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Quando lo Stato uccide. Parla l’avvocato Fabio Anselmo

Vi proponiamo un’intervista con Fabio Anselmo, l’avvocato che più di ogni altro – suo malgrado – ha dovuto prender dimestichezza con i casi di “malapolizia”. Ci sono persone che segnano dei confini storici tra un’epoca e un’altra, facendo scuola, dribblando polemiche e accuse di strumentalizzazione e indicando nuove vie giuridiche in quei territori non esplorati quali sono i rapporti tra forze dell’ordine e magistratura, vero nodo irrisolto nei processi di malapolizia. 

1-Cominciamo dall’esempio più recente. Puoi spiegarci in breve quanto può aver influito finora sul processo Uva, il concetto di stretta interazione tra procure e polizia giudiziaria? Se non è questo il piano su cui sviluppi la tua linea difensiva, e sul quale forse non serve sviluppare un ragionamento, puoi dirci cos’è mancato per sei anni per far si che il “processo Uva” si sviluppasse correttamente? 

Il caso Uva va oltre ogni limite ed oltre ogni logica di naturale ma mai condivisibile ritrosia da parte degli uffici dei pubblici ministeri a mettere sotto la lente rigorosa ed imparziale l’operato della polizia giudiziaria quando questa viene coinvolta in sospetti abusi od in morti difficilmente spiegabili o comprensibili.
Qui andiamo oltre ogni logica giuridica e funzionale. Abbiamo assistito ad una sfida costante ed emotivamente cruenta tra noi ed il PM dott. Abate, il quale, indomito di fronte ai via via sempre più numerosi provvedimenti adottati dagli organi giudicanti di segno sempre opposto alle sue richieste, si è fatto forte della “personalizzazione del caso Uva ” per sottrarre la vera materia del contendere ad un Gip. Sei anni sono passati. Sei anni nei quali mentre tutti i vari giudici interpellati a vario titolo non si stancavano di invocare indagini su quanto accaduto in quella caserma di Varese, il PM ostentava la propria ” ribellione ” al rispetto dell’ordine giudiziario continuando nella sua ostinata corsa verso la prescrizione. La magistratura, nell’esercizio delle sue funzioni, deve essere autonoma ed indipendente. Autonomia ed indipendenza sono sacre e mai debbono essere messe in discussione. Ma è mancata la doverosa attività di autocontrollo da parte della stessa magistratura a garanzia del buon e corretto funzionamento della funzione giudiziaria. 5 istanze di avocazione sistematicamente rigettate e numerosi esposti invano presentati alla procura di Brescia ne costituiscono drammatica conferma.  Le parole durissime degli atti di incolpazione usate dal procuratore generale della Cassazione e dal Ministro della giustizia contro l’operato del dott. Abate riconoscono la piena fondatezza di tutte le nostre censure e rimostranze mosse nei suoi confronti.
Troppo tardi però. Troppo tardi. Se in modo sincero e certamente non ipocrita possiamo aspirare a che il dott. Abate sia chiamato a rispondere delle gravi responsabilità a lui inequivocabilmente riconducibili per quanto ha fatto e non ha fatto in questi lunghi anni, possiamo dire che non si può rendere giustizia alla morte di Giuseppe Uva solo con i procedimenti disciplinari al PM al quale è stato consentito di arrivare indisturbato alle soglie della prescrizione di quasi tutti i gravi reati contestati a carabinieri e poliziotti coinvolte in quella terribile morte.

2-Ti sta stretta la connotazione di avvocato legato ai processi di malapolizia? Molti ti identificano in questo filone procedurale: pensi renda giustizia alla tua dimensione professionale, o c’è anche altro? 

