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Occupazione del Cnr di Pisa, contro la svalutazione della ricerca

Dal 25 ottobre scorso, l’Area della Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa è protagonista di un’occupazione ad oltranza da parte dei lavoratori precari e dei colleghi strutturati, sostenuti dall’Unione Sindacale di Base (USB).

Questa convinta forma di protesta è conseguenza inevitabile di una proposta di legge di Bilancio che prevede la stabilizzazione di soli 300 ricercatori tra tutti gli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) a fronte di 10.000 precari, considerando che solo il CNR ne conta 4.500, alcuni dei quali “storici” (15-20 anni).

L’occupazione — pratica di conflittualità sindacale del tutto nuova per un settore solitamente poco reattivo sul terreno delle rivendicazioni — è sorella delle precedenti mobilitazioni promosse dall’USB e che ha portato risultati importanti nell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e nell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).

La piattaforma rivendicativa dell’USB Ricerca, a differenza di quella dei sindacati confederali, chiede 1.000 posti al comma 1 dell’articolo 20 della Legge Madia, 1.750 al comma 2 e 1.750 concorsi con protezione della professionalità acquisita al CNR, al fine di rilanciare tutto l’Ente e i gruppi di ricerca al di là del percorso e dei fondi che sono stati attribuiti in questi anni. L’irricevibile proposta di stabilizzazione che si evince dalla bozza della Legge di Bilancio fa parte di quella “politica della riduzione del danno”, responsabile della condizione in cui siamo oggi, malpagati e con diritti sempre minori.

L’occupazione organizzata da USB su piattaforma chiara sta vedendo la partecipazione di lavoratori, sia aderenti a USB sia non aderenti o iscritti ad altre OOSS. Nel caso dell’ISS e dell’ISPRA è stata portata avanti con realtà auto organizzate che avevano approvato piattaforme simili a quella dell’USB.

Il 2 novembre USB PI Ricerca ha partecipato ai lavori del 3° Congresso Mondiale dei Giovani Lavoratori organizzato dalla Federazione Sindacale Mondiale (FSM) tenutosi a Roma dove ha riportato la vertenza del CNR ad una platea di 130 delegati sindacali provenienti da tutto il mondo. In quella stessa sede è stato sostenuto come i tagli imposti dalle misure di austerità abbiano bloccato il turnover e fatto perdere migliaia di posti di lavoro.

Dal 2008 a oggi infatti, la spesa pubblica in Ricerca in Germania è aumentata del 15% mentre nello stesso periodo in Italia è diminuita del 20%, comportando lo smantellamento dei sistemi universitari e della ricerca, il progressivo svuotamento delle competenze e delle infrastrutture tecnico scientifiche e compromettendo il futuro delle nuove generazioni di ricercatori e del paese.

È dunque emersa chiara la corrispondenza diretta tra investimenti in Ricerca e Sviluppo, ridimensionamento dell’università e emigrazione di cittadini italiani con una educazione terziaria qualificata. Si è stimato che in dieci anni, ossia dal 2010 al 2020, il nostro Paese si sia lasciato sfuggire circa 30.000 ricercatori che sono costati allo Stato italiano circa 5 miliardi di euro per la loro istruzione e che all’estero collaboreranno allo sviluppo economico dei paesi ospitanti. Il settore della Ricerca è oggi caratterizzato da un tasso di precarizzazione elevatissimo.

Un altro dato rilevato è quello degli investimenti in Ricerca e Sviluppo nel settore militare. Non è passato inosservato infatti il recente accordo quadro stipulato tra CNR e Piano Nazionale della Ricerca Militare, determinando un’incredibile svolta “militarista” del più grande Ente di Ricerca Pubblica italiano. Un ulteriore accordo con Confindustria dimostra che l’obiettivo non è tanto lo sviluppo di un settore strategico per il paese, ma il rafforzamento delle relazioni tra ricerca pubblica e produttività delle aziende private.

Ribadiamo dunque la nostra ferma protesta come precari della Ricerca all’irricevibile proposta di stabilizzazione di soli 300 ricercatori rispetto ai 10.000 posti necessari. Ancor più irricevibile se confrontata con il budget previsionale di partenza del Ministero della Difesa per le spese militari e armamenti di 21 MILIARDI di euro previsti nel 2018.

I soldi per investire nella Ricerca Pubblica ci sono. Basta volerlo.

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