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Non solo guardie. La giustizia per ricchi contro Cucchi

Era un’udienza attesissima quella di oggi in Corte di Assise a Roma per la morte di Stefano Cucchi, il trentunenne deceduto tre anni fa nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini. Ormai il dibattimento sta per concludersi, senza grandi speranze per la verità. Le circostanze che hanno portato alla morte di Stefano continuano a restare nebulose, poco chiare, quasi che il ragazzo – come qualcuno d’altronde ha cercato di far “passare” sin dall’inizio della vicenda – sia morto di “consunzione”, senza una reale e concreta responsabilità.

 

Oggi, però, avrebbero dovuto parlare i consulenti della famiglia Cucchi. “Hanno fatto un lavoro straordinario” ha sempre detto la sorella di Stefano, Ilaria, molto soddisfatta delle conclusioni a cui il lavoro dei cinque consulenti ha portato: e cioè, in breve, che le lesioni subite da Stefano nel pestaggio hanno avuto una causa diretta nella sua morte (secondo la tesi della Procura Stefano è stato picchiato nei sotterranei del tribunale, dopo aver subito il processo per direttissima per spaccio di sostanze stupefacenti).

 

Sin dalle 7,30 di questa mattina in aula sono arrivati i tecnici di un’agenzia ingaggiata dalla famiglia per montare i video su cui dovevano essere proiettati i documenti messi insieme dai consulenti, e le loro conclusioni. Un appuntamento, quello di oggi, “prenotato” sin dal 20 dicembre, quando gli avvocati di parte civile avevano fatto presente al giudice e ai pm – Vicnenzo Barba e Francesca Loy – che oggi sarebbero stati convocati i periti.

 

Invece è andato tutto all’aria, e per sapere la verità dei consulenti di parte bisognerà aspettare due settimane. Ad opporsi alla loro audizione, proprio i pubblici ministeri. Per stamattina avevano chiamato a parlare gli ultimi quattro testi, e la convocazione era stata inviata solo ieri, tant’e’ che due non si sono presentati. Va detto che la citazione di queste quattro persone è stata chiesta dai pm nell’ultima udienza, che si è svolta l’altro ieri, e solo in quella sede hanno dunque avuto l’autorizzazione da parte della Corte. La richiesta, insomma, poteva essere notificata solo ieri. Secondo la procedura, prima di ascoltare i consulenti di parte bisogna finire di ascoltare i testi. Ma non si tratta di una regola scolpita nella pietra, pure nelle aulee di tribunale si può provare ad adattarsi alla realtà, magari cercando di andare incontro alle esigenze delle vittime. Ovviamente, però, il cavillo può sempre essere d’aiuto per “duellare”. Così quando il giudice ha chiesto ai pm se si poteva ascoltare i consuenti, visto che erano venuti appositamente a Roma da altre parti di Italia, il pm si è opposto, facendo valere il suo diritto ad ascoltare tutti i suoi testi prima di far parlare i periti.

 

Amareggiata la famiglia Cucchi: “Ho sempre pensato che i pm fossero dalla nostra parte, ho capito che non è così, per un motivo che non riesco a comprendere”, ha detto Ilaria. “Siamo sconcertati. Il nostro sforzo organizzativo ed economico per fare approntare oggi anche la tecnologia adatta per consentire ai nostri consulenti di spiegare le nostre ragioni è stato enorme; noi siamo una famiglia comune e non vorrei che il successo della giustizia sia riservato solo alle persone abbienti. Non è giusto”, le parole del padre, Giovanni. “È inaccettabile quanto successo – ha sottolineato il difensore di parte civile, Fabio Anselmo – Era già noto da dicembre che noi avremmo portato oggi i nostri consulenti. Il pm non ha citato i testi che residuavano della sua lista venendo a dire di aver avuto poco tempo a disposizione per farlo, e ha addirittura negato il consenso a che potessero essere sentiti i nostri medici sollevando i difensori degli imputati dal farlo. La famiglia Cucchi ha sopportato e sta sopportando un onere e un impegno economico al di sopra delle loro possibilità; credo che quanto sta accadendo possa essere difficilmente compreso e accettato”.

 

I consulenti della famiglia Cucchi sostengono una tesi opposta a quella a cui sono giunti i consulenti della Procura. Secondo questi ultimi, infatti, le lesioni sulla spina dorsale di Stefano non sono state la causa della sua morte, e anzi forse erano addirittura pregresse. La responsabilitò del decesso sarebbe da ricercare nella incapacità dei medici di capire la gravità della situazione e di intervenire. Il lavoro dei consulenti di parte civile, invece, giunge alla conclusione che quelle lesioni sono state causate dalle botte, che avrebbero impedito una normale funzionalità dei reni. Il riempirsi conseguente della vescica (mal drenata) avrebbe poi scatenato l’elettrolisi  che ha ucciso Stefano. Ma per saperne di più bisognerà aspettare due settimane.

 
da “il manifesto”

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