No , non mi sta stretta. Io amo la vita. Ho imparato mio malgrado a misurarmi con il confine sottile che spesso la separa dalla morte. La cultura nemmeno tanto subdola e nascosta della nostra società che tradisce la diversa considerazione del suo valore e rispetto in funzione della identità dell’uomo cui essa appartiene mi spaventa terribilmente. La vita umana , la salute , l’integrità fisica dell’uomo vengono sempre più spesso considerate ” sacrificabili ” in nome dell’interesse economico superiore. Vedasi per esempio, ma non solo, a quanto accade nelle carceri, nei cie od a chi disperato viene cancellato da un destino terribile solo perché in cerca di un futuro migliore.  Questa cultura è la madre dei nostri tormenti processuali nella gestione giudiziaria dei vari casi di morti di Stato. 

3-A nostro avviso, tutto è cominciato dal tuo convolgimento nel processo Aldrovandi. Perché il processo Aldrovandi ha fatto scuola ed è passato alla storia? Secondo te, il processo Aldrovandi ha creato precedenti tali da esser poi riproposti, a livello procedurale, negli altri iter giudiziari che ti vedono coinvolto come difensore? 

Federico Aldrovandi era un ragazzo. Aveva compiuto da pochi giorni 18 anni. Era solo. Non aveva mai fatto male a nessuno. Non stava facendo male a nessuno. Non è stato in alcun modo possibile ricollegarlo allo scenario di guerra propinato al G8 al fine di poter giustificare emotivamente la morte ugualmente terribile ed insensata di Carlo Giuliani. È stato destabilizzante per gli organi di propaganda di Stato che non hanno trovato di meglio che sostenere che fosse morto da solo, di overdose. Con 2 manganelli rotti probabilmente a caccia di zanzare. Federico è stato cancellato da violenza ignorante e brutale. Era solo. Disarmato. Tutto questo è stato inaccettabile anche per una pubblica opinione tenuta in costante “allarme sicurezza” in modo spesso artato e politicamente finalizzato. La sua morte è drammaticamente simile a quella di Riccardo Rasman, Michele Ferrulli e Riccardo Magherini. Le situazioni si accavallano e sovrappongono fino a confondersi. Tutto ciò è drammaticamente imbarazzante. Mi pare di rivedere e rivivere sempre lo stesso drammatico film. Il problema è che il morto è sempre un altro. Ed altra è la famiglia che lo piange. Dolore che si aggiunge ad altro dolore. Senza pace. 

4- Come gestisci i rapporti con i familiari delle vittime di malapolizia? 

Alle famiglie mi presento nudo. Senza pudore e senza schemi preconcetti. Dalle famiglie esigo onestà e lealtà assolute. Esigo amore di verità. Non vendetta . Non ambizioni economiche ma amore incondizionato di verità. Senza se e senza ma. Senza calcolo. Dalle famiglie ho avuto tantissimo. Ho avuto lezioni di vita e di amore per la vita e per la verità.  Patrizia Moretti mi ha permesso di capire fino in fondo suo figlio fino a diventarne la sua voce. Così lei mi ha chiamato: ” tu sei la voce di Federico ” . È il complimento più bello che mai abbia avuto. Ilaria , Giovanni e Rita Cucchi mi hanno insegnato la dignità di chi viene continuamente calpestato ma non cessa di credere nello Stato e nella Giustizia. La loro compostezza mi commuove.
Ilaria è diventata una persona forte e fiera. Nulla la mette in difficoltà ed i suoi occhi che ti penetrano l’anima trasmettono tutta la rabbia soffocata dal dolore di dover aver visto Stefano nelle terribili condizioni in cui è stato fatto morire. 

Lucia Uva ha la potenza della ribellione alla compravendita dell’uccisione di Giuseppe. La fierezza di una condizione economica precaria che però sposa rifiutando facili risarcimenti assicurativi pur di arrivare alla verità per suo fratello. 

