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Tremonti minaccia: “Già a luglio la manovra lacrime e sangue da 40 miliardi”

“La politica di rigore fiscale non è un’opzione, – ha spiegato il ministro del Tesoro, come riportato da “Repubblica” – non è temporanea, non è conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, ma è invece “la” politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire”.
Tremonti, ovviamente si è fatto scudo dei rischi per i titoli del debito pubblico italiano sui mercati finanziari alimentati dall’agenzia di killeraggio economico Moody’s. L’avvertimento di Moody’s all’Italia è, per Tremonti, “un riflesso generalizzato della crisi greca, più che una critica specifica alla tenuta dei conti italiani; è una fase critica e delicatissima per tutti e occorre lanciare un segnale di rigore: l’anticipo della manovra da 40 miliardi”. Anche perché, come Tremonti sa bene, i posizionamenti politici interni al nostro Paese conteranno sempre meno, di fronte a scelte economiche (e politiche) che di fronte allo spettro della “retrocessione di Moody’s” saranno sempre più dettate e imposte dall’Unione Europea e dagli organismi internazionali dell’economia e della finanza. Un chiaro messaggio anche a chi si propone di sostituire il governo Berlusconi con un nuovo esecutivo. Ma Tremonti non intende fare sconti al governo in carica ed ha ribadito che non è il tempo della riforma fiscale – “non possiamo fare riforme in deficit” aveva spiegato pochi giorni fa e –a quanto pare –  non basterà certo un corteo annunciato da Cisl e Uil o l’ultimatum odierno della Lega a cambiare la situazione.
La manovra “lacrime e sangue” da 40 miliardi, che il ministro del Tesoro vuole approvare prima dell’estate, si tradurrà concretamente, per milioni di persone già alle prese con gli effetti della crisi e con le conseguenze di anni di tagli, in un’ulteriore destrutturazione del sistema di welfare (ammortizzatori sociali, pensioni, sanità, scuola, trasporti…), nell’ennesimo affondo contro tutto ciò che è pubblico, a partire dal pubblico impiego per arrivare alla svendita di ciò che resta del patrimonio economico dello Stato italiano e in un incoraggiamento alle politiche del lavoro ispirate dal “modello Marchionne” ossia cancellazione dei contratti nazionali, rinuncia ai diritti e rappresentanze sindacali “nominate” solo da quei sindacati benvoluti dall’azienda

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