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La Cina cerca un crescita più equilibrata

I problemi da affrontare sono numerosi, ma soprattutto giganteschi. Al momento, la Cina rappresenta il più forte «nuovo consumatore» di materie prime. La sua domanda resta molto inferiore a quella statunitense, ma il suo tasso di crescita è violento e contribuisce a «stressare» un’offerta che fa fatica ad adeguarsi. E in alcuni casi proprio non può farlo.

La decisione già presa è quella di privilegiare una crescita economica più lenta, meno energivora e più compatibile con l’ambiente. Ma nessuno pensa che questo si tradurrà in tempi rapidi in minori acquisti di materie prime. Al massimo, in un rallentamento del tasso di crescita della domanda. Per esempio, gli analisti prevedono che la crescita della domanda di acciaio scenderà al 6-7% nei prossimi cinque anni, dopo una media di circa il 17% negli ultimi 10 anni. I prezzi del ferro, dunqe, non potranno diminuire. Anche perché, nel frattempo, si progetta di costruire nel periodo 36 milioni di alloggi popolari, per far fronte alla necessità di abitazioni a basso costo nelle città. Obiettivi che fanno salire la richiesta di acciaio e di materiali da costruzione.

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, il premier Wen Jiabao ha annunciato che entro il 2015 il suo paese ridurrà l’utilizzo di combustibili fossili all’88,6% degli approvvigionamenti energetici, in modo da ridurre la spesa energetica al 16% del Pil.

Ciò nonostante, il piano quinquennale prevede di aumentare le importazioni di carbone termico (quello per le centrali elettriche), che già hanno portato il prezzo a 130 dollari la tonnellata.
Dovrebbero quindi salire le importazioni di gas naturale (già l’anno scorso cresciute del 69%). Nonché quelle di uranio (l’obiettivo è di produrre in questo modo almeno il 7-8% del fabbisogno elettrico.

Problemi simili si pongono anche per molte materie prime di origine agricola, come il cotone (il cui prezzo sembra ormai non aver più limiti verso l’alto).

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