglia di lavorare devi accettare tutto, altrimenti te ne starai a casa e sarà colpa tua.

È in questo contesto che i dirigenti della fabbrica di Rivoli si sono sentiti pienamente autorizzati a scartare un operaio che, dopo una terribile sofferenza, pensava di aver maturato il sacrosanto diritto di tornare a lavorare per il tempo necessario a maturare la pensione, ovviamente secondo le regole altrettanto feroci della legge Fornero.

La Oerlikon che ha licenziato il malato è una multinazionale delle alte tecnologie con sede in Svizzera, ora controllata da un magnate russo, Victor Vekselberg. Costui è uno degli uomini più ricchi del mondo e se decidesse di trasferire la residenza fiscale in Italia, grazie alla legge appena entrata in vigore, pagherebbe solo una tassa irrisoria sul suo reddito. A differenza dell'operaio licenziato dalla sua azienda che invece continuerà ad essere tartassato dal fisco, quale che sia la sua reale condizione.

Il licenziamento dell'operaio di Rivoli è dunque parte della normale criminalità sociale del sistema, è giustificato perfettamente dal dominio di quella catena del valore per gli azionisti che diventa catena di schiavitù per il lavoro. Tra breve, quando saranno terminate le lacrime di coccodrillo, sui mass media torneranno a trionfare le necessità del mercato globale, quelle della flessibilità del lavoro e le campagne contro i furbetti del cartellino, usati come metafora di un mondo del lavoro stracolmo di scansafatiche. Del resto l'operaio licenziato a Rivoli non era forse uno di quei privilegiati che ancora usufruiscono dei contratti nazionali e delle tutele dello statuto dei lavoratori? Non è ora di sostituire tutti costoro con chi vuole lavorare davvero, senza nascondersi dietro diritti che hanno fatto il loro tempo?

"I ricchi odiano i proletari e bisogna ricambiare quest'odio… bisogna restaurare l'odio di classe", così disse Edoardo Sanguineti nel 2007. Dopo dieci anni di terribili ingiustizie, con la falsa promessa che esse farebbero uscire dalla crisi, queste parole sono ancora più attuali. L'odio di classe è la sola risposta adeguata alla ferocia quotidiana e banale del sistema.

 

p.s.

L'ostilità, comunque paga. Dopo lo sciopero di tutto lo stabilimento, la Oerlikon svizzera ha reso noto poco fa di "star valutando la possibilità di riconsiderare il licenziamento" di Antonio Forchione. Patetica la motivazione: la lettera di licenziamento non è stata scritta dal responsabile del personale locale e che dunque "potrebbe essersi trattato di un errore".

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