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Tremonti, il grande narratore

E ha porto un ramoscello d’ulivo alle imprese a quindici giorni dalla temuta Assise di Confindustria, a Bergamo, che potrebbe segnare il divorzio clamoroso degli imprenditori dall’”impresario” presidente del consiglio.

 

Straordinario, a suo modo. Stamattina ha spiegato la sua idea contro le Opa straniere su imprese italiane (l’ultimo tentativo c’è stato su Parmalat). «Credo che la migliore difesa è l’attacco», ha esordito, ma la strategia non è stata illustrata: «ho difficoltà adesso a parlare di questi temi con questo metodo di informazione e tra l’altro con la borsa aperta». Ergo, non si sa.

Un po’ più di chiarezza arriva sul nanismo dimensionale delle imprese italiche. «Il problema dell’economia di questo paese non è difendere, ma sviluppare. Cerchiamo di essere pratici: il 95% del Pil è fatto da imprese con meno di 15 addetti. E al vertice ci sono poche società quotate alcune bloccate per struttura societaria. Ma il numero di quotate è sceso. Dobbiamo far crescere l’economia nella sua dimensione: non vuol dire che dobbiamo ingratitudine a milioni di piccoli imprenditori che fanno la nostra economia. Siamo la seconda manifattura del mondo e gli ideologi che hanno sostenuto il contrario ora “risalgono le vallì”. Se cresce dimensione mercati deve anche crescere quella imprenditoriale». Come? Dall’analisi alla politica il passo non è breve, specie se non hai una politica da proporre su questo tema.

Il compenso è stato luminoso sul piano delle privatizzazioni. La Cassa depositi e prestiti, controllata dl suo ministero, «dà in questo momento all’economia più di 100 miliardi, tra prestiti privati e pubblici. Man mano che cresce e senza nessun rischio, si sposterà verso l’economia privata. Avendo dentro soci privati come le fondazioni bancarie. Giusto quindi trasformarla in spa». La regina delle privatizzazioni, se dovesse andare in porto; proprio mentre in tutto il mondo si sta riaffacciando con prepotenza il rischio bancario in parallelo a quello del debito pubblico (persino statunitense).

In attesa di questo mega-boccone, si potrà continuare con i piccoli pasti. Con la buona scusa che bisogna abbattere il debito pubblico, andrà avanti alla grande la vendita degli immobili pubblici. «Siamo convinti sia una via giusta ma la questione va vista nel contesto europeo, per avere l’approvazione. Non l’abbiamo fatto in questo periodo perché nel pieno della crisi non c’era la possibilità di montare uno strumento finanziario che raccogliesse i beni per poi metterli sul mercato. Ora possiamo riprendere quel percorso: fermo che ai fini dell’abbattimento prima lo devi fare e poi lo puoi scomputare». Pirelli e Caltagirone di tutto il mondo fatevi, sotto, qui svendiamo pezzi pregiati e palazzi in centro.

 

Non basta? Beh, no. Immobili di pregio in zona centrale richiedono grandi capitali. E lui stesso va ricordando che la maggior parte delle imprese non ha grandi orizzonti di liquidità disponibile. Quindi bisogna promettere qualcosa anche alle piccole e piccolissime. Cosa? Ma meno controlli fiscali, previdenziali, di sicurezza, diamine!

Il peso dei controlli fiscali, gli accessi e le “visite” alle imprese «è eccessivo, con costi come tempo perso, stress, e occasioni di corruzione. Un’oppressione fiscale che dobbiamo interrompere». «La proposta – aggiunge Tremonti – non può essere del tipo della 626 (legge sulla sicurezza sul lavoro), ma potremmo immaginare una qualche tipo di concentrazione, salve esigenze di controllo erariale e ridurre il continuo controllo sulle imprese. Ne va via uno, e dopo un po’ arriva il vigile urbano. Ci abbiamo già iniziato a lavorare. Fermo il discorso sicurezza lavoro. Serve o un coordinamento dall’alto o un diritto dal basso: il diritto di dire “non mi rompere più di tanto…”». Bisogna ammetterlo: questo si chiama parlar chiaro. Niente ideologia, insomma, o formule teoriche: promesse magari difficili da mantenere, ma non equivocabili: tutto il potere alle imprese!

 

Ieri invece, in quel di Bruxelles, era riuscito nel paradossale esercizio di usare argomenti leghisti per sostenere la necessità di un profondo ripensamento della struttura dei trattati che regolano l’Europa. Il suo esercizio di ‘stress test’ poteva giovarsi della compresenza, secondo la sua definizione, di tre grandi crisi del momento: quella economica, quella geopolitica e quella atomica.

«Missing in no action», ovvero scomparsa per inazione, definisce invece l’Ue dei trattati davanti all’emergenza immigrazione e alle rivolte in atto nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.

Ma è soprattutto nel dopo Fukushima che, per Tremonti, i trattati europei non offrono risposte sufficienti per affrontare un tema, come quello dell’energia atomica, che ha «benefici locali e malefici globali». Ed è quindi più che opportuna una «riflessione» su costi e benefici, ma anche l’idea di ricorrere a eurobond per finanziare la ricerca sulle energie alternativa attraverso un’applicazione aggiornata del piano Delors.

Tutto ciò non vuol dire che bisogna uscire dall’Europa. La sua lezione mira invece a consigliare di «cogliere il momento» per avviare una «più intensa convenzione» per un nuovo trattato, poiché quelli in vigore «sono stati adattati, ma «restano il prodotto di un mondo passato». In fondo quelle regolazioni erano state pensate in un mondo diviso in due, col blocco americano e quello socialista ben in piedi, senza globalizzazione economica né grandi flussi migratori da sud a nord.

 

Infine la “manovra”. Che verrà fatta nell’entità già stabilita con Bruxelles. Ma si partirà, giura, non ora, ma nel 2013 e 2014. Tremonti, replica a quanti ipotizzano una manovra assai più “dolorosa”, vicina ai 35 miliardi, cioè più del doppio di quanto da lui indicato. «È una correzione che dobbiamo fare, come minimo dello 0,5% un anno e lo 0,5% l’altro anno», ma questo «dipende da come andrà l’economia nel prossimo biennio». Tra i bersagli del tributarista di Sondrio asceso alla poltrona di Quintino Sella, c’è però anche Bankitalia, che parlava ieri di una manovra di oltre 30 miliardi, cioè il 2,3% del Pil.

Il ministro non cambia. Conti creativi, buone “narrazioni”, molte promesse. Chissà se le imprese ci cascheranno anche stavolta?

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