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Roma obbedisce ad Ankara: obbligo di dimora per Bahar

Oggi la magistratura di Brescia ha deciso che l’attivista belga di origini turche, Bahar Kimyongür, debba attendere che la giustizia italiana vagli la richiesta di estradizione presentata da Ankara nei suoi confronti. E che lo debba fare, dopo 13 giorni già passati in prigione, in condizione di soggiorno obbligato.

Bahar, solo in virtù delle proprie idee e del proprio lavoro di informazione e denuncia nei confronti della repressione del regime turco contro le sinistre e le minoranze, dovrà continuare ad essere privato della sua libertà personale, e rischia concretamente di essere estradato e consegnato ai torturatori.
Secondo quanto si apprende dovrà rimanere per alcune settimane in una casa a Marina di Massa, di proprietà di un amico, in attesa del pronunciamento della Corte d’Appello di Bergamo.

Lo Stato Turco dispone di 40 giorni, a partire dal 21 novembre, giorno in cui l’attivista e giornalista belga è stato arrestato dalla Digos quando è arrivato all’aeroporto di Bergamo, per trasmettere all’Italia i documenti che corredano la richiesta di estradizione.

Da quando è stato arrestato il Clea – il Comitato per la libertà di espressione e associazione – ha organizzato petizioni e manifestazioni a Bruxelles affinché Bahar sia completamente scagionato e per esercitare pressioni sul governo belga, al quale chiede di intensificare gli sforzi per difendere i diritti di un proprio cittadino perseguitato in numerosi paesi europei sulla base di accuse di ‘terrorismo’ infondate e pretestuose. Oggi in un comunicato il Clea afferma che ora «la lotta in favore di Kimyongur dovrà necessariamente avere un salto di qualità». Un indicazione che speriamo venga accolta anche da numerose realtà sociali e politiche di un paese come l’Italia stufe di subire i diktat di governi stranieri e la subalternità di una magistratura sempre incline a difendere gli interessi di regimi autoritari e repressivi piuttosto che tutelari quelli dei cittadini.

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