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Licenziata educatrice de Le Vallette per una maglietta No Tav

A Torino le strutture repressive sono e si sentono fuori controllo, “costituenti” di una un nuovo prdinamento giudiziario e legale, a qualsiasi livello.

Basta leggere questo articolo da Repubblica, rigorosamente nella sola edizione locale (sia mai detto che si possa disturbare il lettore a livello nazionale, ne andrebbe di altri voti persi per il Pd…), per far salire alla mente qualcosa più che cattivi pensieri. Il fascismo reale è questa roba qui…

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In carcere con t-shirt “No Tav”, educatrice licenziata in tronco

JACOPO RICCA

L’amministrazione penitenziaria: “E’ amica degli anarchici”. Lei. “Sempre stata corretta, mi negano il lavoro”

Quanto costa essere No Tav? Forse non la libertà di parola, ma un posto di lavoro nella casa circondariale Lorusso e Cutugno almeno si. Almeno questo è quello che pensa Angela Giordano, educatrice a contratto nel padiglione E delle Vallette rimasta senza lavoro dal 17 settembre probabilmente per una maglietta No Tav indossata prima delle state mentre faceva terapia con i suoi pazienti e per un abbraccio a un’amica incontrata all’uscita dal lavoro, e quindi dal carcere, durante un presidio di solidarietà agli arrestati per gli assalti al cantiere di Chiomonte.
Da quella mattina di settembre per lei le porte del carcere non si sono più aperte: «Sospensione temporanea del permesso di accesso» le ha detto la guardia all’ingresso «Motivi di sicurezza» la spiegazione. Quel provvedimento temporaneo il 30 settembre è diventato definitivo, sempre per decisione del direttore della struttura Domenico Minervini. La motivazione ufficiale fa riferimento a due episodi: «Essersi intrattenuta scambiando baci e abbracci con simpatizzanti dell’area anarco-insurrezionalista» e ancora «aver pubblicato sul suo profilo Facebook numerose fotografie di anarchici recentemente arrestati».
L’associazione Morgana, con cui aveva una collaborazione a partita Iva da 40 ore settimanali, non ha potuto far altro che accettare la decisione della direzione e da settembre non ha più pagato la donna. L’organizzazione infatti gestisce, in convenzione con il Sert di corso Lombardia, i percorsi riabilitativi per i detenuti tossicodipendenti e il carcere è l’unico posto di lavoro: se non puoi entrare non lavori.
Tutto però è iniziato con una maglietta, indossata prima dell’estate, dove campeggiava la scritta No Tav. Un t-shirt di quelle comprate per finanziare la lotta contro il treno ad Alta velocità che non è passata in osservata e ha suscitato le critiche dei superiori: «Non è un abbigliamento consono, può essere visto come una provocazione» gli avvertimenti fatti all’educatrice che da quel momento aveva smesso di mettere la maglietta e non si sarebbe aspettata di perdere il lavoro per quello.
La donna conferma di essere simpatizzante del movimento No Tav, ma assicura di non aver mai avuto rapporti con gli anarchici e l’incontro cui si fa riferimento nel provvedimento è avvenuto a metà settembre, quando era stato organizzato un presidio in solidarietà degli 8 arrestati dove uscendo del lavoro è stata chiamata da una sua amica che partecipava alla manifestazione. E anche le foto, ancora visibili sul suo profilo social, ritraggono i giovani che avevano assaltato il cantiere di Chiomonte e che non appartengono all’area anarchica, ma all’autonomia torinese.  Il suo legale, Roberto Lamacchia, spera che si sia trattato di un malinteso: «Non era mai successa una cosa simile e le motivazioni che abbiamo non rispondono alla realtà – spiega l’avvocato – Nei prossimi giorni cercheremo di ottenere una revoca».
Il direttore del carcere Minervini invece non vuole entrare nel merito della decisione, ma precisa: «Io ho scritto nel provvedimento le motivazioni. Per volontari e dipendenti di enti convenzionati si valuta il comportamenti e si prende una decisione sulla correttezza. All’inizio non avevamo spiegato le circostanze che mi hanno fatto prendere questa decisione, ma ora sono nero su bianco». Critica l’associazione Antigone: «Serve più chiarezza e un contraddittorio su queste decisioni – commenta Giovanni Torrente del direttivo del gruppo che tutela i diritti dei detenuti – A monte c’è la questione che l’amministrazione penitenziaria ha un potere quasi feudale e con le esigenze di sicurezza giustifica qualsiasi scelta. Questo dovrebbe cambiare».

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