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Morì montando un palco. Quanto vale la vita di Matteo Armellini?

“Non vogliamo una misera offerta, ma la verità”. E’ lo sfogo – raccolto dal quotidiano l’Unità – di Paola Armellini, la mamma di Matteo, il giovane operaio romano morto il 5 marzo mentre era impegnato nell’allestimento del palco per il concerto di Laura Pausini in un palazzetto dello sport a Reggio Calabria.

Alla famiglia del 32enne è arrivato un assegno di neanche 2000 euro – 1.936,80, per l’esattezza – accompagnato solo da una lettera che non conteneva neanche un accenno alle circostanze della morte di Matteo Armellini ma solo la frase “pratica di infortunio o malattia professionale”.

Se è vero che l’Inail dà il rimborso solo a moglie e figli (e Matteo non ne aveva) “allora – si chiede la signora Paola – questi soldi cosa sono? Non hanno nemmeno pagato il funerale o il trasporto della salma da Reggio Calabria a Roma. Io non so ancora cosa è successo”.

“Matteo era il cosiddetto rigger – colui che aiutandosi con una speciale imbracatura si arrampica sulle travi del palco per montarne la struttura – dovette lui stesso pagarsi l’attrezzatura e i corsi professionali specifici. A reggere questo gioco sono le cooperative, che non assumono, ma lavorano a partita Iva. Matteo quindi era inquadrato nella categoria dei freelance ma lavorava come un operaio normale, con turni di lavoro massacranti di 16 ore. E pensare che proprio i cantanti raccontano la vita della gente comune e invece alla fine non sanno neanche tutto ciò che ruota dietro lo showbiz live. Per adesso l’unica cosa certa è che la vita di mio figlio non vale neanche duemila euro” racconta la madre, che cercando di comprendere le circostanze della morte del figlio ha scoperto un mondo che se da una parte è fatto di star strapagate e di segreterie e manager, dall’altra si basa sul lavoro di operai, fonici, tecnici delle luci e montatori che non compaiono mai. Senza contributi, senza orari prestabiliti, senza paghe regolari. Lavoratori invisibili che emergono soltanto quando qualche incidente se ne porta via qualcuno, come è accaduto per Matteo Armellini.

Dopo la denuncia, il direttore dell’Inail Giuseppe Lucibello si è affrettato a precisare che i 2 mila euro versati alla famiglia di Matteo Armellini, «non sono un risarcimento ma un anticipo dell’assegno funerario», anche se non specifica questo di quanto potrà essere. Poi ammette: «la retribuzione molto bassa del ragazzo non consente di immaginare risarcimenti consistenti. Con le attuali leggi, l’Inail risarcisce quello che può ma ha avanzato più volte proposte per meglio tutelare i più giovani. L’Inail – continua Lucibello – ha dimostrato che una riforma di questo tipo non è particolarmente gravosa. Sarebbe importante tutelare meglio soprattutto i morti sul lavoro deceduti in giovane età perché lì i livelli retributivi sono spesso molto bassi per cui i superstiti prendono prestazioni di entità molto ridotta». Tanti giri di parole per ammettere che per lo stato la vita di un giovane operaio non vale granché.

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