Domenica Ferrulli, pur giovanissima ha nelle sue mani il timone di tutta la sua famiglia. Suo padre Michele è morto gridando aiuto e supplicando sotto i colpi “basta” . Reo di aver ballato in strada con due suoi amici dopo aver bevuto qualche birra magari di troppo. Domenica è sola ma non ha perso la bussola. 
Claudia Budroni con il suo sguardo vivissimo: fiera della bellezza del suo povero fratello Dino , morto ammazzato. Claudia i cui occhi diventano più belli quando si bagnano delle lacrime che versa per vedere processare Dino da morto. Si, perché da morto Dino viene condannato e marchiato per ben due volte. Da contumace. Reso contumace per un proiettile scellerato sparato da un poliziotto che non merita alcun aggettivo. 
Guido Magherini è struggente. Un padre sorretto ora solo dalla spasmodica ricerca della verità per la morte del proprio figlio Riccardo. Disorientato su tutto ma non su ciò che deve fare per restituire dignità a Riccardo che è morto chiedendo aiuto , in modo sempre più disperato ma sempre educato . Anche quando, educatamente, ha inutilmente fatto presente ai suoi aggressori che stava morendo. Ed infatti è morto. In modo terribile ma educato, rispettoso. Dedicando il suo ultimo pensiero a suo figlio Brando di soli due anni. Guido ha Andrea. Che assomiglia terribilmente a Riccardo ma è Andrea. Lo ama ancor di più . Ma Riccardo non c’è più .

Il dolore di queste famiglie è quello della loro vita. È quello che viene calpestato quotidianamente proprio da coloro che dovrebbero averne più rispetto.  Sono per me esempi. Il loro dolore è la mia forza , la mia rabbia.

5-Secondo te, qual è il ruolo dei media e dell’informazione in processi di questo tipo? Cosa deve fare la buona informazione per sconfiggere la cattiva informazione come, per esempio, quella alimentata da personaggi come Giovanardi? 

Il ruolo dell’informazione è fondamentale. I fari della pubblica opinione sono assolutamente necessari per costringere lo Stato a processare se stesso ed a non voltarsi dall’altra parte parte come spesso accade.
Il comitato europeo dei ministri e la corte di Strasburgo considerano la tensione mediatica come esercizio indispensabile di ” public scrutiny”, parametro fondamentale di effettività della lotta all’impunità della violazione dei diritti umani. 

6-Pensi che l’esempio di Dean Buletti per “Chi l’ha visto” possa indicare una strada da seguire nel giornalismo d’inchiesta intorno a casi di questo genere? Perché? 

Dean Buletti e “Chi l’ha visto” sono espressione di quella forma di giornalismo d’inchiesta che oramai sta scomparendo da noi. Sia Dean che il programma di Rai Tre hanno ricoperto un ruolo fondamentale anche nei casi Aldrovandi e Magherini.

7-Secondo te la politica che ruolo ha nelle questioni di repressione e malapolizia? Pensi che sia corresponsabile degli attuali – disastrosi – modelli di sicurezza e ordine pubblico? 

I casi di malapolizia non sono isolati. Sono espressione di un modello comportamentale preoccupante. I responsabili di questi gravissimi episodi non solo non vengono isolati o comunque lasciati soli ad affrontare i processi per acclarare le loro responsabilità ma addirittura vengono sostenuti e incoraggiati da colleghi o da forme organizzate come i sindacati di polizia. Queste intervengono pubblicamente prima durante e dopo i processi per sostenere la loro solidarietà ai colleghi indagati, imputati ed anche condannati. E ciò spesso con toni intimidatori quando non minacciosi ed ingiuriosi nei confronti delle stesse vittime. 
Paiono essere una sorta di ribellione al potere giudiziario che non vogliono riconoscere. 
Da forze dell’ordine diventano forze del disordine quasi a volersi costituire come potere autonomo e senza controllo della magistratura. La politica intanto si volta dall’altra parte. Ed il silenzio degli organi di garanzia costituzionale preoccupa perché offre l’impressione di volerli accettare se non legittimare. 

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