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Il proiettile che ha ucciso Paolo Locci

Sempre più proiettili, anche quelli che per le leggi della fisica non potrebbero farlo, tendono a percorrere strane traiettorie una volta detonati. E non solo: proprio in virtù di quelle traiettorie tendono a uccidere per pura combinazione.
Il proiettile che uccise Carlo Giuliani carambolò contro una pietra lanciata in aria.
Quello che uccise Gabriele Sandri deviò a causa di una rete. Qualcuno provò a sostenerlo ma per fortuna non venne creduto da un collegio giudicante, che condannò Spaccarotella a 9 anni per omicidio preterintenzionale.
Quello che vedete in foto è un classico 9 mm NATO, in dotazione alle forze dell’ordine italiane. Più precisamente è il proiettile che ha ucciso Pietro Paolo Locci, in seguito a una rapina da far west consumata nel piccolo comune di Pula, in provincia di Cagliari, il 7 ottobre del 2007.

Le striature e ammaccature nella parte superiore del proiettile sono dovute al rimbalzo sull’asfalto e all’entrata nella calotta cranica della vittima.

Succede tutto nell’arco di una manciata di minuti. La mattina del 7 ottobre 2007, l’ufficio postale di Pula viene assaltato da un commando di banditi. Una cliente inviperita segnala a una gazzella di carabinieri di passaggio, la presenza di un cartello affisso all’ingresso della filiale: “Non si effettuano pagamenti fino alle 9:30”. I militari subodorano qualcosa di strano e allertano il nucleo operativo antirapina. Nell’attesa si appostano dietro un Fiorino bianco parcheggiato davanti all’ufficio postale per fare accertamenti sulla targa. In quell’istante i banditi escono dall’ufficio postale con un ostaggio, il portellone del fiorino si spalanca e spunta un bandito incappucciato che comincia a sparare all’impazzata contro il parabrezza dell’auto dei carabinieri, salvi solo grazie ai vetri blindati. 

La situazione precipita. Intervengono altri equipaggi, anche in borghese, e si scatena una sparatoria tremenda nel pieno centro di Pula. Un bandito viene ucciso subito: indossa una pettorina arancione stile Anas, dettaglio che in seguito si rivelerà decisivo.

Altri tre banditi fuggono a piedi. Due di questi bloccano un furgone e si infilano nell’abitacolo per tentare la fuga. Alla guida del furgone c’è Pietro Paolo Locci, panettiere, che si stava recando al lavoro; sul lato passeggeri è seduto un suo amico, Luigi Piu. I banditi gli ordinano di partire, ma Locci oppone resistenza e viene subito sbattuto fuori all’abitacolo, ritrovandosi per strada, con scarso riparo, nel bel mezzo della sparatoria. È quindi Luigi Piu che si ritrova tra i due banditi, che gli ordinano di ingranare la retromarcia e scappare. La strada però è bloccata da altre auto, e il furgone non può fare marcia indietro, né può andare avanti. 

I carabinieri che si trovano in prossimità del furgone, attivano i puntatori laser verso l’abitacolo del furgone, tenendo sotto tiro i rapinatori, che si accorgono dei fasci luminosi e abbandonano il camion per proseguire la fuga a piedi, subito inseguiti. È in questi istanti che ai militari impegnati nell’inseguimento si aggiunge il carabiniere Alessandro Pillitu. È più o meno in questi frangenti – parliamo di frazioni di secondo – che Pillitu esplode un colpo e colpisce in testa Paolo Locci.

Ed è proprio intorno a questo punto che la ricostruzione dell’accaduto si complica esponenzialmente. Ricostruzione che, come sempre accade in questi casi, è affidata quasi esclusivamente ai verbali dei carabinieri attivi nella sparatoria, nonché alle relative testimonianze in aula.

Mentre nell’abitacolo i banditi costringevano Luigi Piu a partire, Paolo Locci si era buttato a terra, cercando riparo sul lato sinitro del furgone. Vista l’impossibilità di proseguire col furgone, i banditi fuggono a piedi, armi alla mano. Parte un colpo dalla pistola di Alessandro Pillitu – diranno i giudici “un colpo di avvertimento” – Paolo Locci viene colpito alla testa, e da quel momento in poi resterà in coma per venti mesi. 

Proponiamo un estratto del ricorso in cassazione presentato dal legale di parte civile della famiglia Locci, avv. Carlo Monaldi: 

<<Pietro Locci, che sappiamo trovarsi in prossimità del lato sinistro del furgone, non può far altro che gettarsi istintivamente a terra per offrire il minor bersaglio possibile. A questo punto il Pillitu, rimasto nella posizione sopra descritta, forse ingannato dal colore della maglietta indossata dal Locci, un arancione molto simile a quello del corpetto indossato dal rapinatore rimasto ucciso, reagisce al movimento della persona offesa, che presumibilmente risollevava il capo per seguire l’evolversi della situazione di pericolo, sparando istintivamente verso di lui>>.

Il legale sostiene la tesi dell’errore di valutazione, cioè che Pillitu abbia scambiato Locci per un malvivente a causa del colore della maglietta. A sostegno di questa tesi, c’è anche il fatto che Pillitu sia arrivato in seguito all’espulsione di Locci dall’abitacolo. 

È andata così? I giudici in tre gradi di giudizio sono arrivati a conclusioni del tutto diverse.   

