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Caso Uva, l’inchiesta e le ombre sul pm Abate

Sono scaduti i termini per i nuovi approfondimenti su quanto accaduto nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 2008, mentre sul pm Agostino Abate si abbatte l’ira del Csm e della Cancellieri: «Non ha indagato su quello che successe in caserma, a processo».

I termini per le indagini suppletive sono scaduti il 31 dicembre scorso: dopo essere stato sostanzialmente obbligato dal gip Giuseppe Battarino il pm di Varese Agostino Abate ha sentito i carabinieri e i poliziotti che, nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 2008 fermarono Giuseppe Uva e lo portarono nella caserma di via Saffi. Da lì, l’uomo sarebbe uscito soltanto in ambulanza, per poi morire in ospedale.
Abate, qualche mese fa, aveva chiesto l’archiviazione per gli otto uomini in divisa (due carabinieri e sei poliziotti): per l’investigatore Giuseppe sarebbe sostanzialmente morto di malasanità. E per questo portò alla sbarra il dottor Carlo Fraticelli, in servizio al pronto soccorso la notte in cui l’uomo morì. Ma quel processo si risolse con un’assoluzione, nella primavera del 2012. Il giudice Orazio Muscato, leggendo la sentenza, lo disse apertamente: bisogna indagare sui fatti avvenuti in caserma. Abate non lo ha mai fatto.
«Ignoranza e negligenza», le accuse avanzate contro di lui da Csm, che lo ha recentemente trascinato in un «procedimento disciplinare», formula burocratica di rito che indica un processo a carico del pm.
Sono tanti i fatti che mettono il suo operato in cattiva luce: non ha mai ascoltato Alberto Bigioggero (arrestato insieme a Uva quella notte), non ha mai ascoltato la sorella di Giuseppe, Lucia e, anzi, l’ha addirittura iscritta nel registro degli indagati per il reato di diffamazione aggravata. Non ha fatto nulla, Abate, per cercare di chiarire la dinamica dei fatti, sicuro che le forze dell’ordine non c’entrino nulla con la morte dell’uomo. Il Csm lo accusa addirittura di aver intimidito il collegio dei periti durante il processo contro il medico Fraticelli. Tutto per non dire che, quella notte, Giuseppe Uva è stato pestato a morte nella caserma di via Saffi.
Eppure il gip Battarino lo ha scritto chiaro e tondo: «Le cause della morte vanno ricercate nelle condotte delle persone presenti in caserma quella notte. È una morte per la quale doveva sorgere immediatamente il sospetto di un reato». Non solo, per il giudice l’arresto di Uva sarebbe da considerare illegale: «Non c’era alcun motivo per farlo. E nessuno può essere privato della libertà personale, se non in forza di una legittima detenzione». Solo Abate è riuscito a non vedere che «la morte di Uva non è riconducibile ad errata somministrazione di farmaci, sul suo corpo vi erano tracce di lesioni, ci fu un’importante effusione di sangue proveniente dalla zona anale, la morte è conseguita ad un’aritmia derivante dal contenimento e dallo stress fisico e i traumi subiti sono concause del decesso», ha scritto ancora il gip.
C’è un giudice a Varese, ma potrebbe non bastare. L’attesa adesso è tutta per i risultati delle nuove indagini, ancora condotte da Abate: chiederà ancora l’archiviazione degli agenti o li porterà a processo?

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