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Fiat non vende più

Prima le notizie,poi eventualmente i commenti. Così consigliano i maestri del giornalismo british e così proviamo a fare con quel che riguarda Fiat.

Nel mese di marzo Fiat Group (l’insieme dei marchi controllati, comprendendo quindi Anche Alfa e Lancia), in Europa (Ue a 27 + Efta), ha visto crollare le proprie vendite del 20%, immatricolando solo 106.836 nuove vetture contro le 133.563 di un anno fa. A febbraio il calo era stato del 16,7%, a 76.808 unità. Nei primi tre mesi del 2011 il Lingotto ha immatricolato 263.894 unità, in flessione del 19% rispetto alle 325.961 vetture vendute nello stesso periodo del 2010.

Si potrebbe pensare che tutti i produttori di auto stiano vivendo la crisi alla stessa maniera. Ma si sbaglierebbe. Bisogna allora guardare le quote di mercato. E qui si vede che a marzo la quota Fiat Group in Europa scende al 6,7%, contro il 7,9% segnato a marzo 2010. A febbraio la quota del gruppo torinese in Europa era al 7,6%. Nei primi tre mesi dell’anno la quota di mercato del Lingotto in Europa si attesta al 7,2%, in ribasso rispetto all’8,7% dello stesso periodo di un anno fa.

Un autentico crollo che riguarda dunque principalmente il Lingotto, mentre i concorrenti – che pure hanno le loro sofferenze – fanno decisamente meglio.

 

Se poi guardiamo l’andamento dei singoli marchi la situazione diventa ancora più chiara.

Il marchio Fiat, a marzo, ha immatricolato in Europa 79.692 veicoli: -27,3% rispetto ad un anno fa. Lancia ha venduto 10.008 vetture (-23,9%), mentre Alfa Romeo ha fatto il botto guadagnando il 65,3%, ma con sole 16.266 unità. Come riassunto trimestrale, il marchio Fiat ha venduto 196.340 vetture (-25,6%), Lancia 25.847 (-23,1%) e Alfa Romeo 39.964 (+49,4%).

Anche qui bisogna dare un’occhiata alle quote di mercato. La quota Fiat a marzo è scesa al 5% (era al 6,5% un anno prima), Lancia allo 0,6% (da 0,8%), mentre Alfa Romeo è cresciuta all’1% dal precedente 0,6%. Nel trimestre, Fiat è scesa al 5,3% dal 7%, Lancia allo 0,7% dallo 0,9%, mentre Alfa Romeo è salita all’1,1% dallo 0,7%.

 

C’è da tener presente che il mese di marzo è l’ultimo che deve confrontarsi in modo un po’ squilibrato con lo stesso mese del 2010, quando ancora c’era la “coda” degli incentivi. La prossima rilevazione, relativa al mese di aprile, ci dirà la verità sul calo di vendite Fiat “a parità di condizioni”.

 Da Mirafiori commentano cercando il bicchiere mezzo pieno. E lo trovano in Panda e 500, che risultano ancora le vetture più vendute del “segmento A” (le piccole, insomma): insieme ottengono una quota del 28,2%. Le perdite più forti sono avvenute in Italia e Spagna, “in cui la presenza di Fiat Group Automobiles è particolarmente forte». Un po’ meglio invece in «Germania (dove i volumi crescono del 9,2% per una quota stabile al 2,9%) e in alcuni mercati minori».

La colpa sarebbe della fine degli incentivi, spiegano i sub-Marchionne. «Disponendo di una gamma completa di modelli a basso impatto ambientale, è il marchio Fiat ad essere maggiormente condizionato nelle vendite per la mancanza di incentivi alla rottamazione nei principali mercati europei».

 Il commento è sintetico: i modelli Fiat sono vecchi e non si vendono più. L’ultimo modello di successo, che ancora vende volumi importanti, è la Grande Punto, prodotta a Melfi. Ma ha già quasi sei anni di vita. Panda e 500 hanno la stessa età e vengono prodotte e Tichy, in Polonia. L’unico modello nuovo – che non a caso va bene – è la Giulietta Alfa Romeo; ma i suoi volumi di vendita sono interessanti solo relativamente al segmento di appartenenza, non certo in assoluto.

Stanno venendo insomma allo scoperto tutti i nodi della strategia di Marchionne, più finanziaria che non industriale. Il non mettere in produzione nuovi modelli è stata una scelta motivata con una previsione rivelatasi sbagliata: che con la crisi le vendite di tutti i marchi sarebbe crollate molto di più. I concorrenti hanno fatto comunque innovazione (di motori, carrozzerie, dotazioni, ecc) e hanno retto l’urto della crisi. Fiat la sta prendendo in faccia. Perché la prima preoccupazione di Marchionne è trovare i soldi per restituire nei tempi fissati – e con tassi di interesse importanti – all’amministrazione Usa, da cui ha ricevuto “in dono” Chrysler.

Il “modello Pomigliano” che ora dichiara essere il “nuovo contratto dell’auto” non porta a fare automobili migliori, con maggiore appeal sul mercato. Ma solo a grattare qualche margine operativo in più (non più dell’1-2%); insufficiente a reggere la competizione con chi – in questi stessi anni – ha puntato sull’innovazione anche in un settore più che maturo come l’automobile.

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