Tutte le assoluzioni a favore di Pillitu sono motivate dal fatto che in una situazione nella quale dei banditi fuggono sparando e prendendo ostaggi, l’uso delle armi da parte dei carabinieri è legittimo. Può anche però accadere che i proiettili rimbalzino accidentalmente sull’asfalto, seguendo traiettorie quanto mai bizzarre: <<Il primo giudice ha ritenuto che il colpo esploso dall’imputato attinse Locci dopo aver impattato su un bersaglio intermedio e che, per effetto della deviazione e della notevole deformazione, finì per colpire accidentalmente Locci>>. 

Si legge nel ricorso in cassazione che la posizione di Locci e la posizione dei banditi sono assai differenti tra loro. Locci cerca riparo, molto probabilmente buttandosi a terra, mentre i banditi sono in fuga in altra direzione. Una cosa è sparare verso i banditi in fuga, altra è mirare e sparare (che il proiettile rimbalzi o meno) verso un passante scambiato per malvivente, sdraiato o in piedi che sia. Ed è la seconda tesi, quella sostenuta a gran voce dalla parte civile.

Lo stesso carabiniere Pillitu fornisce due ricostruzioni diverse di quella dinamica, a distanza di dieci giorni l’una dall’altra. Nella prima deposizione davanti al pm, non fa alcuna menzione di un “uomo con maglia arancione”, mentre dieci giorni dopo, durante una deposizione a freddo, Pillitu ricorda di aver visto vagamente una sagoma di uomo in piedi, con una sorta di pettorina arancione. Probabilmente Locci.

Durante il processo, di fronte a un pm che pur sosteneva con forza le posizione della parte civile, Pillitu fornisce una terza versione: ammette di aver sparato verso il furgone ma dal lato passeggero e che, forse, il proiettile è rimbalzato fino a colpire Locci. 

Ma la parte più interessante è la consulenza balistica di parte civile, firmata da Claudio Gentile, assai dettagliata sulla traiettoria del proiettile. Si legge nel ricorso: 

<<Il proiettile, dopo il rimbalzo assume una nuova traiettoria lungo un angolo ancora più piccolo di quello con cui era giunto al suolo e, dopo aver percorso altri 5 – 7 metri, colpisce il capo del Locci che, mentre si stava rialzando da terra, aveva portato la testa a 40 – 50 centimetri dal piano stradale. Quest’ultimo dato, magistralmente dimostrato dal consulente della parte civile e confermato dal collegio peritale, consente infatti di ritenere ragionevolmente comprovato che l’imputato (Pillitu, n.d.r.) sparò verso il lato destro della carreggiata, cioè verso il punto in cui si trovava il solo Pietro Locci, e non verso il lato sinistro della strada, in direzione […] di uno dei rapinatori>>; altra conclusione cui giunge il consulente della famiglia Locci è che <<appare  inverosimile, improbabile ed improponibile immaginare che il Locci si possa essere rifugiato dietro ad un camioncino che manovrava inconsultamente ed alternativamente in marcia avanti e retromarcia>>. Ricordiamolo, c’era Luigi Piu alla guida, sotto il tiro dei rapinatori. E forse Locci non era sdraiato ma in piedi.

Non lo sapremo mai. Il dubbio sospeso tra “rimbalzo accidentale o errore di valutazione” rimane irrisolto. O meglio: viene spazzato via da tre sentenze.

Quel 7 ottobre 2007 si rivelò una giornata catastrofica per Pula.

Non fu così per l’arma dei carabinieri, che portò a casa un risultato operativo di tutto rispetto.

Segnò invece l’inizio di un’odissea giudiziaria per la famiglia Locci, relegata via via in un ruolo sempre più marginale rispetto al processo principale a carico dei banditi.

Le tesi della parte civile sono state tutte ignorate, nonostante sembrassero mostrare evidenze inconfutabili. Il carabiniere è stato assolto in tre gradi di giudizio. I rapinatori sopravvissuti hanno preso condanne pesantissime che vanno dai vent’anni all’ergastolo poiché, non paghi della rapina, della sparatoria e dei tentati omicidi, come ultimo disperato tentativo di coprirsi la fuga si erano introdotti in una casa e avevano preso in ostaggio una famiglia.

Nessun carabiniere si è mai presentato da Fabiana, la moglie di Pietro Paolo Locci, né da sua figlia Roberta che allora aveva 11 anni e oggi ne ha 18: <<la cosa più intollerabile” dice Roberta “è che Pillitu sia passato davanti a me e mia madre senza neanche averci detto un ciao, un paio di scuse, di condoglianze>>.

Queste invece le parole di Fabiana: <<capisco che il carabiniere si sia trovato in una situazione di pericolo, capisco che stava facendo il suo lavoro, capisco tutto. Capisco anche che tutti sbagliamo, ma tutti paghiamo per gli errori commessi. Perché chi ha una divisa non deve pagare? Un marito, un padre, un fratello è morto ma tutti se ne sono dimenticati. Nessuna manifestazione di solidarietà, niente. Niente da chi aveva promesso di aiutarci solo per compiacere l’opinione pubblica. Voglio ribadire questo: mio marito andava a lavoro ed è stato sparato in testa da un carabiniere che è stato assolto. Per la sua morte non c’è nessun colpevole>>.

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