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Momentaneo crollo del prezzo del petrolio

Col petrolio non si sa mai co me prenderla. La notizia dell’improvviso calo del prezzo – ieri la qualità Wti è scesa fino a 96,68 dollari al barile, per poi risalire sui 98; il Brent è arriva to a 112 (era a 124 pochi giorni fa) – fa felice chi guida. Anzi, ognuno di noi mentre guida.

Non siamo però solo automobi listi, ma anche lavoratori, cittadini, utenti, consumatori di altre merci. E da questi altri punti di vista la spiegazione del prezzo calante è assai meno bella. Vediamo per ché. L’Agenzia internazionale per l’energia ha reso noto ieri il suo Re port mensile relativo al mese di marzo, in cui taglia le previsioni sui consumi petroliferi per que st’anno. Nulla di preoccupante, a prima vista: la domanda di greggio continuerà ad aumentare, ma a un ritmo minore. Invece di 89,4 mi lioni di barili al giorno la domanda arriverà ad «appena» 89,2.

Perché? Qui arrivano le due cat tive notizie. La prima sembra ba nalmente il prodotto del rappor to domanda/offerta: gli alti prezzi dei mesi scorsi stanno scoraggian do i consumi nei paesi più indu strializzati, dove la «ripresa» è molto più debole del previsto. Il consumo industriale dunque ral lenta; e così anche quello della cit tadinanza. Specie negli Usa, dove ancora prediligono modelli d’au to energivori e si percorrono lun ghe distanze (per carenza di tra sporti pubblici, spesso). E quindi la previsione è semplice: que st’estate – la driving season – gli americani sceglieranno percorsi più brevi. Anche perché l’occupa zione va male, gli stipendi sono fermi e la benzina è arrivata a co stare 4 dollari al gallone (70 cente simi di euro al litro). Il doppio di quello che veniva considerato quasi un «diritto costituzionale».

Il secondo motivo è decisamen te peggiore: i produttori di petro lio fanno (molta) fatica a tener dietro alla domanda in aumento, proveniente soprattutto dai paesi emergenti. Molti di loro (tra cui Norvegia e Gran Bretagna, ma an che Venezuela e Iran) hanno da tempo raggiunto il « picco» della produzione possibile e vanno ral lentando. Un altro, la Libia, è sta to precipitato nella guerra e non produce più quasi nulla, per il momento, sottraendo al mercato oltre 1 milione di barili al giorno. I 12 rimanenti membri del l’Opec, che pure sfornano il 40% della fornitura globale di greggio, hanno fin qui pompato 28,75 mi lioni di barili/giorno; dovrebbero arrivare a 30,1 nel terzo trimestre per tenere il passo della doman da. Il che ci riporta all’inizio: visto che l’«offerta» fatica e la doman da – seppure a ritmo inferiore –

cresce, il prezzo del petrolio nei prossimi mesi rimarrà alto. In fluendo negativamente sulla pos sibilità di accelerare «la crescita» e ridurre i «debiti sovrani».

Non c’è infatti da farsi grandis sime illusioni su nuove possibili tà estrattive nell’Artico, che si va rapidamente «liberando» dai ghiacci. Le riserve stimate, sotto quelle acque, rappresentano for se l’8% del totale oggi «accerta to» (90 miliardi di barili, meno del solo Iraq). Un bel business per chi riuscirà ad accaparrarse lo (Usa, Canada, Danimarca,

Norvegia, Russia), ma non il «col po di fortuna» che porta l’umani tà fuori dalla trappola delle risor se calanti in un regime di produ zione sempre crescente.

 

da “il manifesto” del 13 maggio 2011

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